Fino a pochi anni fa la Street Art erano per me quegli
artisti newyorchesi che negli anni ottanta avevano cominciato a lavorare nello
spazio pubblico e nelle strade, e che nulla avevano a che fare con la pittura sui
muri. Intendo dire Ken Hiratsuka, Les Levine, Linus Coraggio, Richard Hambleton,
Paolo Buggiani e il primo Keith Haring che disegnava i suoi primi personaggi sui
manifesti neri della metropolitana commentando le vicende politiche del momento.
In quegli anni intorno all’Ara Pacis cominciava a nascere il museo all’aperto
con le infr-azioni di Fausto Delle
Chiaie e Paolo Buggiani di passaggio da New York installava coccodrilli e altri
strani rettili metallici in luoghi inaccessibili della città.
Quando inciampavi su queste opere la testa ti si apriva con mille domande: da dove venivano quei bellissimi oggetti regalati alla città? Da quanto stavano là? Si poteva fare tutto ciò senza permesso? Ci si poteva appropriare della città con tanta libertà per installarci i propri pensieri e le proprie cose più care? Si poteva veramente parlare ai cittadini come facevano i cartelloni pubblicitari? Questi erano i pensieri che mi venivano quando, ancora studente di architettura mi trovavo di fronte alle opere di Buggiani e Delle Chiaie. In generale ero abbastanza indifferente alla pittura e all’arte bidimensionale e invece quegli interventi scultorici in città mi sembravano indicare direzioni nuove all'architettura e all’arte in città.
Quando inciampavi su queste opere la testa ti si apriva con mille domande: da dove venivano quei bellissimi oggetti regalati alla città? Da quanto stavano là? Si poteva fare tutto ciò senza permesso? Ci si poteva appropriare della città con tanta libertà per installarci i propri pensieri e le proprie cose più care? Si poteva veramente parlare ai cittadini come facevano i cartelloni pubblicitari? Questi erano i pensieri che mi venivano quando, ancora studente di architettura mi trovavo di fronte alle opere di Buggiani e Delle Chiaie. In generale ero abbastanza indifferente alla pittura e all’arte bidimensionale e invece quegli interventi scultorici in città mi sembravano indicare direzioni nuove all'architettura e all’arte in città.
A un certo punto la città si riempita di pittura sui muri,
sugli autobus, sulle metropolitane sui cassonetti. Non che sia contrario
all'appropriarsi della città e allo scrivere sui muri anzi… ma ho sempre visto
tutto ciò come un passo indietro: invece di tirare l’arte fuori dalle gallerie
si sono portate le gallerie fuori in città. Si è confezionato un prodotto che non ha più nulla di
provocante e di provocatorio, un’arte che, accettata da un pubblico vasto, è
diventata incapace di suscitare meraviglia, di stimolare riflessioni, domande. E
poi c’è il problema della firma e dell’autorialità. Nei coccodrilli di Buggiani
era impossibile sapere chi era riuscito a installarli a dieci metri di
altezza, chissà con che mezzi e a che ora della notte, l’esatto opposto della
“tua firma che viaggia sui vagoni”.
Io abito vicino al gasometro uno dei quartieri più abusati
dalla nuova street art, e voglio
parlarne come abitante del quartiere e non solo come artista urbano. Sul muro
dell’Italgas c’è una grande scritta in inglese, non mi ricordo nemmeno una
parola, nessuno sa cosa voglia dire e con chi voglia comunicare, il suo
risultato è solo far sentire ignoranti gli abitanti del quartiere che non la
capiscono, però è bella, bella grafica, bei colori, indubbiamente meglio del
muro zozzo che c’era prima. Parcheggio sempre tra due muri di faccioni. Sul
lato che dà verso l’oratorio della chiesa ci sono 21 facce che vanno dalla A
alla Z, mi hanno detto che alla lettera P ci doveva essere Pasolini ed è stato
censurato dal prete, invece alla W c’è papa Wojtyla. Dall’altro lato ci sono
persone tratte dal quotidiano, che sarebbero potute passare di là… ma allora mi
chiedo: perché non sono proprio personaggi del quartiere? Sarebbe costato molto
incontrarne qualcuno e raccontarlo? Questi muri non potrebbero essere portatori
di un messaggio? Non potrebbero parlare a noi abitanti nella nostra lingua?
Parlare del luogo in cui sono stati dipinti? Interferire con chi ci abita?
Raccontare le loro storie, i loro conflitti, le loro proposte per il quartiere
e per il mondo? Non potrebbero ascoltare prima di parlare?
Accanto al ponte di ferro c’è invece un intervento che mi
piace moltissimo, è una figura nera che citofona alla caserma dei pompieri, non
mi sembra che abbia una firma. Ha scala umana, sembra un ombra, la noto ogni
volta che ci passo e mi sembra sempre viva, animata. È sicuramente dello stesso
autore anche un altro uomo nero, l’ombra di un uomo che piscia sotto il
viadotto di via Ostiense. Ogni volta che ci cammino accanto, sento la sua
presenza e mi sento osservato, mi giro e mi ricordo di lui. Ecco lui piscia, penso,
è forse il suo modo di commentare tutti quelli che pisciano la loro firma sui
muri?
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