07/12/13

A Parabola do São Cosme na Vila Paraíso

di Francesco Careri, Maria Rocco, Giorgio Talocci per LAC_Laboratorio Arti Civiche
pubblicato su "Redobra" n°10 (scarica pdf)
   
Apprensione
Approcciandosi al tema dell’apprensione urbana tramite il corpo in una città come Salvador, il LAC  ha voluto declinare la parola apprensione nel suo significato di timore di un pericolo che fa comprendere lo spazio con maggiore intensità e rapidità di percezione, concentrandosi sul tema della paura dello/nello spazio pubblico.
Nelle grandi città, lo spazio pubblico è sempre meno il luogo dell’incontro con l’altro ma sempre più il luogo della paura dell’altro, del diverso o dello sconosciuto, da cui ci si deve difendere e proteggere; si diffondono dappertutto misure e politiche pubbliche tese a garantire la ‘sicurezza urbana’, alle quali i cittadini accettano di sottostare anche se limitano sempre più la propria libertà e i propri diritti sullo spazio pubblico.
Questo accade per via di una mitologia della paura costruita nei confronti del diverso, visto come qualcosa che minaccia, con la sua presenza, il nostro modo di vivere.
L’obiettivo del LAC era stabilire una nuova mitologia dello spazio pubblico come luogo dell’incontro e della conoscenza dell’altro e della città, nella convinzione che la frequentazione e il senso di appartenenza ai luoghi producono una loro sorveglianza e cura spontanee.


Chi perde tempo, guadagna spazio
Una delle modalità di azione del LAC è quella della deriva; deriva intesa nel doppio senso di farsi trascinare(moto deviato) dalla corrente e di strumento di correzione della rotta; si potrebbe definire come una modalità di progetto indeterminato, che cerca di suscitare e successivamente indirizzare una azione spontanea dal territorio, piuttosto che imporne su di esso una predeterminata.
La preparazione dell’oficina è cominciata, come spesso i lavori del LAC, con la ricerca del suo campo d’azione tramite un’esplorazione; ci muovevamo in cerca di uno spazio verde abbandonato tra le case, da trasformare in una sorta di cortile comune insieme agli abitanti, uno spazio semi-privato per attività collettive.

Durante l’esplorazione, siamo inciampati in Vila Paraíso e Vila São Cosme - due insediamenti informali situati nel Engenho Velho de Brotas - per la necessità di scendere da un ponte nella strada sottostante; nessuno dei passanti ci suggeriva di attraversarle, sebbene fosse evidente che era la strada più veloce e diretta.
Quando si parla di spazi informali, molto spesso gli si associa la figura del labirinto, per l’intricatezza e la continua mutevolezza dei suoi spazi e per il timore che si ha di attraversarli. Tale timore è connesso a questioni di sicurezza, legate alla poca conoscenza che la gente ha di tali spazi e alle immagini di violenza e criminalità che gli si associano.
Questa paura degli spazi informali, di questi spazi labirintici difficili da controllare, in molti paesi dell’America Latina hanno prodotto fenomeni di frammentazione urbana, con forme di autosegregazione tra chi possiede o meno a determinate opportunità economiche e di status.
Lo spazio di Vila Paraíso e Vila São Cosme si è rivelato interessantissimo fin dal primo attraversamento, proprio per questa complessità labirintica, e ci ha spinto all’approccio con la sua comunità che ha immediatamente cancellato la sensazione di titubanza iniziale.

Per entrare nella dinamica di un territorio e poterla questionare dal suo interno, è necessario insistere sul luogo, creare una relazione con la comunità che lo abita e una rete con le realtà che lo circondano; questa modalità di agire può essere sintetizzata dal motto ‘chi perde tempo, guadagna spazio’.
L’oficina a Vila Paraíso e Vila São Cosme è stata dunque preceduta da un periodo preparatorio nel quale il LAC ha esplorato e frequentato sistematicamente il luogo e i suoi abitanti, cercando di entrarvi in contatto e di stimolare un immaginario collettivo circa il tema dell’oficina e le azioni da intraprendere, nella convinzione che la presenza fisica sul luogo sia fondamentale per la sua produzione.
In questo senso, dal rapporto con gli abitanti è nata l’idea e la necessità di diffondere un flyer, per manifestare la presenza del gruppo e le attività che si sarebbero svolte durante l’oficina.
Il flyer pubblicizzava un primo momento conviviale di interazione tra gli abitanti di Vila Paraíso, Vila São Cosme, dei dintorni e il LAC con i partecipanti all’oficina, uno scambio di cucina brasiliana e  italiana; diffondere i flyer è stato anche strumentale alla conoscenza e all’interazione con altri abitanti del luogo e dei dintorni, che non erano stati coinvolti fino a quel momento.

Profanazione
Per cancellare la mitologia della paura, modificando il modo di vedere comunemente gli spazi informali e contestualizzandoli in una nuova e inedita relazione che li restituisca all’uso comune, LAC propone azioni rituali di tipo ludico. Secondo Agamben, il gioco può avere la doppia funzione di eliminare il mito e conservare il rito, è il caso del ludus o gioco d’azione, o di cancellare il rito e conservare il mito, come jocus o gioco di parole:


“Sacre o religiose erano le cose che appartenevano in qualche modo agli dei. Come tali, esse erano sottratte al libero uso e al commercio degli uomini. [...] E se consacrare (sacrare) era il termine che designava l’uscita delle cose dalla sfera del diritto umano, profanare significava per converso restituire al libero uso degli uomini.[...]

Il dispositivo che attua e regola la separazione è il sacrificio: attraverso una serie di rituali minuziosi, diversi secondo la varietà delle culture; esso sancisce in ogni caso il passaggio di qualcosa dal profano al sacro, dalla sfera umana a quella divina.

Profanare significa: aprire la possibilità di una forma speciale di negligenza, che ignora la separazione o, piuttosto, ne fa un uso particolare. [...]

Il passaggio dal sacro al profano può, infatti, avvenire anche attraverso un uso (o, piuttosto, un riuso)del tutto incongruo del sacro. Si tratta del gioco. E’ noto che la sfera del sacro e quella del gioco sono strettamente connesse. La maggior parte dei giochi che noi conosciamo deriva da antiche cerimonie sacre, da rituali e da pratiche divinatorie che appartenevano un tempo alla sfera in senso lato religiosa. [...] La potenza dell’atto sacro risiede nella congiunzione del mito che racconta la storia e del rito che la riproduce e mette in scena. Il gioco spezza questa unità: come ludus, o gioco d’azione, esso lascia cadere il mito e conserva il rito; come jocus, o gioco di parole, esso cancella il rito e lascia sopravvivere il mito.”

Giorgio Agamben, Elogio della profanazione.


A Vila Paraíso e Vila São Cosme, sono stati messi in atto una serie di riti collettivi:

iniziazione: una doccia collettiva alla fontana di São Cosme, costruita per canalizzare l’acqua dell’antica sorgente naturale, con all’interno le statue dei due santi Cosma e Damiano.
Una prima immersione del corpo nello spazio dei due insediamenti e di condivisione con i suoi abitanti. Ognuno si bagna nella misura in cui vuole essere coinvolto.

comunione: uno scambio di cucine con la preparazione collettiva di una feijoada brasiliana e una pasta italiana, ma anche un momento conviviale tra i partecipanti all’officina, le due comunità di Vila Paraíso e Vila São Cosme e di alcuni vicini.
Il mangiare insieme in uno spazio pubblico come la strada, ha facilitato l’orizzontalità tra i partecipanti e la collaborazione di ognuno all’allestimento dello spazio.

processione: due momenti di attraversamento dello spazio, il primo a partire dalla fonte di São Cosme, guidati da un bambino con un kilometro di filo rosso fuori dal labirinto, fino al centro comunitario di quartiere; il secondo a ritroso con una banda di bambini che suonavano percussioni, fino a tornare alla fonte.

Questi rituali distrutto il senso di timore verso lo spazio delle due favelas(?) liberando una grande energia creativa e desideri collettivi.

La raccolta di storie e racconti degli anziani, piccoli laboratori creativi con i bambini, insieme al riconoscimento di luoghi di riferimento delle comunità, hanno invece creato una nuova e positiva mitologia del luogo.
Dagli primi abitanti di entrambe le comunità, abbiamo scoperto insieme miti e legende del posto, sulle sorgenti d’acqua e i frutteti che riempivano la vallata prima della invasione, della nascita delle due Vilas, inizialmente separate da un muro, poi unite in un’unica comunità; abbiamo ascoltato di Cosma e Damiano - i due santi medici della religione cattolica e i bambini Ibéje nel Candomble - che hanno dato nome al luogo e poteri leggendari all’acqua della fonte, dove le statue dei due santi sono sepolte...
Tutte queste storie hanno risignificato il luogo e la sua importanza per noi, per i suoi abitanti e per la città intera, trasformando, anche solo per un breve momento, Vila Paraíso and Vila São Cosme nel centro di Salvador.

1.De Cauter, L. (2004) Geology of the New Fear, in The Capsular Civilization - On the City in the Age of Fear. Rotterdam, NAi Publishers.

2.Agamben, G. (2007) Elogio della profanazione, in Profanationi. Roma, Nottetempo.


A Parabola do São Cosme na Vila Paraíso.
 Francesco Careri, Maria Rocco, Giorgio Talocci for LAC_Laboratorio Arti Civiche
1. Apreensão urbana
Apreensão (1): ansiedade ou medo que algo ruim ou desagradável aconteça.
Apreensão (2): entender, compreender.

Ao jogar nossos corpos no ambiente urbano de Salvador, o Laboratorio Arti Civiche pretendia declinar o termo apreensão em seu duplo significado, combinando-os com a experiência do ambiente urbano através do corpo: apreensão urbana é então a sensação de perigo que nos faz entender o espaço com maior intensidade e rapidez de percepção.

Nos dias atuais, a apreensão urbana traduz simplesmente em medo: espaços públicos não são mais lugares de encontro com o outro e sim, cada vez mais, um espaço do medo do outro - um diferente ou um estranho do qual precisamos nos defender e proteger.

A nova mitologia do medo urbano e, consequentemente, da segurança urbana tem sido construída: o outro é algo que ameaça nosso modo de vida com sua presença, e do qual nós temos que nos defender. Tecnologias de controle, políticas e regulações sobre o uso dos espaços públicos se espalham, constrangendo o corpo e seus comportamentos num conjunto de regras que eventualmente limitam o direito do uso e transformam o espaço público para todo um espectro de cidadãos.

Laboratorio Arti Civiche quer criar uma renovada (contra-)mitologia do espaço público como um lugar do encontro e do mútuo aprendizado com o outro, começando exatamente pela apreensão do que o outro atualmente significa e buscando superar o medo que há contra ele – acreditando que o conhecimento de e a presença no espaço público produz um senso de pertencimento, de uma vigilância espontânea, de desejo de cuidado com o outro.


2. Quem perde tempo, ganha espaço

A preparação da oficina começou através de uma deriva, uma das modalidades usuais de ação do LAC: o termo deriva (passeio, volta) carrega duplo significado do termo um andar desviado do que é hegemônico e a possibilidade de maior diversão na própria deriva: pode ser definida como uma forma de projeto aberto e indeterminado, que procura obter – e depois deixa seguir - uma ação espontânea para o território em que atravessa, ao invés de impor um projeto fixo e predeterminado sobre ele.


Nós derivamos por Salvador buscando por esse território, imaginando que este seria um espaço de sobra entre um conjunto de casas, um jardim onde poderia ser recriado o senso de espaço público e que esse pudesse mudar os dois significados da palavra apreensão junto com os habitantes do lugar.


Entretanto, durante a deriva, tropeçamos com um espaço bem maior e sua  comunidade: o labirinto de ruas, os becos e as pessoas da Vila Paraíso e da Vila São Cosme, dois assentamentos informais localizados bem no meio do bairro Engenho Velho de Brotas. Nenhuma das pessoas nos acompanhavam sugeriram que passássemos por ali, embora fosse evidente que este era o caminho mais rápido para descermos para uma rua que passava em um nível mais abaixo.
Assentamentos informais são geralmente associados à figura do labirinto, já que a complexidade e a contínua mutabilidade de seus espaços levam ao medo de atravessá-los. O medo é relativo à questões de segurança (o labirinto dificilmente pode ser controlado e enquadrado por paradigmas gerais de proteção nos espaços públicos) e isso ocorre geralmente pelo pouco conhecimento que muitas pessoas tem sobre esses espaços e pelas imagens de crime e violência usualmente associadas à estes espaços pela mídia.


O medo obviamente relaciona-se com vários fatores que produzem a fragmentação urbana e a segregação dos ambientes da cidade de acordo com as diferenças de classe, status, etnia, religião, política e orientações sexuais: o trabalho do Laboratorio Arti Civiche na Vila Paraíso e na Vila São Cosme procurou desativar essas dinâmicas de segregação trabalhando com suas fronteiras visíveis e invisíveis, profanando-as por dentro.

Com este objetivo – de entender a dinâmica do território para ser capaz de questioná-lo a partir de dentro – havia a necessidade do insistir, para construir uma relação com a comunidade ali habitante e criar uma conexão com a realidade circundante. Este modo d ação pode ser resumido em um mote ‘quem perde tempo, ganha espaço’: na Vila Paraíso e na Vila São Cosme nós perdemos tempo, acreditando na necessidade de gastar muito tempo para ganhar o conhecimento do espaço e da comunidade que ali habita, antes de começar qualquer tipo de atuação.

A oficina foi precedida pelo período preparatório no qual LAC visitou e explorou sistematicamente o espaço, conversando com os habitantes, tentando estimular uma participação coletiva na oficina e compartilhando uma imaginação sobre as possíveis ações que ali poderiam ser realizadas. A ideia de entregar panfletos para mostrar a presença do nosso grupo e noticiar as atividades que aconteceriam durante a oficina veio dos próprios habitantes e serviu como modo de novas interações com a comunidade e com os habitantes envolta, que ficou mais interessada.


Quando nós propusemos fazer algo coletivamente com a comunidade a primeira sugestão deles foi fazer uma feijoada: o panfleto noticiava exatamente esse primeiro momento de convivência da interação que tomou uma forma, afinal, de trocas entre a cozinha Brasileira e Italiana.

3. Profanation as negligence

“Sacred or religious were the things that in some way belonged to the gods. As such, they were
removed from the free use and commerce of men. [...] And if ‘to consacrate’ (sacrare) was the
term that indicated the removal of things from the sphere of human law, ‘to profane’ meant,
conversely, to return them to the free use of men. [...]
The passage from the sacred to the prophane can, in fact, also come about by means of an
entirely inappropriate use (or, rather, a reuse) of the sacred: namely, play. It is well known that
the spheres of play and the sacred are closely connected. Most of the games with which we are
familiar derive from ancient sacred cerimonies, from divinatory practices and rituals that once
beonged, broadly speaking, to the religious sphere. [...] The power of sacred act lies in the
conjuction of the myth that tells the story and the rite that reproduces and stages it. Play breaks
up this unity: as ludus, or physical play, it drops the myth and preserves the rite; as iocus, or
wordplay, it effaces the rite and allows the myth to survive.”
Giorgio Agamben, In Praise of Profanation2

 O ato de profanar, de acordo com Agamben, é uma particular forma de negligência, alcançada exatamente através do jogar: O jogo torna-se a mais poderosa ferramenta tanto para decifrar a mitologia do medo como para mudar o modo como usualmente os espaços informais é percebido, o que permite o retorno do uso comum à esses espaços. A potência do ato do jogo acontece porque este não mina a sacralidade contida no objeto, desde que este jogo alterne ou uma ou as duas esferas do sagrado – tanto o mito como o rito. A criatividade do ato de jogo é exercida junto com a comunidade e traduz-se em uma operação dupla que, ao mesmo tempo, reconstrói o mito e o legitima através do rito.

Em um jogo de palavras coletivo (iocus) – através da coleção de histórias e contos dos moradores antigos, de trabalhos criativos com as crianças pequenas, no reconhecimento conjunto dos marcos e monumentos importantes nas duas vilas – a mitologia do lugar é resgatada do esquecimento, encontrada arqueologicamente, por traços que testemunham a evolução da comunidade e do ambiente por ela criado.

Através dos moradores antigos nós descobrimos sobre os mitos e lendas do lugar, sobre as fontes de água natural e o pomar que ali havia antes da invasão, sobre o surgimento das duas Vilas inicialmente separadas por um muro e depois reunidas em uma única comunidade; também ouvimos sobre os gêmeos Cosme e Damião – os dois santos médicos na religião Católica e as crianças Ibéje no Candomblé – que deram o nome ao lugar e às legendárias forças da fonte de água, onde a escultura dos dois estão enterradas...

Esta fonte foi o primeiro monumento que encontramos e perguntamos sobre ele começando pelas duas moradoras mais antigas das duas comunidades: nosso primeiro rito (jogo físico, ludus), a iniciação nas Vilas São Cosme e Paraíso, deu-se ali. E foi seguida por uma comunhão e duas procissões. Iniciação: um banho coletivo na fonte da Vila São Cosme, construída como canal da fonte de água natural, aqui aconteceu a primeira imersão dos nossos corpos no espaço dos dois assentamentos, marcando nossa participação nos ritos diários de banho na fonte – provavelmente o mais importante espaço coletivo do assentamento, cenário de um momento chave na vida cotidiana da comunidade. Comunhão: uma troca de cozinhas, com uma preparação coletiva da feijoada Brasileira e do macarrão Italiano, mas também um momento de encontro entre os participantes do workshop, das duas comunidades de Vila Paraíso e Vila São Cosme e alguns vizinhos. Comendo junto em um espaço público como a rua, facilitou a horizontalidade entre os participantes e a colaboração de toda a comunidade para a organização do espaço.

Procissão: dois momentos cruzando o espaço. Um movimento de dentro para fora, seguindo as crianças carregando uma linha vermelha para nos levar para fora do labirinto, traçando uma conexão ideal entre o assentamento e o centro da comunidade no topo do morro. E um movimento de volta, uma procissão em forma de um desfile de tambores liderada pelas próprias crianças, até a fonte onde tudo nasceu.

Esses rituais profanaram o senso de medo relativo ao espaço dos dois assentamentos e às bordas que esse próprio medo criou, liberando uma grande energia criativa e faíscas de desejo coletivo. Redecretando e re-escrevendo seus mitos o espaço e sua importância foi re-significado para nós, para os habitantes e para toda a cidade, colocando, apesar de ser em um curto período de tempo, a Vila Paraíso e a Vila São Cosme no centro de Salvador.


1. De Cauter, L. (2004) Geology of the New Fear. In:The Capsular Civilization - On the City in the Age of Fear. Rotterdam: NAi Publishers.
2. Agamben, G. (2007) In Praise of Profanation. In: Profanations. New York: Zone Books.



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