di Francesco Careri, Maria Rocco, Giorgio Talocci per
LAC_Laboratorio Arti Civiche
pubblicato su "Redobra" n°10 (scarica pdf)
Apprensione
Approcciandosi al tema dell’apprensione
urbana tramite il corpo in una città come Salvador, il LAC ha voluto declinare la parola apprensione nel
suo significato di timore di un pericolo che fa comprendere lo spazio con
maggiore intensità e rapidità di percezione, concentrandosi sul tema della
paura dello/nello spazio pubblico.
Nelle grandi città, lo spazio pubblico è
sempre meno il luogo dell’incontro con l’altro ma sempre più il luogo della
paura dell’altro, del diverso o dello sconosciuto, da cui ci si deve difendere
e proteggere; si diffondono dappertutto misure e politiche pubbliche tese a
garantire la ‘sicurezza urbana’, alle quali i cittadini accettano di sottostare
anche se limitano sempre più la propria libertà e i propri diritti sullo spazio
pubblico.
Questo accade per via di una mitologia
della paura costruita nei confronti del diverso, visto come qualcosa che
minaccia, con la sua presenza, il nostro modo di vivere.
L’obiettivo del LAC era stabilire una nuova
mitologia dello spazio pubblico come luogo dell’incontro e della
conoscenza dell’altro e della città, nella convinzione che la frequentazione e
il senso di appartenenza ai luoghi producono una loro sorveglianza e cura
spontanee.
Chi perde tempo, guadagna spazio
Una delle modalità di azione del LAC è
quella della deriva; deriva intesa nel doppio senso di farsi trascinare(moto
deviato) dalla corrente e di strumento di correzione della rotta; si potrebbe
definire come una modalità di progetto indeterminato, che cerca di suscitare e
successivamente indirizzare una azione spontanea dal territorio, piuttosto che
imporne su di esso una predeterminata.
La preparazione dell’oficina è cominciata,
come spesso i lavori del LAC, con la ricerca del suo campo d’azione tramite
un’esplorazione; ci muovevamo in cerca di uno spazio verde abbandonato tra le
case, da trasformare in una sorta di cortile comune insieme agli abitanti, uno
spazio semi-privato per attività collettive.
Durante l’esplorazione, siamo inciampati in
Vila Paraíso e Vila São Cosme - due insediamenti informali situati nel Engenho
Velho de Brotas - per la necessità di scendere da un ponte nella strada
sottostante; nessuno dei passanti ci suggeriva di attraversarle, sebbene fosse
evidente che era la strada più veloce e diretta.
Quando si parla di spazi informali, molto
spesso gli si associa la figura del labirinto, per l’intricatezza e la continua
mutevolezza dei suoi spazi e per il timore che si ha di attraversarli. Tale
timore è connesso a questioni di sicurezza, legate alla poca conoscenza che la
gente ha di tali spazi e alle immagini di violenza e criminalità che gli si
associano.
Questa paura degli spazi informali, di
questi spazi labirintici difficili da controllare, in molti paesi dell’America
Latina hanno prodotto fenomeni di frammentazione urbana, con forme di
autosegregazione tra chi possiede o meno a determinate opportunità economiche e
di status.
Lo spazio di Vila Paraíso e Vila São Cosme
si è rivelato interessantissimo fin dal primo attraversamento, proprio per
questa complessità labirintica, e ci ha spinto all’approccio con la sua
comunità che ha immediatamente cancellato la sensazione di titubanza iniziale.
Per entrare nella dinamica di un territorio
e poterla questionare dal suo interno, è necessario insistere sul luogo, creare
una relazione con la comunità che lo abita e una rete con le realtà che lo
circondano; questa modalità di agire può essere sintetizzata dal motto ‘chi
perde tempo, guadagna spazio’.
L’oficina a Vila Paraíso e Vila São Cosme è
stata dunque preceduta da un periodo preparatorio nel quale il LAC ha esplorato
e frequentato sistematicamente il luogo e i suoi abitanti, cercando di entrarvi
in contatto e di stimolare un immaginario collettivo circa il tema dell’oficina
e le azioni da intraprendere, nella convinzione che la presenza fisica sul
luogo sia fondamentale per la sua produzione.
In questo senso, dal rapporto con gli
abitanti è nata l’idea e la necessità di diffondere un flyer, per manifestare
la presenza del gruppo e le attività che si sarebbero svolte durante l’oficina.
Il flyer pubblicizzava un primo momento
conviviale di interazione tra gli abitanti di Vila Paraíso, Vila São Cosme, dei
dintorni e il LAC con i partecipanti all’oficina, uno scambio di cucina
brasiliana e italiana; diffondere i
flyer è stato anche strumentale alla conoscenza e all’interazione con altri
abitanti del luogo e dei dintorni, che non erano stati coinvolti fino a quel
momento.
Profanazione
Per cancellare la mitologia della paura,
modificando il modo di vedere comunemente gli spazi informali e
contestualizzandoli in una nuova e inedita relazione che li restituisca all’uso
comune, LAC propone azioni rituali di tipo ludico. Secondo Agamben, il gioco
può avere la doppia funzione di eliminare il mito e conservare il rito, è il
caso del ludus o gioco d’azione, o di cancellare il rito e conservare il
mito, come jocus o gioco di parole:
“Sacre o religiose erano le cose che appartenevano in
qualche modo agli dei. Come tali, esse erano sottratte al libero uso e al
commercio degli uomini. [...] E se consacrare (sacrare) era il termine
che designava l’uscita delle cose dalla sfera del diritto umano, profanare
significava per converso restituire al libero uso degli uomini.[...]
Il dispositivo che attua e regola la separazione è il
sacrificio: attraverso una serie di rituali minuziosi, diversi secondo la
varietà delle culture; esso sancisce in ogni caso il passaggio di qualcosa dal
profano al sacro, dalla sfera umana a quella divina.
Profanare significa: aprire la possibilità di una forma
speciale di negligenza, che ignora la separazione o, piuttosto, ne fa un uso
particolare. [...]
Il passaggio dal sacro al profano può, infatti, avvenire
anche attraverso un uso (o, piuttosto, un riuso)del tutto incongruo del sacro.
Si tratta del gioco. E’ noto che la sfera del sacro e quella del gioco sono
strettamente connesse. La maggior parte dei giochi che noi conosciamo deriva da
antiche cerimonie sacre, da rituali e da pratiche divinatorie che appartenevano
un tempo alla sfera in senso lato religiosa. [...] La potenza dell’atto sacro
risiede nella congiunzione del mito che racconta la storia e del rito che la
riproduce e mette in scena. Il gioco spezza questa unità: come ludus, o
gioco d’azione, esso lascia cadere il mito e conserva il rito; come jocus,
o gioco di parole, esso cancella il rito e lascia sopravvivere il mito.”
Giorgio Agamben, Elogio della profanazione.
A Vila Paraíso e Vila São Cosme, sono stati
messi in atto una serie di riti collettivi:
iniziazione: una doccia collettiva alla
fontana di São Cosme, costruita per canalizzare l’acqua dell’antica sorgente
naturale, con all’interno le statue dei due santi Cosma e Damiano.
Una prima immersione del corpo nello spazio
dei due insediamenti e di condivisione con i suoi abitanti. Ognuno si bagna nella
misura in cui vuole essere coinvolto.
comunione: uno scambio di cucine con la
preparazione collettiva di una feijoada brasiliana e una pasta italiana, ma
anche un momento conviviale tra i partecipanti all’officina, le due comunità di
Vila Paraíso e Vila São Cosme e di alcuni vicini.
Il mangiare insieme in uno spazio pubblico
come la strada, ha facilitato l’orizzontalità tra i partecipanti e la
collaborazione di ognuno all’allestimento dello spazio.
processione: due momenti di attraversamento
dello spazio, il primo a partire dalla fonte di São Cosme, guidati da un
bambino con un kilometro di filo rosso fuori dal labirinto, fino al centro
comunitario di quartiere; il secondo a ritroso con una banda di bambini che
suonavano percussioni, fino a tornare alla fonte.
Questi rituali distrutto il senso di timore
verso lo spazio delle due favelas(?) liberando una grande energia creativa e
desideri collettivi.
La raccolta di storie e racconti degli
anziani, piccoli laboratori creativi con i bambini, insieme al riconoscimento
di luoghi di riferimento delle comunità, hanno invece creato una nuova e
positiva mitologia del luogo.
Dagli primi abitanti di entrambe le
comunità, abbiamo scoperto insieme miti e legende del posto, sulle sorgenti
d’acqua e i frutteti che riempivano la vallata prima della invasione, della
nascita delle due Vilas, inizialmente separate da un muro, poi unite in
un’unica comunità; abbiamo ascoltato di Cosma e Damiano - i due santi medici
della religione cattolica e i bambini Ibéje nel Candomble - che hanno dato nome
al luogo e poteri leggendari all’acqua della fonte, dove le statue dei due
santi sono sepolte...
Tutte queste storie hanno risignificato il
luogo e la sua importanza per noi, per i suoi abitanti e per la città intera,
trasformando, anche solo per un breve momento, Vila Paraíso and Vila São Cosme
nel centro di Salvador.
1.De Cauter, L. (2004) Geology of the New Fear, in The
Capsular Civilization - On the City in the Age of Fear. Rotterdam, NAi
Publishers.
2.Agamben,
G. (2007) Elogio della profanazione, in Profanationi. Roma, Nottetempo.
A
Parabola do São Cosme na Vila Paraíso.
Francesco Careri, Maria Rocco, Giorgio Talocci for LAC_Laboratorio Arti Civiche
1.
Apreensão urbana
Apreensão (1): ansiedade ou medo que algo ruim ou desagradável
aconteça.
Apreensão (2): entender, compreender.
Ao jogar
nossos corpos no ambiente urbano de Salvador, o Laboratorio Arti Civiche
pretendia declinar o termo apreensão em seu duplo significado, combinando-os
com a experiência do ambiente urbano através do corpo: apreensão urbana é então
a sensação de perigo que nos faz entender
o espaço com maior intensidade e rapidez de percepção.
Nos dias
atuais, a apreensão urbana traduz simplesmente em medo: espaços públicos não são mais lugares de encontro com o outro e sim, cada vez mais, um espaço do medo do outro - um diferente ou um
estranho do qual precisamos nos defender e proteger.
A nova mitologia do medo urbano e,
consequentemente, da segurança urbana
tem sido construída: o outro é algo que ameaça nosso modo de vida com sua
presença, e do qual nós temos que nos defender. Tecnologias de controle,
políticas e regulações sobre o uso dos espaços públicos se espalham,
constrangendo o corpo e seus comportamentos num conjunto de regras que
eventualmente limitam o direito do uso e transformam o espaço público para todo
um espectro de cidadãos.
Laboratorio
Arti Civiche quer criar uma renovada (contra-)mitologia
do espaço público como um lugar do encontro e do mútuo aprendizado com o outro,
começando exatamente pela apreensão
do que o outro atualmente significa e
buscando superar o medo que há contra ele – acreditando que o conhecimento de e a presença no espaço
público produz um senso de pertencimento, de uma vigilância espontânea, de desejo de cuidado com o outro.
2.
Quem perde tempo, ganha espaço
A
preparação da oficina começou através
de uma deriva, uma das modalidades
usuais de ação do LAC: o termo deriva (passeio,
volta) carrega duplo significado do termo um andar desviado do que é hegemônico
e a possibilidade de maior diversão na própria deriva: pode ser definida como
uma forma de projeto aberto e indeterminado, que procura obter – e depois deixa
seguir - uma ação espontânea para o território em que atravessa, ao invés de
impor um projeto fixo e predeterminado sobre ele.
Nós
derivamos por Salvador buscando por esse território, imaginando que este seria
um espaço de sobra entre um conjunto de casas, um jardim onde poderia ser
recriado o senso de espaço público e que esse pudesse mudar os dois
significados da palavra apreensão
junto com os habitantes do lugar.
Entretanto,
durante a deriva, tropeçamos com um
espaço bem maior e sua comunidade: o
labirinto de ruas, os becos e as pessoas da Vila Paraíso e da Vila São Cosme,
dois assentamentos informais localizados bem no meio do bairro Engenho Velho de Brotas. Nenhuma das pessoas nos
acompanhavam sugeriram que passássemos por ali, embora fosse evidente que este
era o caminho mais rápido para descermos para uma rua que passava em um nível
mais abaixo.
Assentamentos
informais são geralmente associados à figura do labirinto, já que a
complexidade e a contínua mutabilidade de seus espaços levam ao medo de
atravessá-los. O medo é relativo à questões de segurança (o labirinto
dificilmente pode ser controlado e enquadrado por paradigmas gerais de proteção nos espaços públicos)
e isso ocorre geralmente pelo pouco conhecimento que muitas pessoas tem sobre
esses espaços e pelas imagens de crime e violência usualmente associadas à
estes espaços pela mídia.
O medo
obviamente relaciona-se com vários fatores que produzem a fragmentação urbana e
a segregação dos ambientes da cidade de acordo com as diferenças de classe,
status, etnia, religião, política e orientações sexuais: o trabalho do
Laboratorio Arti Civiche na Vila Paraíso e na Vila São Cosme procurou desativar
essas dinâmicas de segregação trabalhando com suas fronteiras visíveis e
invisíveis, profanando-as por dentro.
Com este
objetivo – de entender a dinâmica do território para ser capaz de questioná-lo
a partir de dentro – havia a necessidade do insistir,
para construir uma relação com a comunidade ali habitante e criar uma conexão
com a realidade circundante. Este modo d ação pode ser resumido em um mote
‘quem perde tempo, ganha espaço’: na Vila Paraíso e na Vila São Cosme nós
perdemos tempo, acreditando na necessidade de gastar muito tempo para ganhar o
conhecimento do espaço e da comunidade que ali habita, antes de começar
qualquer tipo de atuação.
A oficina foi precedida pelo período
preparatório no qual LAC visitou e explorou sistematicamente o espaço, conversando
com os habitantes, tentando estimular uma participação coletiva na oficina e compartilhando uma imaginação
sobre as possíveis ações que ali poderiam ser realizadas. A ideia de entregar
panfletos para mostrar a presença do nosso grupo e noticiar as atividades que
aconteceriam durante a oficina veio dos próprios habitantes e serviu como modo
de novas interações com a comunidade e com os habitantes envolta, que ficou
mais interessada.
Quando nós
propusemos fazer algo coletivamente com a comunidade a primeira sugestão deles
foi fazer uma feijoada: o panfleto noticiava exatamente esse primeiro momento
de convivência da interação que tomou uma forma, afinal, de trocas entre a
cozinha Brasileira e Italiana.
3. Profanation as negligence
“Sacred or religious were the things that
in some way belonged to the gods. As such, they were
removed from the free use and commerce of
men. [...] And if ‘to consacrate’ (sacrare) was the
term that indicated the removal of things
from the sphere of human law, ‘to profane’ meant,
conversely, to return them to the free use
of men. [...]
The passage from the sacred to the
prophane can, in fact, also come about by means of an
entirely inappropriate use (or, rather, a
reuse) of the sacred: namely, play. It is well known that
the spheres of play and the sacred are
closely connected. Most of the games with which we are
familiar derive from ancient sacred
cerimonies, from divinatory practices and rituals that once
beonged, broadly speaking, to the
religious sphere. [...] The power of sacred act lies in the
conjuction of the myth that tells the
story and the rite that reproduces and stages it. Play breaks
up this unity: as ludus, or physical play, it drops the
myth and preserves the rite; as iocus, or
wordplay, it effaces the rite and allows
the myth to survive.”
Giorgio Agamben, In Praise of Profanation2
O ato de profanar,
de acordo com Agamben, é uma particular forma de negligência, alcançada
exatamente através do jogar: O jogo
torna-se a mais poderosa ferramenta tanto para decifrar a mitologia do medo
como para mudar o modo como usualmente os espaços informais é percebido, o que
permite o retorno do uso comum à
esses espaços. A potência do ato do jogo acontece porque este não mina a sacralidade contida no objeto, desde que
este jogo alterne ou uma ou as duas esferas do sagrado – tanto o mito como o
rito. A criatividade do ato de jogo é exercida junto com a comunidade e
traduz-se em uma operação dupla que, ao mesmo tempo, reconstrói o mito e o legitima através do rito.
Em um jogo
de palavras coletivo (iocus) –
através da coleção de histórias e contos dos moradores antigos, de trabalhos
criativos com as crianças pequenas, no reconhecimento conjunto dos marcos e
monumentos importantes nas duas vilas – a mitologia do lugar é resgatada do
esquecimento, encontrada arqueologicamente, por traços que testemunham a
evolução da comunidade e do ambiente por ela criado.
Através
dos moradores antigos nós descobrimos sobre os mitos e lendas do lugar, sobre
as fontes de água natural e o pomar que ali havia antes da invasão, sobre o
surgimento das duas Vilas inicialmente separadas por um muro e depois reunidas
em uma única comunidade; também ouvimos sobre os gêmeos Cosme e Damião – os
dois santos médicos na religião
Católica e as crianças Ibéje no
Candomblé – que deram o nome ao lugar e às legendárias forças da fonte de água,
onde a escultura dos dois estão enterradas...
Esta fonte
foi o primeiro monumento que encontramos
e perguntamos sobre ele começando pelas duas moradoras mais antigas das duas
comunidades: nosso primeiro rito (jogo físico, ludus), a iniciação nas Vilas São Cosme e Paraíso, deu-se ali. E
foi seguida por uma comunhão e duas procissões. Iniciação: um banho coletivo na fonte da Vila São Cosme, construída
como canal da fonte de água natural, aqui aconteceu a primeira imersão dos
nossos corpos no espaço dos dois assentamentos, marcando nossa participação nos
ritos diários de banho na fonte – provavelmente o mais importante espaço
coletivo do assentamento, cenário de um momento chave na vida cotidiana da
comunidade. Comunhão: uma troca de
cozinhas, com uma preparação coletiva da feijoada Brasileira e do macarrão
Italiano, mas também um momento de encontro entre os participantes do workshop,
das duas comunidades de Vila Paraíso e Vila São Cosme e alguns vizinhos.
Comendo junto em um espaço público como a rua, facilitou a horizontalidade
entre os participantes e a colaboração de toda a comunidade para a organização
do espaço.
Procissão: dois momentos cruzando o espaço. Um
movimento de dentro para fora, seguindo as crianças carregando uma linha
vermelha para nos levar para fora do labirinto,
traçando uma conexão ideal entre o assentamento e o centro da comunidade no
topo do morro. E um movimento de volta, uma procissão em forma de um desfile de
tambores liderada pelas próprias crianças, até a fonte onde tudo nasceu.
Esses rituais profanaram o senso de
medo relativo ao espaço dos dois assentamentos e às bordas que esse próprio
medo criou, liberando uma grande energia criativa e faíscas de desejo coletivo.
Redecretando e re-escrevendo seus mitos o espaço e sua
importância foi re-significado para nós, para os habitantes e para toda a
cidade, colocando, apesar de ser em um curto período de tempo, a Vila Paraíso e
a Vila São Cosme no centro de Salvador.
1. De Cauter, L. (2004) Geology of the
New Fear. In:The Capsular Civilization - On the City in the Age of
Fear. Rotterdam: NAi Publishers.
2. Agamben, G. (2007) In Praise of
Profanation. In: Profanations. New York: Zone Books.
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