di
Francesco Careri e Maria Rocco (LAC_Laboratorio di Arti Civiche)
in corso di pubblicazione su www.nipmagazine.it
Ci arriviamo di venerdì pomeriggio alla
fine di una lunga camminata cominciata di buon mattino dalla nuova stazione
Tiburtina, passando per cantieri, grandi sommovimenti di terra, accampamenti
rom e cacciatori di reperti bellici. È la prima camminata con gli studenti del
nuovo Master[1] stiamo per tornare a
casa quando sulla strada verso la metro vediamo una rete aperta. Dietro c’è un
fitto canneto, dei rovi e un sentiero che si inoltra. Troppo invitante per non
entrarci. Ci infiliamo. Attraversiamo borsette di finto cuoio, brandelli di
abiti, forse siringhe e seguiamo il sentiero fino ad arrivare a una casetta con
intorno degli orti (urbani, certamente… urbani…). Il proprietario ha messo un
singolare sistema di allarme. Dei fili di ferro per terra che quando li si
pesta, fanno suonare dei grappoli di bottiglie. Ingegnoso. La porta è aperta ma
non c’è nessuno. Usciamo dalla sua proprietà e ci troviamo in un cantiere di
palazzine che sembrano venute dal raccordo anulare a saturare i pochi brandelli
di spazi vuoti ancora esistenti. Gli operai ci gridano di tornare indietro,
obbediamo ma fuggendo in avanti dove tra gli sterpi si ergono due bianche porte
di un campo di calcetto. Figura ormai classica delle periferie italiane,
fotografiamo.
In cima a una rupe ci appare questa
scena: una baracca di teli di plastica verde dove alcuni vecchietti giocano a
tressette. Intorno altri anziani assistono e commentano. Pioviccica. C’è una
lunga panca, ci sediamo e proviamo a farci notare. È un po’ che gli giriamo
intorno e li fotografiamo. Niente. Nessuno ci degna di un commento, di uno
sguardo. Il tressette li assorbe e non hanno voglia di parlare col primo che
capita. Dopo molti sforzi riusciamo a interagire: quella casa del tressette l’abbiamo
costruita noi… insieme ad altri giovani… quel poco di spazio su cui si riesce a
camminare lo abbiamo sottratto ai rovi… era tutto una massa di spine
inaccessibile. Ovviamente tutto questo ci piace, capiamo che è proprio il posto
che stiamo cercando, se mai ne stessimo cercando uno. È qui che volevamo
inciampare. Quello squarcio verde in mezzo a palazzi, strade e cantieri, e soprattutto
quell'idea e quel processo che i frequentatori della casetta stanno portando
avanti, sono il terreno fertile dove proporre il progetto che comincia ad
apparire nelle nostre menti. Per ora non ne parliamo. Meglio non creare
aspettative. Ma non immaginiamo ancora quanto tutto questo ci coinvolgerà nei tempi
a venire.
Seguono due mesi di organizzazione del
workshop PICS[2] con ragionamenti
incrociati tra LAC e LUS, e contatti con le istituzioni e le associazioni
locali. Finalmente il workshop parte, in una prima fase si cammina, in una
seconda fase si costruirà. Ritorniamo dai vecchietti alla fine di una campagna
di esplorazione del quartiere di Pietralata, e questa volta insieme agli
studenti del Master ci sono sessanta studenti provenienti da tutta Italia e un
piccolo nucleo di abitanti. Attraversiamo l'intero quartiere di Pietralata in
gruppi e lungo differenti percorsi. Troviamo paesaggi dimenticati e
abbandonati, ma anche accessibili e ricchi di possibilità. Camminiamo, ne
facciamo esperienza con il nostro corpo, li abitiamo e nelle nostre menti
cominciano ad apparire nuovi immaginari. Raccogliamo storie e informazioni, seguiamo
tracce e intuizioni. Alla fine produciamo una serie di mappe. Vogliamo restituire
al territorio quei paesaggi che abbiamo attraversato. Desideriamo raccontare
agli abitanti quella rete di attraversamenti del quartiere che a noi si è
rivelata camminando e alcune idee utili per riattivarla con piccoli interventi
di fluidificazione artistica e paesaggistica.
Sabato mattina. La nostra prima
settimana si conclude a Parchetto Feronia. Oltre ai vecchietti nel frattempo
abbiamo conosciuto anche i giovani che hanno avviato l’associazione Feronia[3], sono molto attivi e
hanno tante idee per il parco. Inventiamo insieme un pranzo, o meglio un pics-nic, attorno alla casetta del tressette,
per condividere i risultati dell’esperienza e capire come procedere. Le mappe
elaborate sono stampate sulle tovagliette con cui vengono apparecchiate le
tavole. Si mangia, si chiacchiera del parco e del quartiere, si beve e si canta
accompagnati da chitarre e fisarmoniche. Poi la discussione si concentra sulla
parte bassa del parco, verso le porte del campo di calcetto che abbiamo visto
la prima volta, e su una vecchia rampa che scendeva nel bosco oggi infestata da
rovi alti più degli uomini, una massa inaccessibile. Comincia a nascere l'idea
di concentrare lì il lavoro successivo del workshop, per estendere il parco e
rendere fruibile anche quell'area. Andiamo insieme a vedere come si può fare. Dalle
parole ai fatti è un solo istante. Improvvisamente siamo in un film di Fellini:
un decespugliatore fa da apripista e si inoltra scolpendo tra i rovi una nuova
strada. Segue un corteo di musicisti, danzatori e saltimbanco, che procede
lentamente al ritmo del decespugliatore. Quando la strada è aperta si balla in
cerchio schiacciando l’erba del campo di calcetto al suono vetusto delle
fisarmoniche tzigane. Un rituale ludico collettivo inaugurale, che sancisce
l’annessione al parco di questo nuovo spazio, ma soprattutto una nuova fratellanza
tra PICS e l'associazione Feronia.
Prima di tornarci passa un altro mese
di incontri e ragionamenti. Abbandonata
lentamente l’idea di intervenire in più luoghi del quartiere con il
pericolo di lasciare all’abbandono quanto potremmo produrre, si chiarisce che è
meglio seminare dove il terreno è fertile. L’obiettivo diventa partecipare al
progetto dell'associazione Feronia, far crescere il parco nato grazie alle sue
cure, nutrirlo con nuove idee, mettendo a disposizione competenze, forza lavoro
ed energia. Lanciarci in una sperimentazione comune alla ricerca di nuove
modalità di costruzione di uno spazio pubblico inedito e condiviso. Questo
almeno è quanto spieghiamo a cena la sera prima di iniziare i lavori, agli architetti,
paesaggisti e professionisti invitati a guidare la fase costruttiva del
workshop.[4] Vogliamo fare un parco
in una settimana. La sorte vuole che uno dei ragazzi del parco è falegname.
Dopo alcuni tentennamenti si convince. Domani verrà con il suo furgone con
tutti gli attrezzi di cui abbiamo bisogno. L'arrivo di una camionata di legno
inaugura la settimana di cantiere di autocostruzione. Si parte senza un
progetto vero e proprio. Ma il nostro viavai incuriosito ha scolpito i sentieri
che mancavano e ha rivelato alcune potenziali aree di intervento. A gruppi si cerca
di immaginare dei luoghi in diverse aree del parco con un disegno ancora aperto
alla trasformazione. Senza ulteriori riunioni ma con continui scambi di idee
tra tutti si cerca di armonizzare e controllare il processo relazionale,
creativo e costruttivo. A un certo punto tutti cominciano
ad andare a prendere le tavole di legno e a portarle in diversi posti.
Significa che si sa cosa fare.
Prendono il via sei piccole opere: la Casetta del Tresette, ricostruita in legno intorno a quella precedente, e che solo alla fine viene smontata con il consenso dei vecchietti; la Stazione Feronia, una piattaforma con sedute per la sosta nel parco, realizzata con pallets di riciclo; il Dragone, grande architettura zoomorfa che segnala, invita e accompagna a scendere nella parte bassa del parco; il Bosco a Dondolo, un sistema di panche sospese agli alberi a ridosso del nuovo percorso di discesa scolpito con il tagliaerba; il Merendero, una piattaforma con sedute all'ombra di un grande albero; il Frutteto, due tavoli con panche tra degli alberi da frutto piantati dai partecipanti; in tutto il parco diffondiamo un sistema di segnaletica per facilitarne la fruizione.
Il progetto/processo è continuamente
dirottato dai desideri di ognuno, dagli imprevisti saltati fuori in corso
d'opera e dalle conseguenze inaspettate, ma spesso determinanti, delle azioni
messe in campo. Lavorando a stretto contatto si susseguono accese discussioni
tra partecipanti e residenti: materiali impiegati, soluzioni costruttive, dove
mettere cosa, dimensioni, forme, colori… tutto, fino ai minimi dettagli, è
costantemente messo in discussione da tutti. Tanto che spesso si decide
costruire direttamente senza far sapere cosa e dove, per poi sparire al bar in
modo da “sfuggire alla partecipazione” e alle infinite elucubrazioni. Gli
abitanti infatti hanno scoperto per la prima volta che hanno facoltà di parola
e questo diritto non lo mollano più. Ma a parte il desiderio di commentare e
criticare, tutto viene poi assorbito e inglobato dal parco. In pochi giorni, a
lavori avviati, tutti contribuiscono come possono a ideare, costruire, fornire
materiali e strumenti, o anche solo supporto morale nei momenti di maggiore
fatica e problematicità; gli anziani del tressette ci coccolano con dolci e
altre attenzioni, i giovani dell'associazione cercano di coinvolgere il
vicinato e lavorano insieme a noi. L'opera finita prendere forme inedite che al
principio, nella fase d’ideazione, non erano assolutamente visibili. Sono
architetture di qualità, interventi ragionati e puliti, che non appartengono al
pensiero di un singolo, ma scaturiscono dalla capacità di armonizzare tra loro
tutti i contributi nel loro divenire.
Ultimo giorno. Giorno di inaugurazione,
di pranzi, di saluti e di arrivederci. Il miracolo si è compiuto. Si passeggia
nel parco e si abitano i nuovi luoghi fino a notte tarda. Si brinda “contro
Autocad” e tra le risate generali si propone di disinstallarlo tutti per non
diventare “caddisti”, i nuovi schiavi di alienanti catene produttive. Alla fine
è convinzione diffusa che il progetto indeterminato può essere. L’architettura
è molto più bella se fatta così, con chiodi, martello e lavorando con gli
abitanti. Senza disegni, senza rendering, senza simulazioni. Scherzando con gli
imprevisti. Alla scala del corpo dell’uomo, alla scala Uno a Uno.
[1]
Master MAAC - Arti Architettura Città |
http://www.articiviche.net/LAC/MAAC.html
[2]
Il Workshop è parte del seminario
progettuale PIETRALATA PAESAGGI PROSSIMI nell’ambito del programma PICS_Public
Identity and Common Space, a cura di Anna Lambertini, Annalisa Metta e Maria
Livia Olivetti (ricerca LUS/UniRomaTre), con Eliana Saracino e Mario Leonori,
in collaborazione con: Francesco Careri, Emanuela Di Felice, Florian Loesch,
Maria Rocco per LAC_Laboratorio Arti Civiche, Biennale dello Spazio Pubblico,
Associazione Feronia. http://www.livingurbanscape.org/pics.workshop.html
[3]
Associazione culturale Feronia: http://parchettoferonia.blogspot.it/ https://www.facebook.com/associazioneculturale.feronia
[4]
I gruppi di lavoro sono stati seguiti
da German Valenzuela (architetto, professore alla Universidad de Talca, Cile),
Francisco Guynot de Boismenu (architetto, Uruguay), François Vadepied e Mathieu
Gontier (Wagon Landscaping paesaggisti, Parigi), Patrizia di Monte e Ignacio
Grávalos (architetti, Saragozza), con la partecipazione di Monica Bertolino
(architetto, Cordoba, Argentina) e con l’intervento di Daniela Colafranceschi
(architetto, professore all’Università di Reggio Calabria).
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