CONSTANT
















"Siamo i simboli viventi di un mondo senza frontiere,

di un mondo libero, senza armi,

nel quale chiunque può viaggiare senza limitazion

dalle steppe dell'Asia centrale alle coste atlantiche,

dalle alte pianure dell'Africa del Sud alle foreste finlandesi."

Vaida Voivod III, Presidente della Comunità Mondiale dei Gitani.

In: “Algmeen Handelsblad”, 18 maggio 1963 (CONSTANT 1, p. 49)



Una città nomade

L'intera vita di Constant Nieuwenhuys, o più semplicemente Constant come ha sempre preferito farsi chiamare dai suoi compagni situazionisti, è il tentativo di immaginare come potrebbe svolgersi in un altro modo la vita degli uomini su questa terra. Il suo cognome ha in questo senso qualcosa di profetico: in olandese significa letteralmente "nuova casa" e il suo progetto di New Babylon è un nuovo habitat per una nuova umanità nomade, libera dalla schiavitù del lavoro e libera dalla schiavitù della sedentarietà. L'enorme quantità di plastici, mappe, disegni e scritti che formano l'insieme inscindibile di New Babylon vuole essere soprattutto un progetto rivoluzionario per l'intera società. New Babylon è infatti molto più di un'affascinante ipotesi urbana che precorre le megastrutture degli anni sessanta ed è molto più di un bellissimo progetto che anticipa le architetture degli anni novanta. New Babylon è prima di tutto un'appassionata dichiarazione d'amore all'umanità, è un manifesto politico che intende ricordare a tutti gli uomini che essi sono liberi.

Quando nel gennaio del '99 sono andato a trovarlo nel suo atelier di Amsterdam dove ogni giorno dipinge e suona in compagnia del suo cane Tikus, Constant mi ha mostrato gli ultimi quadri. Sui cavalletti erano appese delle grandi tele raffiguranti i profughi del Kosovo, i massacri del Kurdistan, i bambini del Ruanda. I lunghi reticoli della città di New Babylon sono stati sostituiti da popoli in fuga, da carovane di gente disperata che erra a piedi attraverso un pianeta vuoto. Milioni di persone respinte dalle frontiere del benessere. Constant mi ha detto: "Ho sempre avuto l'idea di cambiare la società. È terribile adesso. È una società detestabile. Ci sono soldi solo in una parte del mondo, nel resto del mondo è l'inferno… è un mondo atroce. Dicono che la realizzazione di New Babylon non è possibile, ma allora io mi chiedo: è la miseria l'alternativa alla città dell'Homo Ludens? Ecco quello che succede oggi e che succederà finché New Babylon non sarà realizzata… Sai, sto pensando di scrivere un libro su New Babylon e "la città della miseria". Io ho ottanta anni, ho vissuto la guerra e la crisi degli anni '30. Non c'era da mangiare, eppure non ho mai visto tanta miseria come quella che c'è oggi nella Società della Prosperità. È una società ricca, la più ricca che io abbia mai visto. Quando esco da casa vedo negozi pieni di tutto e gente ricchissima che passa accanto a uomini che vivono nella miseria, ci sono sempre più persone che non hanno niente. Vedo ovunque queste cose… qui, a Parigi, a New York. Ma è questa l'alternativa a New Babylon?"
Oggi Constant si definisce un pittore. Anche se per venti anni ha lavorato con plastici e con disegni di architettura, non ama essere chiamato "architetto" e neanche "hyper architetto" come lo ha definito Mark Wigley nella recente retrospettiva di Rotterdam. È stato pittore, scultore e architetto ma in realtà ha semplicemente voluto dare una forma tangibile alla propria visione del mondo. Dipingere significa per Constant produrre un nuovo spazio insieme a una nuova idea della società che potrà abitarlo. In questo senso New Babylon può essere considerata la visione tridimensionale di un nuovo spazio sociale e le sue maquettes una sorta di "pitture tridimensionali", degli oggetti capaci di descrivere un'alternativa possibile alla vita quotidiana, una diversa possibilità di "abitare il mondo".

L'effetto che i settori di New Babylon hanno suscitato nel pubblico alla fine degli anni cinquanta deve essere stato quello di strane astronavi venute da lontane galassie e in realtà l'impressione che si prova ancora oggi, quando si entra per la prima volta in contatto con New Babylon, è quella di trovarsi di fronte all'incredibile utopia ipertecnologica di un architetto visionario.
Ma per Constant New Babylon non è affatto un'utopia. Citando l'amico filosofo Henri Lefebvre, Constant si definisce un utopiano e non un utopista: "Bisogna distinguere gli utopisti dagli utopiani, ossia le utopie astratte dalle utopie concrete (…) Il pensiero utopista esplora l'impossibile, mentre il pensiero utopiano sprigiona il possibile." (cit. in LAMBERT 2, p. 7)

Queste utopie concrete assomigliano molto a quelle utopie effettivamente realizzate che Foucault aveva chiamato eterotropie: "Le utopie sono spazi privi di un luogo reale. (…) Ci sono anche, e ciò probabilmente in ogni cultura come in ogni civiltà, dei luoghi reali, effettivi, dei luoghi che appaiono delineati nell'istituzione stessa della società, e che costituiscono dei contro-luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate nelle quali i luoghi reali, tutti gli altri luoghi reali che si trovano all'interno della cultura vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti; una sorta di luoghi che si trovano al di fuori di ogni luogo, per quanto possano essere effettivamente localizzabili. Questi luoghi, che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò in opposizione alle utopie, eterotropie." (FOUCAULT, p. 14)

Mentre per Foucault questi luoghi si trovano su territori definiti e stabili, l'utopia di Constant ha come luogo potenziale l'intero pianeta e non è irreale essendo di fatto già stata realizzata dalle società nomadi. New Babylon è un utopia concreta in quanto concreto è anche il suo riferimento storico. La società che dovrebbe abitare la città di Constant vive già su questo pianeta, è già tra noi, anzi c'è sempre stata. Prima della sedentarizzazione (che è un fatto recente, solo diecimila anni rispetto ai milioni di anni dalla comparsa dei primi uomini erranti), l'intera umanità era una variegata società nomade, libera di spostarsi in un mondo senza frontiere, libera di abitare la terra in ogni suo luogo come a New Babylon. Ma New Babylon non è l'Eden. Il nomadismo di Constant è filiazione diretta del marxismo postindustriale. Nomadismo come rifiuto del sistema di produzione capitalista, come rifiuto del sistema di accumulazione dei beni, come rifiuto della proprietà privata e di ogni confine etnico ed economico. Nomadismo per un nuovo uso del tempo, dello spazio, della propria vita.

La domanda cui cerca di dare risposta Constant è in fondo molto semplice: come sarà la società quando sarà libera dal lavoro? O meglio: come sarà la vita quando si raggiungeranno la completa automazione della produzione, la socializzazione dei mezzi di produzione e un'equa distribuzione dei prodotti tra tutti gli abitanti della terra. E la risposta è altrettanto semplice: non dovendo più lavorare l'uomo non avrà più bisogno di un domicilio fisso, potrà ricominciare a fluttuare liberamente nello spazio e ad esplorare tutti gli angoli della terra, avrà a sua disposizione tutto il tempo da dedicare alla realizzazione dei suoi desideri, l'attività lavorativa si trasformerà in attività creativa e in breve l'Homo Faber si trasformerà in quell'Homo Ludens descritto dall'olandese Huizinga. L'utile farà posto all'attività creativa per eccellenza, il gioco. Tutte le arti andranno a collaborare in un Grande Gioco che verrà, in quell'attività di trasformazione dello spazio che si chiamerà urbanismo unitario. New Babylon sarà dunque una grande opera collettiva, sarà il frutto della creatività dei neobabilonesi, di una nuova società multietnica che comincerà a costruire e a ricostruire all'infinito il proprio spazio.

New Babylon è un'infinita Torre di Babele orizzontale, uno spazio di tutti gli uomini e di tutte le culture. Una Babele che non mira a conquistare il cielo ma ad avvolgere la Terra. New Babylon percorre il pianeta come una ramificazione di nuvole sospese tra cielo e terra, non lascia altra traccia che la propria ombra sul suolo. Il percorso nomade, antiarchitettonico per antonomasia, si trasforma così in architettura. Dopo essere stata riattualizzata dalle escursioni urbane di Dada, dalle deambulazioni surrealiste e dalle derive urbane dei situazionisti, la linea sinuosa dell'erranza assume con Constant la forma di una gigantesca tenda nomade. Una tenda sospesa che sovrapponendosi ad immensi territori diventa un complesso e ramificato spazio pubblico dalle architetture incredibilmente contemporanee.

Dopo la sua prima apparizione a New Babylon il nomadismo ha percorso in lungo e in largo le architetture radicali degli anni sessanta, dalle tende geodetiche di Fuller al nomadismo hippy di Superstudio. Ma i germi di Constant hanno attecchito soprattutto nell'ambiente dell'Architectural Association di Londra. Peter Cook e Michael Webb hanno più volte affermato che senza New Babylon non sarebbe stato possibile immaginare la Walking City di Archigram. Nel lontano 1961, quando ancora erano studenti, raccontano di aver preso avidamente appunti durante una conferenza di Constant che li aveva letteralmente storditi, e probabilmente a qualcuna di queste conferenze devono essere andati anche Richard Rogers, Renzo Piano e il suo compatriota olandese Rem Koolhaas che nell'agosto del 1966, prima di diventare architetto, lo aveva intervistato sugli aspetti nomadi di New Babylon.

Quando gli ho chiesto cosa pensava del fatto che molti frammenti delle sue architetture sono stati costruiti oggi in tutto il mondo per celebrare l'immagine del capitalismo trionfante, Constant mi ha risposto: "Hanno preso soltanto la forma senza il contenuto. La mia era una forma per il contenuto. E del resto avevo sempre detto che New Babylon non sarebbe potuta essere realizzata dalla società esistente. Non sarà realizzata con le mie forme, sarà realizzata dai neobabilonesi."

E osservando come si vanno sviluppando le metropoli del terzo millennio sembrerebbe che i neobabilonesi si siano già messi all'opera. Tra i margini della città attuale si possono attraversare delle vere e proprie utopie concrete costruite spontaneamente dalle complesse società che le abitano. Non hanno l'aspetto ipertecnologico della città di Constant, ma assomigliano a quelle zone care ai giovani membri dell'Internazionale Lettrista a cui Constant aveva dedicato la serie dei terrains vagues, la prima serie di quadri dipinti non appena aveva deciso di mettere nel cassetto il progetto di New Babylon per riprendere il pennello e la tela.

Terrain vague. Spazi in attesa, zone in abbandono, spazi vissuti e trasformati abusivamente da abitanti di diverse etnie e in cui si realizzano nuovi comportamenti, nuove forme creative, nuovi spazi di libertà. Luoghi in cui si sviluppano quelle mutazioni geografiche che avvengono fuori dal controllo del potere e che producono delle vere e proprie amnesie urbane: territori di scarto, dimenticati o cancellati dalle mappe mentali dei cittadini perché rimossi dalla coscienza; una sorta di città inconscia che vive accanto alla città del quotidiano. Questi territori formano un sistema di spazi vuoti che si ramifica dentro ai pieni, proprio come i contenitori vuoti di Constant si ramificavano sopra le città del pianeta.

Eugenio Turri scrive che per i nomadi dei deserti uno spazio vuoto è un luogo dove non ci sono interessi produttivi; la parola “Sahara” indica uno spazio “privo di pascolo”, mentre “Sahel” (l'orlo meridionale del Sahara) significa "sponda" o "bordo", ed è il margine del grande spazio vuoto attraverso il quale, come in un grande mare, si "approda" a qualcosa di stabile e di conosciuto: è il luogo in cui il nomade entra in diretto contatto con la civiltà urbana. Il Sahel è un confine permeabile, è il luogo dello scambio e dei continui riequilibri tra i due diversi modi di abitare il mondo, è il luogo di confronto tra la città nomade e la città sedentaria. (TURRI, p. 193) Nella città attuale il margine tra il sistema dei vuoti e quello dei pieni funziona come il Sahel: è una lunga spiaggia, un bagnasciuga mutevole in cui le due città si scambiano reciprocamente i propri beni. Qui la città nomade vive in osmosi con la città sedentaria, si nutre dei suoi scarti e gli offre in cambio un territorio che può essere esplorato, vissuto e trasformato come una foresta vergine e incontaminata. È in questi spazi che si sta già cominciando a costruire New Babylon.









Constant ad Alba

1.1 Alba, settembre 1956

La storia di New Babylon comincia nel nuovo clima politico del 1956, l'anno del XX° Congresso del P.C.U.S. e delle rivelazioni di Kruscev e l'anno delle insurrezioni in Algeria e degli scioperi in Spagna, Polonia e Ungheria. È una storia che comincia in Italia e più precisamente ad Alba. È in questa piccola città piemontese, infatti, che arte politica e nomadismo trovarono un primo terreno di incontro. Alba era da sempre un antico crocevia delle carovane dei nomadi provenienti dalla Francia ed era diventata in quell'anno anche il crocevia di diversi movimenti artistici legati da un rinnovato impegno politico.

Nei locali sotterranei di un convento seicentesco di Alba, uno strano personaggio chiamato Pinot Gallizio aveva allestito il proprio atelier per sperimentare nuove forme di pittura. Gallizio era un pittore autodidatta, un appassionato di nomadismo nonché ex partigiano e consigliere comunale del P.C.I. In più occasioni aveva difeso in comune le ragioni dei nomadi, fino ad offrirgli il proprio terreno per stabilirvi il loro accampamento. Gallizio aveva proposto al pittore danese Asger Jorn di utilizzare il suo studio come Laboratorio Sperimentale del M.I.B.I. un movimento che attirò ad Alba un grande numero di artisti da cui si formò più tardi l'Internazionale Situazionista .

Il 2 settembre si apre nelle sale del Municipio di Alba il Primo Congresso Internazionale degli Artisti Liberi. Il calendario prevede tra gli altri gli interventi di Constant, un artista che aveva condiviso con Jorn l'esperienza del gruppo Cobra e di Gil J. Wolman il delegato dell’Internazionale Lettrista, una formazione parigina fondata da Guy Debord e che recentemente aveva aderito al M.I.B.I.. Molti interventi vertono sulle relazioni tra arte architettura e società, ma il discorso di Wolman pone all’attenzione dei presenti una proposta concreta: per i lettristi è fondamentale trovare un terreno d'azione comune per tutte le esperienze artistiche presenti al convegno. Questo terreno deve essere l'Urbanisme Unitaire, un'urbanistica "rivolta alla vita e contrapposta al funzionalismo razionalista", un'attività creativa che porti a "scoprire una nuova giungla caotica attraverso sperimentazioni prive di utilità e di senso". Concludendo il suo discorso Wolman afferma: “si porrà la strada tortuosa, la strada incassata, il vicolo cieco al posto del cemento teso. Così la campagna indefinita dinanzi alla città diverrà l’oggetto di studi tutti particolari e si bandiranno competizioni destinate alla scoperta dei migliori luoghi”. Purtroppo questi studi rivolti ai margini della città non furono mai portati avanti, mentre il tema dell'urbanismo unitario diventerà subito centrale e verrà approfondito in seno all'IS con un vivace confronto tra Constant e Guy Debord.

1.2 Da Reflex a Cobra

Constant era arrivato ad Alba alla fine dell’estate e dopo il congresso di settembre decide di restarvi per sei mesi fino all’inizio del 1957. Questo soggiorno è per Constant un momento importante sotto diversi aspetti. È per lui il momento del definitivo passaggio dalla pittura all'architettura, è il primo incontro con la cultura nomade e con i lettristi, ma è anche un importante momento di verifica del suo rapporto con Asger Jorn. Aveva conosciuto Jorn nel '46 quando si era trasferito a Parigi ed insieme avevano cominciato a riflettere sulla necessità di riconnettere i legami tra gli artisti europei interrotti durante la guerra, cominciando a preparare, insieme al poeta Dotremont, quel grande movimento di artisti sperimentali che sarà Cobra .

Tornato ad Amsterdam da Parigi nel 1948 aveva fondato con Appel e Corneille l'Experimentele Groep e la rivista Reflex. Erano cominciate così le prime opere a più mani e le ricerche sulla creatività infantile che informeranno le sue tele del periodo Cobra. Il suo obiettivo principale in quegli anni era già l'elaborazione di un’attività collettiva e la creazione di un’arte popolare fondata sulla categoria del desiderio e sull’impegno sociale e rivoluzionario dell’artista. Nel Manifesto di Reflex del 1948, a ventotto anni, Constant scrive:

“Un’arte popolare non può corrispondere alle concezioni del popolo, perché il popolo anche se partecipasse attivamente alla creazione artistica, non concepirebbe che formalismi storicamente imposti. Ciò che caratterizza l’arte popolare è l’espressione vitale, diretta e collettiva. (…) Una nuova libertà sta per nascere, che permetterà agli uomini di soddisfare il loro desiderio di creare. In questo processo l’artista professionista perderà la sua posizione privilegiata: ciò spiega la resistenza di alcuni artisti attuali. Nel periodo di transizione la creatività artistica si trova in permanente conflitto con la cultura esistente, mentre annuncia nello stesso tempo una cultura futura. Con questo duplice aspetto l’arte ha un ruolo rivoluzionario nella società. È un suo dovere quello di distruggere le ultime vestigia di un’estetica vuota e ingombrante, al fine di risvegliare l’istinto creatore che dorme in ciascuno di noi. (…) Bisogna mettere fine all’arte in quanto idealismo estetico posto al di sopra della vita.” (CONSTANT 2)

Constant è cosciente che l'arte sta attraversando un periodo sperimentale cui seguirà una nuova fase che si può prefigurare solo immaginandola. In questo momento storico dunque è l’immaginazione quello che conta e questa non deve essere il privilegio dell’artista, ma ha bisogno delle facoltà immaginifiche di tutti. Bisogna concentrarsi non tanto sulla produzione di oggetti quanto alla sperimentazione di processi. L’atto creativo dovrà essere più importante del suo risultato finale, l’opera.

Lo stesso anno il gruppo di Reflex confluisce nel movimento Cobra per la cui rivista Constant scrive C’est notre désir qui fait la révolution (È il nostro desiderio che fa la rivoluzione), un testo dai toni sempre più militanti:

“La sperimentazione è un mezzo necessario per conoscere la sorgente e il fine delle nostre aspirazioni, le loro possibilità, i loro limiti. (…) Parlare di desiderio, significa parlare dello sconosciuto, del desiderio di libertà. (…) La liberazione della nostra vita sociale, che proponiamo come impegno elementare, ci aprirà le porte di un mondo nuovo. (…) E’ impossibile conoscere un desiderio se non soddisfacendolo, e la soddisfazione del nostro desiderio elementare è la rivoluzione. (…) Noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene, noi non possiamo che tentare l’avventura !” (CONSTANT 3)

Con Cobra la sperimentazione a tutto campo diventa finalmente possibile, è un incredibile momento di euforia collettiva. In tre anni, dal '48 al '51, si esplorano infinite di possibilità di integrare poesia, pittura e architettura. Nel 1949 si organizzano incontri in cui più artisti collaborano per modificare a più mani interi ambienti architettonici. Le riunioni si spostano da Parigi ad Amsterdam, da Bregnrerød a Tibirkelunde in Danimarca, da Malmö a Funder in Scandinavia, dove Constant, Corneille e Appel decorano tutta la casa di Èric Nyholm con pitture murali e dove realizzano sopra un quadro costruttivista di Mortensen una serie di modificazioni pittoriche avviando quella tecnica che sarà sviluppata più tardi nei détournements di Asger Jorn.

1.3 Constant architetto

Ad Alba Constant mostra un totale disinteresse per la pittura e si presenta invece come architetto. Il suo intervento al congresso Demain la poésie logera la vie (Domani la poesia ospiterà la vita), è un discorso completamente imperniato sulla ricerca di una collaborazione tra l’arte e la tecnica e sul ruolo sociale

dell'architettura che "potrà diventare una vera arte della costruzione (…) un'arte delle più complete, che sarà allo stesso tempo lirica per i propri mezzi e sociale per la sua stessa natura". (WIGLEY, p. 78)

Già dai primi anni cinquanta Constant aveva cominciato a sentire una certa insoddisfazione verso le sperimentazioni Cobra. Nel periodo successivo allo scioglimento del movimento si era allontanato sempre più dalla pittura e per interessarsi all’architettura in quanto terreno di possibili interazioni tra spazio e comportamento. Nel 1952 decide di partire per Londra dove compie lunghissime passeggiate per osservare con i propri occhi la nuova fase dell’industrializzazione: “A Londra ho cominciato a interessarmi alla città in quanto costruzione e all’urbano in quanto supporto dell’arte” (LAMBERT 2, p. 15). La città diventa il tema più profondo dei suoi pensieri. Comincia a pensare allo spazio urbano come teatro di operazioni estetiche e come opera d’arte collettiva realizzata da un intera umanità creatrice.

Tornato ad Amsterdam l’anno successivo chiede all’amico Aldo van Eyck, considerato in quel momento la punta della nuova generazione di architetti olandesi, di consigliargli dei testi di architettura. Van Eyck che aveva collaborato con Cobra, invita Constant a partecipare alle riunioni del gruppo De 8, la sezione olandese del CIAM. Constant ricorda così quei primi incontri con gli architetti: “Io volevo imparare… Ma ero conscio che c’era una certa distanza tra di noi. Loro pensavano alle condizioni del presente. Io già sognavo il futuro.” (WIGLEY, p. 21)

Frequentando gli architetti olandesi Constant conosce Rietveld con il quale collabora per il modello abitativo “Idea for Living” in cui ha il ruolo di approfondire la ricerca cromatica nello spazio tridimensionale con il fine di superare gli schemi neoplastici dei colori puri. Rietveld gli propone di diventare membro della Liga Nieu Beelden (Lega per la Nuova Rappresentazione) in cui incontra personaggi come Jacob Bakema, J.H. van den Broek, Naum Gabo e Carola Giedion-Welcker. Constant partecipa con le sue costruzioni spaziali a tutte le esposizioni della Liga e comincia a lavorare con i migliori architetti olandesi. Produce oggetti di design e costruisce alcune strutture per il gioco dei bambini e, su commissione di Bakema, la grande scultura metallica del Monument voor Wederopbouw (Monumento della Ricostruzione, 1955). È in questo periodo che entra in contatto con gli scultori Steven Gilbert e Nicolas Schöffer che avevano cominciato a lavorare a Spatiodinamic City, una città fatta di volumi traslucidi sospesi su altissimi pilastri e che poteva essere montata in luoghi diversi per poi crescere spontaneamente. Con i due scultori scrive “Neo-Vision”, un manifesto per lo spaziodinamismo che verrà firmato anche da André Bloc e da Claude Parent del Groupe Espace. Comincia a interessarsi sempre più al tema dell’abitare, scrive un testo “Art et Habitat”, intesse rapporti in Inghilterra con Alison e Peter Smithson che con Erskine, Candilis, Bakema e Aldo van Eyck avevano nel frattempo formato il Team 10.

Constant assorbe velocemente dall'ambiente architettonico e molto presto comincia a comprendere che il problema del rapporto tra arte e architettura è mal posto: non si tratta solo di integrare le opere degli artisti nello spazio dell'architettura, ma tutte le discipline devono concorrere alla costruzione dello spazio dell’uomo. Il problema dell’abitare per Constant deve essere impostato come riappropriazione della necessità primordiale dell'autodeterminazione del proprio ambiente, come liberazione dell’istinto alla costruzione della propria casa e quindi della propria vita, come riscoperta dell’impulso all’avventura da parte dell’uomo urbano. Le sue convinzioni trovano un pieno accordo con il discorso pronunciato dal lettrista Wolman al Congresso di Alba, ed è proprio durante il suo soggiorno ad Alba che comincia i suoi primi lavori di architettura. Progetta una sorta di piano urbanistico di Alba con programmazione psicogeografica dei percorsi in cui la città diviene campo di derive continue e disegna il Padiglione per il Laboratorio Sperimentale del M.I.B.I. che sarebbe dovuto essere costruito per la mostra della XI Triennale di Milano del 57, ma che non fu mai realizzato.

Quello che arriva ad Alba non è solo un affermato pittore dell’ex gruppo Cobra, è un architetto che ha cominciato a realizzare interventi nel vivo della città, che è entrato in contatto con le più avanzate frange dell’architettura degli anni cinquanta e che si propone di andare oltre, di oltrepassare l'architettura in quella nuova attività completa che sarà l’urbanismo unitario.


1.4 La visita all'accampamento dei nomadi

A dicembre visita con Gallizio il campo degli zingari di Alba. È la prima volta che entra direttamente in contatto con la cultura nomade e che vede con i suoi occhi la reale possibilità di un diverso modo di abitare. Molti anni dopo è lui stesso a ricordare come quella esperienza abbia dato inizio al progetto di New Babylon: “I Gitani che si fermavano per qualche tempo nella piccola città piemontese di Alba avevano preso da moltissimi anni l’abitudine di costruire il loro accampamento sotto la tettoia che ospitava una volta alla settimana il mercato del bestiame. Qui accendevano i loro fuochi, attaccavano le loro tende ai pilastri per proteggersi e per isolarsi, improvvisavano dei ripari con casse e tavole abbandonate dai commercianti. La necessità di ripulire la piazza del mercato dopo tutti i passaggi dei Gitani aveva portato il Comune a vietarne l’accesso. Si erano visti assegnare in compenso un pezzo di terreno erboso su una riva del Tanaro, un piccolo fiumiciattolo che attraversa la città: un anfratto dei più miserabili. È là che sono andato a trovarli, in compagnia del pittore Pinot Gallizio, il proprietario di questo terreno scabro, fangoso, desolato che gli era stato affidato. Di quello spazio tra le roulotte, che avevano chiuso con tavole e bidoni di benzina, avevano fatto un recinto, una “Città dei Gitani”. Quel giorno ho concepito il progetto di un accampamento permanente per i Gitani di Alba e questo progetto è all’origine della serie di maquettes di New Babylon. Di una New Babylon dove si costruisce sotto una tettoia, con l’aiuto di elementi mobili, una dimora comune; un’abitazione temporanea, rimodellata costantemente; un campo nomade alla scala planetaria." (CONSTANT 1, p. 15)

Nell'universo nomade riconosce un intero apparato concettuale con cui scardinare le basi della società occidentale e con cui sferrare un attacco all’architettura funzionalista. Non solo la casa sedentaria radicata nel suolo può essere sostituita dalla tenda nomade che si sposta sul terreno senza lasciarvi tracce, ma anche lo spazio urbano può essere immaginato come spazio del percorso nomade e dell'erranza continua. Si può concepire la città non come spazio dello stare ma come spazio dell'andare, come un infinito percorso che non lascia tracce sulla terra. Al ritorno da Alba comincia a progettare il campo per gli Zingari di Alba e in breve tempo arriverà ad immaginare una città pensata per una nuova società nomade in transito continuo attraverso il mondo, la città di New Babylon.






La città della deriva

2.1 L'incontro con i lettristi

Ad Alba Constant viene in contatto per la prima volta con l'Internazionale Lettrista e con la Teoria della Deriva recentemente messa a punto da Guy Debord. L'incontro con Debord è fondamentale: sarà l'unico a comprendere in tutta la sua complessità la portata di New Babylon e sarà il personaggio che sostituirà per Constant il ruolo svolto da Asger Jorn durante gli anni di Cobra. Con Debord avrà un continuo scambio culturale e s'instaurerà una sincera stima reciproca che non sarà mai messa in discussione neanche dopo le difficili dimissioni di Constant dall'IS.

La deriva urbana era una pratica estetica che discendeva dalle esperienze di spaesamento già sperimentate negli anni venti con le “visite-escursioni” di Dada e con le “deambulazioni” dei surrealisti, i quali avevano già riconosciuto nell'erranza una possibilità espressiva dell’anti-arte. Ma la deriva lettrista non solo mirava come per i surrealisti all'esplorazione delle zone inconsce della città, voleva essere un vero metodo scientifico di lettura della città. Appoggiandosi al concetto di psicogeografia la deriva tendeva al "riconoscimento degli effetti psichici del contesto urbano sull’individuo e sui suoi comportamenti". Lo spazio urbano era inteso come terreno passionale oggettivo e non soggettivo-inconscio come per i surrealisti ("I.S." n°2, p. 23). La deriva significava i lettristi sperimentare nuovi comportamenti nella vita reale e soprattutto si prestava ad essere utilizzata come nuova forma d’arte collettiva: un'operazione artistica che compiuta in gruppo aveva il potere di annullare le componenti individualistiche dell’opera d’arte tradizionale.

Prendere atto delle potenzialità della deriva costituiva per i lettristi di realizzare l'atteso superamento del surrealismo. Il movimento di Breton era in quel momento la corrente dominante dell’arte istituzionale e veniva accusato dalle avanguardie degli anni cinquanta di non aver portato fino alle estreme conseguenze il progetto dadaista del superamento dell’arte, di averlo tradito e di averne prodotto un surrogato commerciale recuperabile dal potere. I surrealisti avevano eliminato ogni componente sovversiva e rivoluzionaria di Dada traducendola in un prodotto meno pericoloso e più accettabile dalla società borghese. In questo processo di riduzione si erano perse quelle ricerche sulle forme d’arte collettive ed anonime cominciate nel primo surrealismo e si era favorito il ritorno all’affermazione dei talenti personali e alla produzione di opere da museo. In molte di queste trappole cadranno inevitabilmente anche i situazionisti. Quello del superamento dell’arte rimane infatti un fraintendimento che, come vedremo, verrà sciolto dai situazionisti solo agli inizi degli anni ‘60 con l’allontanamento dal movimento degli artisti del gruppo - sostanzialmente tutta l'ala immaginista - in un doloroso salto dal piano politico-estetico a quello esclusivamente politico-sociale.

2.2 Una città mobile e multietnica

Negli anni precedenti il loro incontro con il M.I.B.I., i giovani scrittori lettristi avevano cominciato a esplorare e a descrivere una nuova città. Il primo saggio in cui compaiono i termini di deriva e di urbanismo unitario (chiamato ancora urbanismo simbolico) è il Formulaire pour un Urbanisme Nouveau scritto nel 1953 dal diciannovenne Ivan Chtcheglov, alias Gilles Ivain. Il Formulario definisce l’architettura come “il mezzo più semplice per articolare il tempo e lo spazio, per modellare la realtà, per far sognare", come "una modulazione influenzale" e come "un mezzo di conoscenza ed un mezzo di azione.” È di Ivain la prima immagine di una casa mobile lettrista: “il soffitto di vetro lascia vedere le stelle e la pioggia. La casa è mobile e ruota insieme al sole. I suoi muri scorrevoli permettono alla vegetazione di invadere la vita. Montata su rotaie può avanzare il mattino fino al mare per rientrare la sera nella foresta.” ("I.S." n°1, p. 15)

Gilles Ivain descrive i nuovi scenari mobili di una città in cui ci si perderà errando tra i diversi quartieri che prefigurano i settori sospesi della città di Constant. "I quartieri di questa città potrebbero corrispondere ai diversi sentimenti che si incontrano per caso nella vita corrente. Quartiere Bizzarro - Quartiere Felice, riservato alle abitazioni - Quartiere Nobile e Tragico (per i bravi bambini) - Quartiere Storico (musei, scuole) - Quartiere Utile (ospedale, magazzini per gli attrezzi) - Quartiere Sinistro (…) che sarebbe di difficile avvicinamento e poco illuminato di notte (…) il bambino e l'adulto impareranno, esplorando il quartiere sinistro, a non avere più paura delle manifestazioni angoscianti della vita, ma a divertirsene. L’attività principale sarà una DERIVA CONTINUA. Il cambiamento di paesaggio di ora in ora sarà responsabile di uno spaesamento totale”. ("I.S." n°1, p. 15)

Anche Debord descriverà nel '59 una propria versione letteraria di città nomade, probabilmente già influenzata dai primi plastici di New Babylon. Si tratta della visione di una città in movimento e in continua trasformazione sul territorio come la casa di Ivain, ma il “progetto” di Debord nasce dal détournement di “due grandi civiltà architettoniche (in Cambogia e nel Sud-Est del Messico)” che, traendo vantaggio dalle condizioni climatiche in cui si erano sviluppate, avevano creato, attraverso un movimento accelerato di abbandono e di ricostruzione, delle “città mobili” nella foresta vergine: ”I nuovi quartieri di una simile città potrebbero essere costruiti sempre più verso Ovest, dissodati via via, mentre l’Est verrebbe in pari misura abbandonato all’invasione della vegetazione tropicale, che crea essa stessa delle fasi di passaggio graduale tra la città moderna e la natura selvaggia. Questa città braccata dalla foresta, oltre la zona di deriva incomparabile che si formerebbe dietro di essa, e un matrimonio con la natura più audace dei tentativi di Frank Lloyd Wright, presenterebbe il vantaggio di una messinscena della fuga del tempo, in uno spazio sociale condannato al rinnovamento creativo.” ("I.S." n° 3, p. 11)

Un altro bellissimo testo lettrista è la Description raisonnée de Paris (Itineraire pour une nouvelle agence de voyages) scritta da Jacques Fillon nel 1955. Si tratta di una sorta di guida turistica che descrive la città multietnica che si andava formando in quegli anni intorno a Parigi ed è costruita da una serie di itinerari da compiere a piedi a partire da Place Contrescarpe, il quartiere generale dell'Internazionale Lettrista. I nuovi abitanti sono visti come i potenziali attori di quella rivoluzione che avrebbe di lì a poco dovuto trasformare il mondo. Dai bar di ritrovo dei polacchi e dalle strane abitudini degli algerini si passa ai complicati cibi cinesi fino agli operai spagnoli della piazza di Aubervilliers che "aspettano la rivoluzione. Suonano la chitarra e cantano."

2.3 La teoria della deriva

La deriva urbana consisteva nello smarrirsi consapevolmente tra le pieghe della città. Era un'azione che consisteva nel costruire le modalità di una situazione il cui consumo era immediato e che diventava difficilmente spendibile all'interno del sistema dell'arte. Era un'azione fugace, un istante da vivere nel presente senza preoccuparsi della sua rappresentazione e della sua conservazione nel tempo. Tra il '55 e il '56 Guy Debord scrive l’Introduction a une critique de la géographie urbaine e la Théorie de la dérive (DEBORD 1 e 2). Debord intende costruire metodi sperimentali per "l'osservazione di alcuni processi del caso e del prevedibile nelle strade" con il fine di "descrivere una cartografia influenzale che fino ad oggi è mancata", che era già stata anticipata da Breton e che, come vedremo, verrà realizzata attraverso le mappe psicogeografiche disegnate insieme ad Asger Jorn.

Al contrario delle deambulazioni surrealiste, che Debord definisce "imbecilli" perché completamente determinate dal caso, "il concetto di deriva è indissolubilmente legato al riconoscere effetti di natura psicogeografica ed all'affermazione di un comportamento ludico-costruttivo, ciò che da tutti i punti di vista lo oppone alle nozioni classiche di viaggio e passeggiata." Debord fornisce anche alcune definizioni e regole utili per compiere una deriva:

- La psicogeografia è una scienza che "si propone lo studio delle leggi esatte e degli effetti precisi del mezzo geografico, coscientemente organizzato o no, che agiscono direttamente sugli affetti degli individui".

- Compiere una deriva significa “lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e la sua contraddizione necessaria: il dominio delle variazioni psicogeografiche attraverso la conoscenza e il calcolo delle loro possibilità”.

- La prima operazione da compiere è stabilire in base a cartografie psicogeografiche le direzioni di penetrazione dell’unità ambientale che è oggetto di studio; l'estensione dello spazio di indagine può variare dall'isolato al quartiere, e al massimo all'insieme di una grande città e delle sue periferie.

- La deriva deve essere intrapresa in gruppi costituiti da "due o tre persone giunte alla stessa presa di coscienza, poiché il confronto tra le impressioni di questi differenti gruppi deve consentire di arrivare a delle conclusioni oggettive".

- La durata media dell’operazione viene definita di una giornata, ma può estendersi a settimane o mesi, tenendo conto dell'influenza delle variazioni climatiche, della possibilità di fare pause, e anche di prendere un taxi per favorire lo spaesamento personale.

- Alcuni esempi particolari sono la “deriva statica di una giornata senza uscire dalla Gare Saint-Lazare (…) l’appuntamento possibile (…) e altri scherzi, considerati di dubbio gusto, che sono sempre in voga e ben visti nel nostro ambiente, come ad esempio, introdursi nottetempo nei piani delle case in demolizione o percorrere Parigi in autostop durante uno sciopero dei mezzi pubblici senza fermarsi, con il pretesto di aggravare la confusione facendosi trasportare in un luogo qualsiasi, o errare nei sotterranei delle catacombe chiuse al pubblico".

2.4 La città ludica

Alla città inconscia dei surrealisti, i situazionisti sostituiscono dunque una città ludica. Pur conservando una certa inclinazione alla ricerca del rimosso della città, i situazionisti cercano di sostituire il caso ed il fortuito delle erranze surrealiste con una cosciente costruzione delle regole del gioco. Le deambulazioni surrealiste avevano rappresentato solo dei momenti marginali della ricerca espressiva del movimento, la deriva urbana è invece per i lettristi il momento centrale della loro pratica artistica e sociale. Alla frequentazione diretta dello spazio si accompagna una critica sociologica ed un'analisi politica che si esprimono in una generale critica alla vita quotidiana della città borghese.

I lettristi riuscirono a connettere molte delle categorie dei surrealisti in un unico filo logico che arrivò alla completa maturazione e ad una sua messa in forma nel pensiero situazionista, attraverso l’unione con il gruppo immaginista. La città situazionista si sviluppava intorno ad alcuni concetti di base quali il gioco, il desiderio, la situation, la dérive, la psychogéographie, il détournement e l'urbanisme unitaire, tutti termini che verranno definiti nei primi anni della formazione dell’IS.

La teoria situazionista della città si fondava sulla supposizione di un'imminente trasformazione dell'uso del tempo nella società:

"Gli urbanisti del XX secolo dovranno costruire delle avventure. Il più semplice atto situazionista consisterà nell'abolire tutti i ricordi dell'uso del tempo della nostra epoca. E' un'epoca che fin qui ha vissuto molto al di sotto dei suoi mezzi." ("I.S." n°3, p.11)

La società capitalista del dopoguerra non mostrava quei sintomi di collasso che si erano sperati e il benessere crescente della società di massa, che sarebbe sfociato di li a poco nel boom economico, non offriva quel panorama di contestazione generalizzata che avrebbe portato alla tanto attesa rivoluzione del proletariato. La critica situazionista al capitalismo non proveniva quindi soltanto dal rifiuto di un sistema economico basato sullo sfruttamento delle classi subalterne, quanto piuttosto da una presa di coscienza dell’alienazione collettiva che questo sistema produceva in tutta la società. I situazionisti avevano previsto un processo importante e che si è infatti realizzato nei decenni successivi: con il mutamento dei sistemi di produzione e l'avvento dell'automazione, si sarebbe ridotto il tempo del lavoro a favore del tempo libero. Bisognava quindi salvaguardare dal potere l'utilizzo di questo tempo non produttivo che altrimenti sarebbe stato convogliato nel sistema di consumo attraverso la creazione di bisogni indotti. È la descrizione del processo di spettacolarizzazione dello spazio oggi in atto in cui si impone ai lavoratori di produrre anche durante il tempo libero consumando i propri redditi all’interno del sistema.

Per i situazionisti il tempo libero doveva essere un tempo da dedicare al gioco, doveva essere un tempo non utilitaristico ma ludico. Giocare significa uscire deliberatamente dalle regole sociali ed inventare e costruire le proprie regole del gioco. Il gioco è inteso come l'attività creativa pura liberata da costrizioni socioculturali, un'azione rivoluzionaria che agisce contro il controllo sociale:

"I nuovi poteri tendono ad un complesso di attività umane, che si situa oltre l'utilità: i tempi disponibili, i giochi superiori. Contrariamente a quanto pensano i funzionalisti, la cultura si trova là dove finisce l'utile" ("I.S." n°3, p. 29)

Se il tempo dello svago si trasformava sempre più in tempo del consumo passivo, diventava urgente preparare una rivoluzione della struttura e del carattere del desiderio. Si dovevano ricercare le basi delle complesse economie che regolano la relazione tra spazio e desiderio ed il laboratorio di questa ricerca non poteva essere altro che la città. La costruzione delle situations era dunque il modo più diretto per realizzare nella città nuovi comportamenti, per suscitare i desideri e per sperimentare nella realtà urbana alcuni momenti di quella che sarebbe potuta essere la vita in una società più libera. La situazione, come la deriva, era quindi la costruzione di un'atmosfera coerente, una pratica politica radicale che si esprimeva in un "momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti". ("I.S." n°1, p. 13)

La città diventava così "un nuovo teatro di operazioni culturali" volte a "distruggere l'idea borghese di felicità", il luogo reale dove sperimentare comportamenti alternativi e dove perdere il tempo utile per trasformarlo in tempo ludico-costruttivo.

2.5 La rivolta dell'Homo Ludens

In quegli anni lo storico olandese Johan Huizinga aveva descritto una nuova specie umana che era diventata molto nota nell'ambiente artistico: l'Homo Ludens . Molti artisti si riconoscevano nei processi creativi riportati nei testi di Huizinga, ma Constant aveva cominciato presto a comprendere che l'Homo Ludens poteva essere un reale prototipo sociale con cui definire l'idea di un'intera società ludica. L'Homo Ludens non era un'artista, ma l'abitante ideale della città situazionista.

Andando oltre la costruzione ludica delle situazioni Constant comincia a pensare ad una nuovo spazio per una nuova era dell'umanità, in cui "senza dover sacrificare la maggior parte della sua vita alla lotta senza fine per l'esistenza, ognuno potrà costruire la sua vita e il suo ambiente secondo le proprie aspirazioni e la propria libertà creativa". Con l'andare del tempo Constant collega l'Homo Ludens alla sua idea di nomadismo planetario.

"È evidente che una persona libera di disporre del suo tempo, lungo tutto il corso della sua vita, libero di andare dove vuole e quando vuole, non può fare un grande uso della sua libertà in un mondo regolato dall'orologio e dall'imperativo di un domicilio fisso. Nel quadro della sua vita l'Homo Ludens avrà l'esigenza, in primo luogo, che egli possa rispondere al suo bisogno di gioco, di avventura, di mobilità, come anche di tutte le condizioni che possano facilitare la propria vita. Fino ad allora, la sua principale attività era stata l'esplorazione del suo ambiente naturale. L'Homo Ludens vorrà lui stesso trasformare e ricreare questo ambiente e questo mondo secondo i suoi nuovi bisogni. L'esplorazione e la creazione dell'ambiente verranno allora a coincidere perché l'Homo Ludens, creando il suo territorio da esplorare, s'occuperà di esplorare la propria creazione. Si assisterà quindi a un processo ininterrotto di creazione e di ri-creazione, sostenuto da una creatività generalizzata che si manifesta in tutti i campi di attività. Partendo da questa libertà nel tempo e nello spazio, si dovrà raggiungere una nuova forma di urbanizzazione. La mobilità, il fluire incessante della popolazione, conseguenza logica di questa nuova libertà, crea un nuovo rapporto tra l'urbano e l'habitat. Senza orari da rispettare, senza domicilio fisso, l'essere umano conoscerà necessariamente una vita nomade in un ambiente artificiale, interamente costruito". (CONSTANT 1, p. 62)

A New Babylon l'Homo Ludens abiterà dunque uno spazio nomade, potrà trasformare l'ambiente a suo piacere partecipando alle mutazioni di uno spazio in continua trasformazione. La creatività individuale verrà naturalmente abbandonata in favore di una creatività collettiva, ad ogni trasformazione dello spazio si andranno a sovrapporre quelle successive. La competizione e la concorrenza spariranno sia al livello dell'individuo che al livello della società.

"Anche le barriere e le frontiere spariscono. La via è aperta alla mescolanza delle popolazioni, il che ha di conseguenza, allo stesso tempo della sparizione delle differenze razziali, la fusione delle popolazioni in una nuova razza, la razza mondiale dei neobabilonesi. (…) New Babylon non finisce in nessun luogo (essendo la terra rotonda); non conosce frontiere (non essendoci economie nazionali) o collettività (essendo l'umanità fluttuante). Ogni luogo è accessibile a ciascuno e a tutti. L'intera terra diventa una casa per i suoi abitanti. La vita è un viaggio infinito attraverso un mondo che sta cambiando così rapidamente che sembra sempre un altro." (CONSTANT 1, p. 64 - 82)







L'Urbanismo Unitario

3.1 La dichiarazione di Amsterdam

Dopo il congresso di Alba Constant intende approfondire il tema dell’Urbanisme Unitaire proposto da Wolman e che gli sembra offrire delle straordinarie potenzialità per l’attuazione del programma situazionista. Constant intravede nell'urbanismo unitario una risposta a quella perennità nel tempo e nello spazio cui sottende ogni progetto architettonico nonché una via per attuare il superamento dell'arte. È in questa prospettiva che comincia una feconda fase di lavoro con Guy Debord. Ne nasce una profonda amicizia e una reciproca influenza. Sembra che sia stato proprio Debord a battezzare con il nome di "New Babylon” la città nomade che Constant chiamava “Deriville”. In questo periodo Constant presenta Debord come un famoso critico di architettura e Debord presenta Constant come un famoso critico della vita quotidiana.

Constant, che non aveva preso parte alla Prima Conferenza dell’IS a Cosio d’Arroscia, partecipa alla Seconda Conferenza di Parigi e organizza con Debord i documenti preparatori per la Terza che si terrà a Monaco nel 1959. Nel novembre del ’58 Debord va a trovarlo in Olanda e insieme firmano La Dichiarazione di Amsterdam: undici punti - nove già stesi da Constant e due aggiunti da Debord - che vengono unanimemente approvati a Monaco. Il tema centrale è il ruolo di punta dell'urbanismo unitario che - insieme alla costruzione di situazioni – deve diventare il mezzo principale per giungere al definitivo superamento dell’arte, con la conseguenza di abbandonare ogni attività artistica di tipo individuale:

"La possibilità di una creazione unitaria e collettiva è già annunciata dalla decomposizione delle arti individuali. L’I.S. non può giustificare alcun tentativo di rinnovamento di queste arti. Il programma minimo dell’I.S. è la sperimentazione di scenari completi che dovranno estendersi ad un urbanismo unitario, e la ricerca di nuovi comportamenti in relazione con questi scenari. (…) L’urbanismo unitario, indipendentemente da ogni considerazione estetica, è il frutto di un’attività collettiva di tipo nuovo; e lo sviluppo di questo spirito creativo è la condizione preliminare di un urbanismo unitario. La creazione di ambienti favorevoli a questo sviluppo è il compito immediato dei creatori d’oggi. Tutti i mezzi sono utilizzabili, a condizione che servano ad un'azione unitaria (…) La costruzione di una situazione è l’edificazione di un microambiente transitorio e di gioco di avvenimenti per un momento unico della vita di alcune persone. E’ inseparabile dalla costruzione di un ambiente generale, relativamente più duraturo, nell’urbanismo unitario. Una situazione costruita è un mezzo di approccio dell’urbanismo unitario e l’urbanismo unitario è la base indispensabile dello sviluppo della costruzione delle situazioni, nel gioco e nel serio di una società più libera.” ("I.S." n° 2, p. 31)

Vi si può leggere tra le righe una certa ambiguità tra l’urbanismo unitario di Constant e la costruzione di situazioni di Debord, che sembrerebbero essere la stessa cosa, ma a due scale diverse nello spazio e nel tempo. Ma quello che si legge ancor più chiaramente è un via libera alle attività di Pinot Gallizio di sperimentazione di scenari completi con la pittura industriale, e un netto stop alla pittura detournata di Asger Jorn vista come tentativo di rinnovamento della pittura . Durante il periodo situazionista Constant - che non sarà mai anti-artista - è decisamente anti-pittura e trova assolutamente incompatibile la pittura con il movimento situazionista. Il suo nuovo attrito con Jorn era già apparso evidente nell'articolo di Constant Sui nostri mezzi e sulle nostre prospettive in cui accusava Jorn di inseguire un rinnovamento della pittura che andava in direzione opposta al tentativo di fondere l’insieme delle arti in una nuova attività unitaria:

“Gli artisti hanno il compito di inventare nuove tecniche e di utilizzare la luce, il suono, il movimento e in generale tutte le invenzioni che possono influenzare gli ambienti. Senza di ciò l’integrazione dell’arte nella costruzione dell’habitat umano resta una chimera come le proposte di Gilles Ivain. Dieci anni ci separano da Cobra e la storia dell’arte cosiddetta sperimentale ce ne dimostra gli errori. Ne ho tratto le conseguenze sei anni fa abbandonando la pittura e lanciandomi in una sperimentazione più efficace, in rapporto con l’idea di un habitat unitario. Credo che le discussioni debbano orientarsi su questo punto, che mi sembra decisivo per lo sviluppo dell’IS. Nessuna pittura è difendibile dal punto di vista situazionista. Questo genere di problemi non si pone più. Di una certa arte diciamo tutt’al più che essa è applicabile a una certa costruzione. Dobbiamo cercare al di là delle espressioni separate. (…) ritengo che il carattere traumatico che esige la costruzione degli ambienti, esclude le arti tradizionali come la pittura e la letteratura, ormai logorate e diventate incapaci di qualsiasi rivelazione. (…) Lasciamo ai becchini ufficiali il triste compito di sotterrare i cadaveri delle espressioni pittoriche e letterarie. La svalorizzazione di ciò che non ci serve non è più nostro compito: se ne occupino gli altri.” ("I.S." n° 2, p. 23)

Constant comincia a prendere le distanze dai pittori situazionisti, considerati come seguaci neo-Cobra di Asger Jorn. Occupa un ruolo sempre più importante nell'IS cercando di evitare sia le tentazioni antiartistiche dei lettristi che quelle artistiche degli immaginisti. È una posizione scomoda: è in realtà l'unico situazionista che intende lanciarsi alla sperimentazione dell'urbanismo unitario, e nel suo isolamento trova solo in Debord una sicura sponda all'interno del movimento. Debord forse vedeva in New Babylon la realizzazione del mito dadaista del superamento dell'arte. Lambert racconta che nel '73 Dotremont gli aveva scritto su un foglio "bisogna superare l'anti-arte" e che Constant ci aveva aggiunto "oggi l'anti-arte è l'arte ufficiale". (ANDREOTTI COSTA 1, p. 95) Più tardi dirà: "per oltre mezzo secolo il mondo è stato percorso dallo spirito di Dada. Vista in questa prospettiva New Babylon potrebbe essere chiamata una risposta all'anti-arte." (CONSTANT 7) Debord concluderà:

"L'arte, nell'epoca della sua dissoluzione, in quanto movimento negativo che persegue il superamento dell'arte in una società storica in cui la storia non è ancora stata vissuta, è allo stesso tempo un'arte del cambiamento e l'espressione pura di un cambiamento impossibile. Più la sua esigenza è grandiosa, più la sua vera realizzazione è al di là di essa. Quest'arte è inevitabilmente d'avanguardia e non lo è affatto. La sua avanguardia è la sua sparizione." (cit. in LAMBERT 2, p. 77)

Guy Debord, che già si era pronunciato sul tema dell’urbanismo unitario all’interno del bellissimo testo del Rapport , si accomuna nell'approfondimento richiesto da Constant l'articolo non firmato L’urbanismo unitario alla fine degli anni ‘50. Per Debord l’urbanismo unitario è distinto dai problemi dell’habitat ed è destinato ad inglobarli e non è una reazione al funzionalismo che ha già ampiamente vinto, ma il suo superamento, non deve essere una nuova dottrina urbanistica, ma una critica all’urbanistica, come del resto la presenza dell’IS nell’arte deve essere una più generale critica all’arte:

“Bisogna costruire degli scenari non abitabili; costruire le strade della vita reale, gli scenari di un sogno ad occhi aperti. (…) l’urbanismo unitario si ricongiunge oggettivamente agli interessi di una sovversione d'insieme. Così come l’habitat, l’urbanismo unitario è distinto da problemi estetici. Va contro lo spettacolo passivo (…) Mentre oggi le città vengono offerte come un penoso spettacolo, un supplemento ai musei, per i turisti trasportati su corriere di vetro, l’U.U. prende in considerazione l’ambiente urbano come terreno di un gioco di partecipazione. (…) L’urbanismo unitario è contrario alla fissazione della città nel tempo (…) ed è contrario alla fissazione delle persone in dati punti della città. E’ lo zoccolo di una civiltà del tempo libero e del gioco. L’esperienza situazionista della deriva, che è allo stesso tempo mezzo di studio e gioco dell’ambiente urbano, rimane sulla via dell’urbanismo unitario.” ("I.S." n°3, p. 11)

3.2 La Conferenza di Monaco

Il dibattito per la preparazione della Conferenza di Monaco si svolge quasi unicamente tra Debord e Constant e tra i due cominciano a nascere alcune divergenze sul piano dell'attività politica. Per Constant si doveva lavorare sulla creatività per descrivere gli scenari successivi alla rivoluzione, per Debord si doveva cominciare a preparare austeramente la rivoluzione, bisognava "scegliere tra la descrizione dell'Età dell'oro e l'epoca austera della sua preparazione".

Debord propone come apertura dei lavori della Conferenza un testo incentrato sulla necessità di focalizzarsi sull’organizzazione del rovesciamento dell’attuale società. Ne nasce un dibattito interno. Constant risponde che non esistono le condizioni sociali per questo rovesciamento e che l’urbanismo unitario è invece un concreto punto di partenza, “sono gli intellettuali a ribellarsi contro la miseria culturale: l’unità con una rivoluzione sociale inesistente è utopica (…) io chiedo: perché si vorrebbe legare la nostra attività ad una rivoluzione che rischia di non venire mai fatta? (…) L’urbanismo unitario sarà al centro delle nostre preoccupazioni, o non sarà.”

È Constant che ottiene una prima vittoria aprendo il congresso di Monaco con il suo Rapporto inaugurale alla Conferenza di Monaco. Riaffermando che l’urbanismo unitario nasce come unione delle “esperienze di deriva e psicogeografia inventate e praticate dai lettristi” con la “ricerca nel campo della costruzione condotta da alcuni architetti e scultori moderni”, ribadisce la necessità di attuare quel programma minimo della dichiarazione di Amsterdam spingendo gli artisti a cambiare mestiere e a formare delle équipes per la creazione collettiva di progetti e di ambienti architettonici in cui la preoccupazione principale non sarà dunque solo la forma dell'edificio, quanto l’effetto che otterrà sul comportamento e sulla vita degli abitanti:

“L’architetto, come gli altri lavoratori nella nostra impresa, si trova di fronte alla necessità di cambiare mestiere: non sarà più costruttore di forme isolate, ma costruttore di ambienti completi (…) Ogni architettura farà così parte di un’attività più estesa e più completa e, in definitiva, l’architettura, come le altre arti attuali, scomparirà a vantaggio di questa attività unitaria.” ("I.S." n° 3, p. 26)

Con la chiusura dell’intervento Constant annuncia la formazione ad Amsterdam del Bureau d'Urbanisme Unitaire che si propone di attuare il programma sopra descritto e che viene ribadito nel Primo Proclama della Sezione Olandese dell’I.S. firmato da Constant e dagli architetti A. Alberts, Armando e Har Oudejans. Viene deciso di riprendere la rivista "Potlach" con una nuova serie a cura della sezione olandese e viene deciso l’ingresso di Constant nel comitato di redazione della rivista "I.S." diretta da Debord.


3.3 Il mondo come un labirinto

Il conflitto irrisolto tra la costruzione di situazioni rivoluzionarie e l'urbanismo unitario si presenta in tutta la sua evidenza nell'occasione della mostra che si sarebbe dovuta tenere ad Amsterdam nel 1959. I situazionisti avrebbero dovuto organizzare allo Stedelijk Museum un'esposizione dal titolo Die Welt als Labyrint (il mondo come labirinto) che prevedeva anche una deriva di tre giorni nel centro di Amsterdam di tre gruppi di situazionisti. L'azione doveva essere coordinata da Constant che, in continuo contatto walkie-talkie con i tre gruppi, da un centro radiomobile avrebbe dovuto rilevare in diretta i percorsi con un'apposita squadra cartografica, e avrebbe fornito allo stesso tempo informazioni utili per lo svolgimento della deriva. ("I.S." n°4, pp. 5-7)

Dopo la fondazione dell'IS i situazionisti non avevano più compiuto importanti esplorazioni urbane. L'ultima manifestazione collettiva si era tenuta alla galleria Taptoe di Bruxelles nel '57, mentre Ralph Rumney aveva cominciato i suoi solitari rilevamenti psicogeografici di Venezia, ma era stato vinto dalla struttura labirintica della città. La deriva di Amsterdam aveva quindi cominciato a suscitare un certo interesse e la stessa attenzione veniva rivolta anche alla mostra. Dovevano essere esposti tutti i documenti dell’IS e si era pensato di trasmettere delle conferenze permanenti incise su magnetofoni. Tutti i componenti avrebbero dovuto collaborare alla creazione di un'architettura unitaria, realizzando la prima vera opera collettiva del gruppo.

Il progetto redatto dalla sezione olandese era un ambiente labirintico che avrebbe percorso dall'esterno all'interno due sale dello Stedelijk Museum. Come ingresso la sezione tedesca aveva pensato "come garanzia di non sottomissione all'ottica dei musei" un grande buco nel muro del museo in cui fare un'entrata come una breccia da scavalcare. Da qui cominciava un percorso con porte a senso unico, la cui lunghezza poteva variare dai 200 metri ai 3 chilometri a seconda delle porte che si aprivano, mentre il soffitto variava continuamente fino ad un'altezza di quasi un metro. L'arredamento era una commistione continua di caratteri interni (tipo spazi domestici) ed esterni (spazi urbani) disturbati da piogge, venti e nebbie artificiali. Giochi luminosi, termici e sonori, insieme a veri e propri ostacoli, come il tunnel di pittura industriale di Gallizio e le palizzate di Wickaert, disorientavano e spaesavano gli spettatori che avrebbe dovuto perdersi a loro piacimento costruendo essi stessi i percorsi.

La mostra non ebbe luogo per controversie con il direttore del museo che per motivi di sicurezza aveva interferito con la creazione del labirinto sottoponendolo alla supervisione dei vigili del fuoco. Una riunione del gruppo votò all'unanimità la proposta di Jorn di annullare la mostra. Si decise tuttavia, nel caso di una futura proposta, di costruire il labirinto non in un museo o un in un edificio, ma "con maggiore flessibilità e in funzione diretta delle realtà urbane, in un terreno abbandonato ben situato nella città prescelta, allo scopo di essere punto di partenza di derive". Anche questo intervento sul terrain vague non venne mai realizzato.

3.4 Le dimissioni di Constant

Dopo il fallimento della mostra comincia il veloce allontanamento dall'I.S. di tutta l’ala artistica. Entrato già più volte in polemica con Jorn, con Gallizio e con il gruppo tedesco SPUR, Constant comincia a divergere anche con Guy Debord. I motivi dello scontento di Constant erano diversi: Gallizio, una volta annullata la mostra di Amsterdam, aveva accettato di svolgervi la sua personale già presentata a Parigi, fatto che lo porterà subito all'espulsione dall'IS; in generale gli artisti situazionisti non sembravano puntare all'attività collettiva dell'urbanismo unitario e si proponevano sempre più come artisti individuali, mentre i lettristi non sembravano interessati alla formalizzazione della deriva nei termini di immaginario architettonico. Il momento della progettazione di una vita e di una città futura veniva sempre rimandato alla trasformazione rivoluzionaria della società borghese. Su questo punto, d'altra parte, Guy Debord si era già espresso: "Le difficoltà della deriva sono le difficoltà della libertà. Tutto ci porta a credere che il futuro provocherà la trasformazione irreversibile del comportamento e dell'ambiente della società contemporanea. Un giorno costruiremo città fatte per la deriva." (DEBORD 2) Un giorno, dunque, non oggi. Nel frattempo bisognava fare la rivoluzione.

In realtà anche Constant aveva sempre affermato che New Babylon sarebbe stata costruita dai neobabilonesi dopo la rivoluzione e che le sue ricerche andavano viste come un tentativo di prefigurare un mondo che comunque sarebbe stato realizzato certamente da una nuova società, non da lui e non dall'IS. Malgrado ciò Constant veniva sempre più accusato di voler perfezionare con i suoi progetti quella società che si doveva invece sovvertire. L'incomprensione era enorme e la rottura con Constant era alle porte. Constant aveva già compreso che avrebbe comunque portato avanti il suo progetto da solo e "senza tutti quei pittori neo-Cobra intorno". L'occasione fu fornita dell'espulsione di tutti i componenti della sezione olandese - che erano in realtà degli architetti abbastanza lontani dalle problematiche situazioniste - per il fatto che avevano accettato di progettare una chiesa. Debord aveva visto per caso il progetto nella rivista "Forum" e li aveva esclusi dall'IS. Constant che non era stato espulso insieme al resto del gruppo decide di dimettersi. Debord lo invita a ritirare le dimissioni confermandogli la stima e l'interesse per le sue ricerche e comunque di rimanere in contatto. Constant risponde che attualmente non ci sono le condizioni, è inamovibile. Una proficua collaborazione durata tre anni finisce con i toni acerbi delle informazioni situazioniste pubblicate dalla rivista "I.S." nel dicembre 1960:

"Constant si era trovato in contrapposizione con l'I.S. perché si era occupato innanzitutto e quasi unicamente dei problemi di struttura di certi complessi di urbanismo unitario, mentre altri situazionisti ricordavano che allo stato attuale di un simile progetto era necessario mettere l'accento sul suo contenuto (di gioco, di creazione libera della vita quotidiana). (...) Constant ha allora dichiarato che siccome era in disaccordo con la disciplina dell'I.S., voleva riprendersi la libertà a questo riguardo, per una durata che il seguito degli avvenimenti avrebbe determinato. Noi abbiamo risposto che, ben lontani da qualsiasi idea di ostilità o di disistima, il significato di arma pratica che abbiamo da tempo attribuito alle rotture registrate dall'I.S. permetteva soltanto di scegliere immediatamente tra le dimissioni definitive e la rinuncia a questa forma di pressione. Constant ha scelto di lasciare l'IS" ("I.S." n° 5, p. 10)

3.5 L'estetico e il politico

Le dimissioni di Constant si accompagnano a una raffica di esclusioni che riguardano tutta l'ala artistica. Debord era un personaggio complesso, una figura in cui convivevano l'anti-artista dadaista, il filosofo bakuniano e soprattutto il politico. Aveva avuto la lucidità di raccogliere, riscrivere e far maturare in un progetto unico - l'Internazionale Situazionista - le ricerche artistiche più avanzate delle avanguardie degli anni 50, e nel momento più critico anche di interromperle drasticamente. Era dotato di una straordinaria intelligenza ma anche di un forte autoritarismo e fu così che già nel 1961, quattro anni dopo la fondazione, non apparteneva all'IS nessuno dei membri fondatori. Lui stesso in successive occasioni aveva espulso o fatto dimettere la maggior parte dei componenti e aveva ricostruito l’IS come una setta politica con nuovi discepoli molto attivi e molto fedeli. Ad una prima fase ricca di dibattiti e di diversi approcci seguì quindi dopo il 1962 una seconda fase meno creativa e molto dogmatica.

Il salto dall'estetico al politico avvenne nel momento in cui si deve affrontare il significato dello slogan “fuori dall’arte". In coerenza con i suoi principi, la rivoluzione situazionista doveva avvenire dentro la vita quotidiana e fuori dall’ambiente artistico e intellettuale. Da qui derivavano il rifiuto dell’opera, la rottura con gli ambienti artistici, con la critica d’arte e in generale con tutto il mondo culturale. Era proprio per questi motivi che l’IS era diventata in breve tempo un polo di attrazione degli artisti di avanguardia. La critica aveva cominciato ad interessarsi alle loro opere e le loro mostre venivano seguite con sempre maggiore partecipazione del pubblico. Al culmine del successo si comincia a profilare il pericolo di imbattersi nelle trappole in cui erano caduti i surrealisti, di essere recuperati dalla cultura istituzionale e quindi dal potere. Guy Debord decide di non voler correre questo rischio. Non vuole giocare il ruolo di punta di una nuova avanguardia estetica. Vuole restare “accampato” di fronte alle porte del sistema culturale, non vuole entrarci. Vuole "costruire questo vuoto”, vuole essere l’organizzatore di questa assenza, non ha alcuna intenzione di soddisfare le attese della critica moderna. Debord si accorge per primo di vivere nella contraddizione di essere nello stesso tempo "una presenza e una contestazione nelle arti moderne" e si propone di assimilare e vincere questa negazione verso un terreno culturale ancora superiore. E’ forse una delle decisioni più importanti nella storia delle avanguardie: di fronte al rischio di ritrovarsi una volta ancora all’interno del sistema dell’arte l'IS decide lucidamente di abbandonare progressivamente il campo estetico. Le sperimentazioni vengono interrotte e viene di fatto vietata la produzione di opere d’arte: nel mondo capitalista la società è organizzata in modo spettacolare, non si tratta quindi di elaborare lo spettacolo del rifiuto, ma di rifiutare lo spettacolo, dunque gli elementi distruttivi di questo spettacolo non devono essere opere d’arte. L’arte, come forma di pseudo-comunicazione che ostacola la comunicazione diretta tra gli individui, viene definita “antisituazionista” e vengono via via abbandonate anche le pratiche estetiche legate ai concetti di dérive, psychogéographie e urbanisme unitaire, che erano state il più importane il bagaglio teorico importato dal lettrismo. Nella sua nuova fase l'IS sviluppa una fitta rete di contatti con il mondo studentesco e comincia a preparare quella rivoluzione urbana che si realizzò nel maggio parigino del 1968 e nelle contestazioni degli anni ’70 che sono state più volte interpretate come la vera grande opera dei situazionisti.





uno spazio per l'homo ludens

4.1 Il Grande Gioco che verrà

Nel maggio del 1959, il mese successivo alla conferenza di Monaco, si inaugurano contemporaneamente in Europa tre mostre di Jorn, Gallizio e Constant. Constant espone allo Stedelijk Museum di Amsterdam le “Constructies et Maquettes”, trenta pezzi tra sculture e plastici di una città nomade sospesa da terra. La mostra è accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo edito dall’IS e del primo numero del nuovo "Potlatch" che contiene il suo articolo Le Grand Jeu à Venir in cui comincia quella critica all’urbanistica funzionalista richiesta da Debord e che verrà approfondita da Constant nel corso degli anni successivi:

“L’urbanistica, per come viene concepita oggi dagli urbanisti professionisti, è ridotta allo studio pratico degli alloggi e della circolazione come problemi isolati. La mancanza totale di soluzioni ludiche nell’organizzazione della vita sociale impedisce all’urbanistica di elevarsi al livello della creazione, e l’aspetto squallido e sterile della maggior parte dei nuovi quartieri ne è un’atroce testimonianza. I situazionisti, esploratori specializzati del gioco e dei divertimenti, comprendono che l’aspetto visivo delle città non ha senso se non nel rapporto con gli effetti psicogeografici che potrà produrre e che devono essere calcolati e previsti nell’insieme delle funzioni. (…) Noi possiamo già ampliare la nostra conoscenza del problema attraverso la sperimentazione di alcuni fenomeni legati all’ambiente urbano: l’animazione di una strada qualunque, l’effetto psicogeografico di diverse superfici e costruzioni, il rapido cambiamento di uno spazio attraverso l’introduzione di elementi effimeri, la rapidità con la quale i luoghi cambiano, e le variazioni possibili nell’ambiente generale tra diversi quartieri. La deriva, per come viene praticata dai situazionisti, è un mezzo efficace per studiare questi fenomeni nelle città esistenti e per trarne delle provvisorie conclusioni. La conoscenza psicogeografica così ottenuta ha già portato alla creazione di piante e di plastici di tipo immaginista, che possiamo chiamare la fantascienza dell’architettura.” (CONSTANT 9, p. 36)

Nello stesso numero appare la presentazione della mostra firmata da Debord, intitolata Premières maquettes pour l’urbanisme nouveau (Prime maquettes per il nuovo urbanismo), in cui si sottolinea come queste “maquettes destinate all’urbanisme unitaire (…) segnano il passaggio, all’interno della produzione artistica moderna, dall’oggetto-merce sufficiente a se stesso la cui funzione è solamente quella di essere contemplato, all’oggetto-progetto il cui valore più complesso si lega ad un’azione da compiere, azione di tipo superiore concernente la totalità della vita.” (DEBORD 4) Le maquettes non sono dunque delle opere d’arte, ma l’annuncio tridimensionale di una vita che verrà, una prima immagine degli spazi di quella società ludica che abiterà il mondo dopo la rivoluzione.

4.2 Un' astronave arancione

L’articolo di Constant è corredato da una grande foto della maquette Constructie in oranje (Costruzione arancione, 1957) che è qui chiamata “Maquette pre-situazionista con circolazione di automobili contemporanee”. È la prima immagine che rappresenta New Babylon, ed è la stessa che verrà pubblicata con il nome "Ambiance d’une ville future" anche sul catalogo della mostra e sulla rivista Forum.

Il plastico è fotografato da Jan Versnel da un punto di vista reale, come se l'osservatore si trovasse alla guida di una delle automobili che viaggiano sul piano astratto bianco e solcato da linee parallele blu, un suolo senza strade, senza marciapiedi, senza città. La città infatti è sopra la nostra testa, vola sospesa come una grande nave spaziale in atterraggio. Dal nostro punto di vista ne vediamo il ventre costituito da un intricato gioco di fili che si ramificano e in cui si sono impigliati, come in una grande ragnatela, altri piccoli oggetti sovrastati da un enorme piano di plexiglas arancione. Travi, tiranti e puntoni vanno in tutte le direzioni, e solo nella foto zenitale ci si accorge dell’esistenza di una struttura radiale e policentrica che permette al tutto di tenersi senza esplodere in pezzi. La ragnatela di fili non appoggia mai a terra se non in tre piloni cilindrici posti alla periferia dell’immagine. Al di sopra e al di sotto del piano arancione, che costituisce il nuovo livello zero della città sospesa, la spazialità è la stessa: fili, stralli, frammenti di piani triangolari formano un unico corpo tridimensionale che galleggia nel vuoto stagliandosi su uno sfondo notturno. Il plastico arancione è ancora in bilico tra l’essere una scultura o un’architettura, ma si presenta come una città: è una scultura visitata dalle automobili, gli unici elementi che riescono a fornire una scala a questa gigantesca città del futuro.

4.3 Il Circo Spaziale

Nella produzione delle prime maquettes di Constant si possono individuare tre passaggi distinti che portano dalle prime sculture ai veri e propri plastici di architettura. Il primo è una riflessione sullo spazio costruttivista, il secondo è una ricerca sull'assenza di gravità e sulla possibilità di far roteare nel vuoto galattico degli oggetti dinamici, mentre il terzo passaggio riporta a terra gli oggetti volanti trovando una nuova relazione con un terreno che è diventato ormai territorio.

Le maquettes realizzate prima del viaggio ad Alba sono sculture in ferro e plexiglas che esplorano il mondo costruttivista di Naum Gabo, Moholy-Nagy e Antoine Pevsner sulle costruzioni geometriche che si possono ottenere con linee e superfici dinamiche. Lo schema generale è una struttura portante di linee metalliche che sorregge l’evolversi nello spazio di superfici di plexiglas che tentano di staccarsi sempre più dal suolo. Sullo stesso schema Constant costruisce a Rotterdam il Monumento per la Ricostruzione del’55 su invito di Rietveld e Bakema. I titoli delle opere realizzate tra il '54 e il '56 chiariscono bene i significati di queste prime ricerche: Costruzione dai piani trasparenti, Costruzione dai piani curvi, Costruzione con piano piegato, Costruzione in un volume, Costruzione elastica, Costruzione in Plexiglas, Costruzione basculante, Osservatorio e Recipiente Solare. Le ultime due sculture preannunciano le ricerche successive sullo spazio galattico.

Al suo ritorno da Alba Constant realizza il Ruimtercircus (Circo Spaziale, 1956 -1961), l'unica maquette presente ancora oggi nel suo atelier, quella che Constant considera la prima della serie di New Babylon. Il titolo denuncia l'impatto avuto con la cultura nomade. Il circo è una microsocietà ludica che si sposta sul territorio occupando di volta in volta gli spazi di scarto delle città sedentaria. È una città mobile che si installa sui terrain vague dell'urbanistica funzionalista mostrando un modo diverso di abitare il mondo. Il Circo Spaziale inaugura una serie di sculture galattiche concepite come oggetti roteanti e avvolti su se stessi che tentano di prendere il volo nell'universo. Anche in questo caso i nomi rendono conto delle volontà di Constant: Partenza per lo Spazio, Costruzione Ovoidale, Costruzione di fili metallici, Linea senza fine e una serie di Nebulose Meccaniche. Sono spirali dinamiche che si avvolgono intorno a più centri e che solo a volte toccano terra per esili punti. I piani di plexiglas sono praticamente assenti, mentre l’elemento formale più riconoscibile è il raggio metallico con cui sono costruiti i vortici roteanti e che ricordano i raggi delle ruote di bicicletta. Anche in questa nuova serie il riferimento al costruttivismo russo è evidente, ma al contrario della torre di Tatlin queste sculture non appoggiano a terra, rotolano sul suolo o se ne staccano per navigare come fragili astronavi che sembrano nuvole.

4.4 Il Progetto per gli Zingari di Alba

Il punto di svolta tra queste sculture e le prime vere maquettes di architettura è decisamente Ontwerp voor Zigeunerkamp (Progetto per un Campo di Zingari, 1957). E’ il progetto per l’accampamento degli Zingari installati nei terreni di Gallizio, a cui Constant aveva cominciato a lavorare al suo ritorno da Alba. Malgrado tutti i tentativi di nasconderlo dietro ai proclami per un’arte collettiva e anonima, quello che si sprigiona in questa maquette è un incredibile talento artistico che è il risultato della sua lunga ricerca personale. Sembra quasi che una delle roteanti nebulose costruttiviste sia cascata sulla Terra distruggendosi in mille pezzi. Non ci sono più geometrie. I cerchi che tenevano i raggi si sono spezzati e sono riversi sopra un suolo ruvido composto di materia informe e scrostata. In questo plastico tutte le ricerche sperimentate negli anni precedenti cominciano finalmente a convergere. Le macchie informali di Cobra, i colori del neoplasticismo olandese e le forme distrutte del neocostruttivismo galattico si fondano ai nuovi temi del nomadismo, della deriva e dell’urbanismo unitario. Il grande ombrello/nebulosa è in realtà pensato come la struttura di una gigantesca tenda nomade. È uno spazio architettonico flessibile e continuamente trasformabile: appoggiandosi sulle sue strutture metalliche si potranno montare e smontare i vecchi teli di feltro come le moderne pareti mobili, all’interno di questa grande nebulosa rotta si potranno costruire, disfare e poi ancora ricostruire quegli ambienti transitori di un’antica civiltà che sa già di futuro.

Già prima del suo viaggio ad Alba Constant aveva costruito Ambiance de Jeu (Ambiente di Gioco, 1956), un plastico concepito come ambiente abitabile, cui seguirà più tardi Ambiance de Départ (Ambiente della Partenza, 1958). Era una sorta di grande playgroud di legno concepito come un basamento ludico su cui muovere gli oggetti colorati che sembrano essere solo appoggiati. Ma lo spazio di questo terreno era ancora stabile, nulla preannunciava la caduta della nebulosa e la sua decostruzione in frammenti. Questo plastico sembra essere la preparazione di quelli successivi, annuncia la partenza, aspetta il tempo in cui le nebulose torneranno a volare appoggiandosi leggermente sulle basi dei terreni informali.

4.5 I settori sospesi

L'astronave arancione Constructie in oranje (Costruzione arancione, 1957), è il primo della lunga serie dei settori che descrive lo spazio di New Babylon. Constant lavora per mesi mettendo insieme i pezzi che formeranno il Settore Giallo, il Settore Rosso, il Settore Orientale, i Settori interni, il Settore Costruzione, il Settore New Babylon e infine le due meravigliose Spatiovores (divoratori di spazio) che si sollevano dal suolo come conchiglie trasparenti e che arricchiranno l'enorme catalogo di soluzioni architettoniche possibili. Sono grandi modelli poggiati su terreni di legno dipinto e illuminati da lastre di plexiglas colorato in cui l'occhio dell'osservatore è portato a perdersi in ogni particolare. L'architettura di New Babylon sembra il Campo Marzio di Piranesi, è un catalogo di infinite geometrie e di invenzioni architettoniche a tutte le scale, un'enorme quantità di frammenti che intere generazioni di architetti potranno montare e rimontare a loro volta. "I settori cambiano di forma e atmosfera in funzione dell'attività che vi si svolge. Nessuno potrà mai tornare in un posto che ha precedentemente visitato, nessuno incontrerà mai un immagine che già esiste nella sua memoria, nessuno insomma soccomberà mai alle abitudini."(CONSTANT 1, p. 60)

È costruendo i settori che Constant comincia a visitare New Babylon. Si inoltra tra i piani colorati delle terrazze per vagare nella città dell'Homo Ludens, per giocare lui stesso con lo spazio architettonico trasformando con assoluta libertà tutti gli ambienti incontrati durante il percorso. Constant lascia che le superfici dei piani permettano allo spazio di fluire in tutte le direzioni annullando ogni barriera tra interni ed esterni. Non ci sono più volumi chiusi, ogni separazione tra zone pubbliche e private viene soppressa: la proprietà privata, così come la famiglia e come l'abitazione fissa, sono concetti che appartengono ad un vecchio mondo caduto ormai in rovina sotto le grandi piastre sollevate da terra. L'Homo Ludens è libero da ogni costrizione sociale e culturale, è padrone del proprio tempo e del proprio spazio, dei modi di abitare e di spostarsi in una sorta di rivoluzione permanente. È la vita della città coperta descritta nel terzo e del quarto numero dell'"I.S.":

"Contro l'idea di una città verde, che la maggior parte degli architetti moderni ha adottato, noi sosteniamo l'idea di una città coperta, dove il piano delle strade e degli edifici separati, ha fatto posto ad una costruzione spaziale continua, sollevata dal suolo (…) Noi rivendichiamo l'avventura. Non trovandola più sulla terra, alcuni vanno a cercarla sulla luna. Noi puntiamo prima e comunque a un cambiamento sulla terra. (…) Ci troviamo all'alba di una nuova era, e proviamo fin d'ora a delineare l'immagine di una vita più felice e di un urbanismo unitario: l'urbanistica fatta per il piacere. (…) La città futura deve essere concepita come una costruzione continua su pilastri, oppure come sistema esteso di costruzioni diverse, sulle quali siano sospesi gli spazi per le abitazioni, per divertimenti eccetera, e gli spazi destinati alla produzione e alla distribuzione, lasciando libero il suolo per la circolazione e le riunioni pubbliche. L'utilizzo di materiali iperleggeri e isolanti, come quelli che vengono attualmente sperimentati, permetterà di costruire edifici agili e supporti molto distanziati. In questo modo si potrà realizzare una città a più livelli: sottosuolo, piano terra, piani superiori, terrazze di un'estensione che può variare da quella di un quartiere attuale a quella di una metropoli. (...) Le terrazze formano un area aperta che si estende su tutta la superficie della città, e possono costituire degli spazi destinati agli sport, agli atterraggi degli aerei e degli elicotteri, e alla coltivazione della vegetazione. (...) Il gran numero di spazi differenti attraversabili di cui la città è composta, formeranno uno spazio sociale vasto e complesso. (...) Spazi contigui e comunicanti offriranno la possibilità di creare una variazione infinita di ambienti, facilitando la deriva degli abitanti e incontri casuali frequenti." (CONSTANT 10, p.37)

4.6 Lo spettacolo dell'Hyperarchitettura

Dopo le dimissioni dall'IS Constant continua ad approfondire e a sviluppare l'urbanismo unitario fondandolo sul disorientamento. I plastici si fanno sempre più grandi, gli ambienti sempre più labirintici. Inizia un nuovo periodo - che Wigley chiama dell'hyperarchitettura - in cui l'artista si traveste da architetto e utilizza ogni mezzo per far desiderare al mondo la città di New Babylon. Constant apre uno studio di architettura e lavora con degli assistenti, utilizza le riviste, le mostre e le conferenze per allestire lo spettacolo di New Babylon coinvolgendo il pubblico in un'immersione virtuale nella fantascienza dell'architettura. Le conferenze cominciano con brevi presentazione teoriche per poi concludersi con delle vere e proprie Promenade a New Babylon: proiezioni di diapo, video, foto, musiche e rumori diventano delle incredibili performance mutivisuali. Con gli anni la spazialità cercata nei plastici inizia a realizzarsi anche negli spazi espositivi. All’inizio ogni plastico era posto come un’unità autonoma che volteggiava illuminata nello spazio buio della sala. Poi i modelli vanno a mettersi l'uno accanto all'altro per realizzare enormi superfici territoriali. La base delle conferenze registrate fornisce il sonoro. Sulle pareti delle mostre compaiono le planimetrie e i fotomontaggi del figlio Victor in cui New Babylon attraversa tutti i territori: le basi cartografiche come gli svincoli autostradali e i terrains vagues delle periferie. In seguito si aggiungono le foto ravvicinate dei plastici, i collage, gli scritti teorici, i quadri, i disegni, le immagini di altre architetture, tutto comincia a diventare parte di un display mediatico sempre più complesso.

Constant diventa in breve tempo una delle figure di riferimento dell'architettonica internazionale e in Olanda è considerato l'artista rivoluzionario del movimento dei Provos. Dopo un enorme numero di performance che lo portano anche alla Biennale di Venezia del'66 a rappresentare l'Olanda, decide che lo spettacolo è finito. Nel '69 scrive la La rivolta dell'Uomo Ludens e poi comincia a svuotare il suo studio dalle maquettes, donandone la maggior parte al Gemeentemuseum de L'Aia che organizza nel 1974 la prima grande retrospettiva. Si ritira dalla scena e torna alla pittura di cui aveva detto "è un dramma che va consumato da soli", e nella ritrovata solitudine comincia a visitare New Babylon con il pennello. È una città vissuta da assassini e da suonatori, da feste gitane e da folle in rivolta che si perdono tra labirinti di scale e tra orizzonti in abbandono.















un accampamento nomade alla scala planetaria

5.1 Le mappe psicogeografiche

La serie di mappe che Constant realizza insieme ai plastici di New Babylon ha degli antecedenti nelle prime elaborazioni grafiche situazioniste. Attraverso l’incontro con gli immaginisti la teoria della deriva descritta nei testi lettristi aveva cominciato a prendere anche una forma visiva e a trasformarsi in un‘immagine di città. Dopo il congresso di Alba era cominciata una fase di intensa collaborazione tra Guy Debord e Asger Jorn i cui primi frutti erano stati delle mappe che rappresentavano i concetti di deriva e di psicogeografia con la tecnica del détournement già sperimentata dai due situazionisti nei libri Mémoires e Fin de Copenhague.

La Guide Psychogéographique de Paris - il cui sottotitolo Discours sur les Passions de l’Amour tradisce la forte influenza surrealista ancora presente nei situazionisti – raffigura le “pendenze psicogeografiche della deriva e la localizzazione delle unità di ambriente” . E’ il primo tentativo di realizzare quella cartografia influenzale anticipata negli scritti lettristi ed è concepita come una mappa pieghevole dello stesso tipo di quelle turistiche, ma è una mappa che invita in realtà a perdersi. Aprendo questa strana guida troviamo una Parigi esplosa in pezzi, una città la cui unità è distrutta e in cui si riconoscono soltanto frammenti del centro storico che fluttuano in uno spazio vuoto. La pianta originale da cui sono stati ritagliati i quartieri è la famosa pianta prospettica di Turgot, un’immagine che rappresenta la concezione classica della città unitaria e la cui tridimensionalità ricorda ironicamente le mappe delle guide turistiche con i monumenti in assonometria. L’ipotetico turista è tenuto a seguire le frecce rosse che indicano le direzioni di ingresso ai quartieri, e che collegano tra loro le unità di ambiente, le zone omogenee determinate in base a rilievi psicogeografici. La città è stata passata al vaglio dell’esperienza soggettiva, misurando su se stessi e confrontando con gli altri quegli affetti e quelle passioni che si determinano attraverso la frequentazione diretta dei luoghi e l’ascolto delle proprie pulsioni. La delimitazione delle parti, le distanze tra le placche e gli spessori dei vettori sono frutto di sperimentati stati d’animo ottenuti errando in un terreno passionale oggettivo.

Lo stesso anno Debord realizza un’altra mappa intitolata The Naked City: Illustration de l'hipothése des plaques tournantes en psychogéographique (La Città Nuda: Illustrazione dell’ipotesi di placche girevoli in psicogeografica). Qui ogni riferimento al turismo è scomparso, la pianta di base è una normale carta stradale e molte delle unità di ambiente sono state soppresse oppure girate in direzioni non più legate all’orientamento originale. Le placche vagano spaesate come continenti alla deriva, come frammenti privi del loro contesto che si attraggono e si respingono seguendo le tensioni affettive dei grandi vettori psicogeografici.

Malgrado l'esempio della pianta di Chombart de Lauwe, ("I.S. n°1, p. 28) in cui sono riportati i tragitti effettuati in un anno da una studentessa parigina, non esistono mappe situazioniste in cui la deriva venga rappresentata dalla linea del percorso condotto sulla città. Tutte le descrizioni di derive sono sotto forma di racconti e non si imprimono mai sulla mappa. Anche nella pianta riprodotta nel Saggio di descrizione psicogeografica delle Halles di Abdelhafid Kathib , le linee disegnate non rappresentano il percorso compiuto, ma le “correnti interne e comunicazioni esterne delle Halles”. E’ come se la dérive non lasciasse traccia né sulla città né sulla sua immagine.

Probabilmente la ragione di quest'assenza va cercata proprio nella volontà di stravolgere la struttura reale della città rappresentandola come un esploso di parti. Jorn e Debord separano i quartieri in modo che le ipotetiche linee della deriva che avrebbero dovuto attraversarne l’interno sono invece costrette a vagare nello spazio bianco rimanendo prive di un territorio reale. I percorsi interni ai quartieri non sono segnati perché le placche sono isole completamente percorribili, mentre nel vuoto del foglio si perdono le frecce di tutte le possibili derive urbane. I vettori rossi non sono solo delle tensioni psicogeografiche ma sono frammenti di derive immaginarie. Sono connessioni spaziali con cui la città può essere smontata e ricostruita, una sorta di erranza attraverso un territorio mentale fatto di ricordi e di assenze. Tra i margini dei quartieri fluttuanti si trova il vuoto territorio delle amnesie urbane. La sola unità possibile della città contemporanea risulta esclusivamente dalla connessione di ricordi frammentari in un percorso mentale. I percorsi ricostruiscono una città fatta di buchi e di vuoti in cui intere parti vengono dimenticate o volutamente soppresse. La deriva situazionista si trasforma così da un metodo di lettura a un metodo di costruzione mentale di infinite città possibili. Il percorso erratico non ha solo un ruolo analitico ma anche sintetico, è un'azione che si propone come vera e propria architettura dello spazio vissuto.

5.3 L'arcipelago urbano

C'è un altro aspetto di queste prime mappe psicogeografiche che deve essere sottolineato, ed è quello della città vissuta come una spazialità liquida. Leggendo le piante di Jorn e Debord sembrerebbe che la deriva psicogeografica abbia cominciato a formare in città delle isole separate, e anche le frecce rosse possono essere interpretate come scie nell'acqua. Il continuo generarsi delle passioni/tensioni ha permesso ai continenti/quartieri di assumere una propria autonomia magnetica e di intraprendere essi stessi una propria deriva attraverso i vuoti come se questi formassero un unico grande mare. Uwe Lausen, aveva scritto “I situazionisti non sono dei cosmopoliti. Sono dei cosmonauti. Osano lanciarsi in spazi sconosciuti, per costruirvi isolotti abitabili per uomini non ridotti e irriducibili. La nostra patria è nel tempo (nel possibile della nostra epoca). È mobile.” ("I.S." n° 8, p. 65) Lausen si riferiva in realtà all'atteggiamento ludico-costruttivo situazionista e alla scelta di non cercare una patria nella cultura istituzionale. Ma anche qui le parole "cosmonauta" e "isolotti" se riferite alla pratica della deriva urbana, rimandano ancora alla costruzione di una città liquida.

Louis Aragon che nel Paysan de Paris ripercorre le prime deambulazioni dei dadaisti e dei surrealisti, aveva descritto Parigi come un "immenso mare" in cui, come in un liquido amniotico, nascevano forme di vita spontanea tutte da esplorare. La deriva riprende e approfondisce questo concetto. Nell'idea di città situazionista, anche se non viene mai detto esplicitamente, la figura di riferimento sembra essere chiaramente l’arcipelago: una serie di città-isole immerse in un mare vuoto interamente navigabile. Molti dei termini utilizzati vi fanno riferimento: le placche che fluttuano, le isole, le correnti, i portolani, i vortici, i gorghi e soprattutto il termine di “deriva” nei suoi due significati di “andare alla deriva” ossia senza direzione in balia delle acque, e nel significato nautico di elemento costruttivo della barca, quell’ingrossamento e prolungamento della chiglia che permette comunque di opporsi alle correnti per sfruttarne l’energia e per determinare la direzione. Il razionale e l'irrazionale, il conscio e l'inconscio, il progetto arhitettonico e l'antiprogetto nomade, trovano un territorio di incontro nel termine di deriva. La deriva produce nuovi territori da esplorare, nuovi spazi da abitare, nuove rotte da costruire. Le mappe psicogeografiche permettono a Constant di costruire una rotta, una città alla deriva immaginata come una catena di isolotti abitabili.

5.4 La città-percorso

Se nelle piante psicogeografiche la città compatta era stata esplosa in pezzi, in quelle di Constant questi pezzi si ricompongono per formare una nuova città. Non si tratta più di una città sedentaria e radicata sul suolo, ma di enormi corridoi urbani sollevati da terra che attraversano territori immensi per avvolgere tutta la superficie terrestre. Non esiste più una separazione tra quartieri e spazi vuoti su cui sfrecciano i vettori della deriva, a New Babylon la deriva e i quartieri sono un'unità inscindibile, tutta la città è pensata come un unico spazio per la deriva continua. Deriva, percorso nomade e città sono oramai diventati una sola cosa che viaggia intorno al mondo. Nelle cartografie di New Babylon lo slogan dell'IS "Abitare è essere ovunque a casa propria", assume la forma di un campo nomade alla scala planetaria.

Nel 1959 nell'articolo Un'altra città per un'altra vita, Constant aveva utilizzato alcuni schizzi a penna per visualizzare i Principi di una città coperta. Si trattava di una sezione e di un ideogramma planimetrico che contestavano la città ottocentesca di Camillo Sitte e la città verde di Le Corbusier in cui le abitazioni e la circolazione degli uomini continuavano ad essere due sistemi separati. Lo schizzo planimetrico di Constant proponeva in alternativa un sistema complesso con due griglie ruotate su cui si congestionano le diverse zone funzionali, una massa unica in cui non era più scindibile il sistema dei percorsi da quello delle costruzioni. La sezione mostrava una catena di settori sospesi dove la circolazione stradale rimaneva sul suolo mentre i percorsi pedonali e gli spazi pubblici formavano un tutt'uno con il costruito: "viene soppressa la strada, poiché la circolazione, in senso funzionale, passerà al di sotto, o sulle terrazze, al di sopra." (CONSTANT 10, p. 39)

I disegni successivi analizzano più in dettaglio questo sistema. In New Babylon Nord il suolo è solcato da due linee ferroviarie che si incrociano sulla destra, mentre tutto intorno le traiettorie delle auto sembrano essere più delle impronte sul terreno che delle vere e proprie strade, sembra che il suolo sia completamente percorribile in tutte le direzioni. Al di sopra del suolo la città è un reticolo di settori senza geometrie definite e al cui interno sono riconoscibili in rosso e in nero le funzioni abitative e i servizi. Osservando attentamente si vede che la penna di Constant ha percorso con una linea nera tutti gli spazi pubblici, sembra che ogni spazio sia stato esplorato dall'immaginazione di Constant: strani spazi numerati progressivamente, zone di sosta con punti di vista panoramici, zone quadrettate, ogni elemento sembra avere la propria identità formando così un'infinita concatenazione di spazi variabili. Il disegno successivo, da cui è costruita la maquette Groep Sectoren, approfondisce il tema delle connessioni tra i diversi settori esplorando la scala intermedia tra la serie delle maquettes e quella delle mappe territoriali.

Una volta messo a punto in astratto tutto il meccanismo, Constant comincia ad occupare con la grande maglia dei settori delle reali porzioni di territorio. Il reticolo si sovrappone al centro di Amsterdam per poi andare alla deriva nelle campagne circostanti. Una lunga serie di mappe descrive l'espansione di New Babylon in Olanda, a Rotterdam, a L'Aia, a Antwerp per poi spingersi nelle regioni del sud e nelle antiche cartografie del Middlesex. Le linee labirintiche della città-percorso continuano la loro corsa oltrepassando tutti i confini sovrapponendosi alla zona della Rhur, assediando Colonia, penetrando Monaco, fino a circondare Parigi e ad occupare Barcellona. La serie si conclude nel 1969 con la Rappresentazione Simbolica di New Babylon in cui lo sfondo del territorio torna ad essere astratto e solcato da strade rosse che connettono i centri di produzione, mentre i settori sono rappresentati da frammenti di città reali. Un collage di ritagli di mappe tra cui si riconoscono Amsterdam, Venezia, Torino, Londra, Madrid e Berlino forma un'unica Babele multiculturale. I frammenti detournati delle piante parigine di Jorn e Debord sono ricollegati come un'unica grande deriva e sostituiti con le città del mondo.

5.5 Megastrutture ludiche

Sono evidenti nelle maglie territoriali di New Babylon le analogie con i progetti che venivano prodotti in quegli anni dalle avanguardie architettoniche e in particolare con il Golden Lane Housing di Alison e Peter Smithson. Constant aveva avuto infatti la capacità di far convergere la critica situazionista alla città con le più avanzate ricerche architettoniche ed era riuscito a collegare la marginalità dell'IS ad un ambiente culturale più vasto ed in grande fermento. Con Aldo Van Eyck aveva assistito alla nascita del Team 10 e poi dal 1962 aveva cominciato a frequentare Yona Friedman e Frei Otto, e ad esporre con il GEAM (Groupe de l’Architecture Mobile). Era entrato come outsider nel network internazionale dell'avanguardia di cui facevano parte Lucius Burkhardt, l’editore di Werk che pubblica New Babylon nel numero “Mobile Architecture” e André Bloc che lo inserisce nel numero "Architecture Fantastiques" dell’Architecture d’Aujourd’hui.

Reyner Banham posiziona New Babylon tra quelle tentazioni dell'architettura che esplosero nel "mega anno" 1964. Quell'anno New Babylon viene pubblicata tra le pagine di Architectural Design e nella rivista a fumetti degli Archigram, a quell'epoca ancora emergenti. Banham considera New Babylon una "proposta estremamente seria circa le funzioni della megastruttura: l'identificazione dell'abitante più consono della megastruttura con L'Homo Ludens (…) l'interesse di Constant per le attività ludiche non deriva soltanto dal suo compatriota olandese Johan Huizinga, ma anche dalla sua partecipazione alla Internationale Situationniste, quel vivace branco di burloni politici ed estetici, serissimi, i cui membri più noti erano il pittore Asger Jorn ed il poeta Guy Debord". Ma è soprattutto il progetto senza il quale sarebbe stato impensabile concepire il Fun Palace di Cedric Price "che andava spettacolarmente oltre quanto era stato proposto da Constant nella sua Neo-Babilonia, dove almeno i pavimenti erano fissi, benché tutto il resto fosse provvisorio." (BANHAM, p. 38)

Ma New Babylon era diversa. Oltre a questa sorta di megastrutturalismo ludico il progetto sprigionava una carica rivoluzionaria che proveniva dall'unione della deriva situazionista con la riscoperta dell'universo nomade come alternativa alla società borghese: nei clusters del Team 10 c'erano ancora strade e case, a New Babylon non esisteva più neanche la famiglia. Presto con gli architetti cominciano le prime divergenze. Forse i progetti sono simili, ma sono diversi gli intenti ideologici. Per Constant le megastrutture mobili di Friedman rimangono città sedentarie e funzionaliste che enfatizzano le abitazioni private senza proporre un nuovo uso dello spazio sociale e una nuova cultura collettiva. Friedman risponde che New Babylon è la visione di un artista dittatore, che sarebbe una società imposta alle persone le quali dovrebbero poter invece scegliere il loro modo di vivere sia per quanto riguarda le abitazioni che lo spazio sociale. Non si può forzare la gente in una creatività collettiva, mentre la mobilità può permettere questa creatività nel modo che essi vogliono. Non ci si può proporre al mondo autoproclamandoci esperti della vita. “La gente potrà scegliere la direzione di Constant e vivere insieme più collettivamente, ma tu non puoi farne una prescrizione.”(WIGLEY, p. 41) Lasciamo le risposte a queste e ad altre critiche su New Babylon all'Autodialogo che pubblichiamo tra gli scritti di Constant.

Le ricerche situazioniste negli anni settanta vengono assorbite dalle avanguardie radicali per essere poi recuperate dalla cultura ufficiale degli anni novanta sotto nuove vesti estetiche. Il primo numero della rivista "I.S." si apriva con articolo sull'amara vittoria del surrealismo, mezzo secolo dopo si comincia già a parlare di un amara vittoria del situazionismo.

5.6 Terrain Vague

Durante la conversazione nell'atelier di Amsterdam ho chiesto a Constant di parlarmi dei Terrain Vague, una serie di quadri dipinti all'inizio del suo ritorno alla pittura. Alcuni critici hanno visto in questi in quadri la distruzione di New Babylon, a me sembravano piuttosto una sua continuazione. Constant mi ha risposto: "Si, hai ragione. Vedi, prima che conoscessi Debord, lui mi ha spedito un numero di "Potlatch" apparso quando c'era il Festival de l'Unité d'Abitation a Marsiglia. Io detestavo Le Corbusier perché era un funzionalista. Le sue funzioni di abitare, lavorare, circolare e ricrearsi erano il contrario di quello che volevo io: era lo Stato dei Lavoratori, lo schiavismo, io pensavo all'Homo Ludens, allo Stato dei Creatori. Nel numero di Potlatch i lettristi si scagliavano contro il festival di Marsiglia dicendo: "Noi opponiamo all'Unitè d'Abitation il terrain vague". Tu lo sai cos'è il terrain vague?" - e mi indica una finestra del suo studio coperta con un pannello - Hai visto il quartiere qui davanti? È stato costruito da poco, ma prima quando io venivo già qui a lavorare, là c'era un grande terrain vague con sterpi, sabbia… C'erano molte tende, i nomadi che facevano i fuochi, che cantavano… li ho visti per dieci anni da questa finestra, ora l'ho coperta, ma prima era aperta perché a me piaceva vedere tutto ciò. Quando ho fatto il quadro ho pensato ai lettristi contro Le Corbusier. Nel terrain vague tutti possono mettersi a fare quello che gli piace. È uno spazio neobabilonese. Poi ho fatto altri quattro o cinque quadri che ho chiamato Terrain Vague come omaggio ai lettristi. È per questo che ho ripreso la pittura. Scrivilo questo! Sai Mark Wigley non lo ha capito e neanche Jean Clarence Lambert, ma io volevo continuare New Babylon nella pittura. Quando ho ricominciato a dipingere non era una rottura con New Babylon. Con le maquettes ho fatto tutto quello che potevo fare, ma io dopo tutto sono pittore. Il primo quadro che ho fatto dopo New Babylon è stato Ode à l'Odéon, il teatro dell'Odéon di Parigi occupato dagli artisti nel '68 durante la rivolta contro De Gaulle. Tutto era occupato, per una o due settimane il teatro è diventato un incredibile spazio di creazione dell'Homo Ludens. Allora ho fatto il quadro. Un gioco di parole, un omaggio all'Odéon. Questo è stato il primo quadro, poi ho fatto i terrains vagues e li ho dedicati ai lettristi."

Gli racconto che ho fatto tante visite a New Babylon e che faccio parte di un Laboratorio di Arte Urbana con cui ho fatto molte derive urbane nei terrains vagues e che adesso stiamo lavorando a Roma al Campo Boario, uno spazio dove sono accampati i nomadi. Lui sbarra gli occhi e mi fa in italiano: "A Roma?! Zingari italiani?!" Vuole sapere tutto, poi quando gli dico che sono nomadi Calderasha, lui comincia la lunga lista dei nomadi che ha conosciuto: "Ci sono i Calderasha che lavorano i metalli, poi i Gitanos spagnoli e poi i Rom, o Roman, i nomadi sono musicisti, fanno delle musiche incredibili, bellissime…"

Parliamo della sua passione per la musica, delle figure di Orfeo che popolano i suoi quadri, delle vecchie foto ad Alba con la chitarra, di quelle nel suo studio in cui lui suona mentre le nebulose meccaniche danzano nella sala, dell'altana di casa sua dove la sera suona la sua grande collezione di strumenti musicali. Io comincio a pensare che la musica sia per lui come la pittura, la scultura e l'architettura: un quarto spazio attraverso cui visitare New Babylon, un modo per perdersi nei labirinti dell'Homo Ludens. Constant si gira verso uno strano strumento, una specie di grande xilofono a corde che si suona con due bacchette di legno e con un sorriso mi fa: "Questo è un cymbalon che ho portato qui allo studio per suonare ogni tanto, a casa ne ho uno ancora più grande, lo vuoi sentire?"














gli scritti

6.1 Descrizione della Zona Gialla

La zona gialla è il primo itinerario delle "Passeggiate a New Babylon", una guida descrittiva di questi plastici di isolati il cui insieme costituisce un modello ridotto della "città coperta". Constant, nel numero 3 di questo bollettino, ha formulato i principi di base di questa ipotesi particolare di urbanismo unitario. ("I.S." n° 4, pp. 23 - 26)
Questo isolato, che è situato ai confini della città, deve il suo nome al colore di una parte abbastanza grande del suo suolo, in particolare al secondo piano ad Est. Questa particolarità si somma all'atmosfera piuttosto gioiosa che predispone l'isolato ad adattarsi come zona di gioco. I diversi livelli - tre ad Est e due ad Ovest - sono sostenuti da una costruzione metallica , staccati dal suolo. Per la costruzione portante dei piani e degli edifici all'interno, abbiamo utilizzato il titanio; per il pavimento e il rivestimento di tramezzi e pareti, il nylon. La leggerezza di questa costruzione spiega non solo l'impiego minimo di supporti, ma anche una grande elasticità nel trattamento delle diverse parti, e la soppressione totale dei volumi. La costruzione metallica può essere considerata come la base per una sistemazione di elementi-tipo, mobili, intercambiabili, smontabili, che favoriscono la variazione permanente degli ambienti. Così, anche la descrizione che segue si limiterà al quadro delle sistemazioni generali. La struttura a livelli sovrapposti implica che la maggior parte della superficie debba essere illuminata e climatizzata artificialmente. Non si è cercato tuttavia da nessuna parte di imitare le condizioni naturali, ma al contrario, si è cercato di trarre vantaggio da questa circostanza, creando condizioni climatiche e sistemi di illuminazione. Questo fa parte integrante dei giochi di atmosfera che sono una delle attrazioni della zona gialla. È da notare inoltre che in parecchi punti si passa d'improvviso all'aria aperta.

Si può arrivare in questa zona della città sia per via aerea, visto che le terrazze offrono terreni d'atterraggio, sia al livello del suolo con l'automobile, sia infine con un treno sotterraneo - dipende dalle distanze da percorrere. Il livello del suolo, tagliato in tutte le direzioni dalle autostrade, è privo di costruzioni ad eccezione di qualche pilastro che regge la struttura e di un edificio circolare a sei piani (A) che funge da supporto alla parte sospesa della terrazza. Questi supporti, attorno ai quali sono stati previsti degli spazi per la sosta dei mezzi di trasporto, contengono degli ascensori che portano ai piani della città o nel suo sottosuolo. L'edificio (A) che ospita i servizi tecnici, è separato dal resto dell'isolato e vi si può accedere solo dalla terrazza o dal piano terra. Tutto il resto è comunicante internamente e costituisce un grande spazio comune da cui bisogna escludere soltanto due edifici alla periferia della città che contengono le abitazioni (B e C). Tra queste due costruzioni-alloggio, le cui finestre danno sul paesaggio, si trova, all'angolo Nord-Est della città, sopra la terrazza superiore, la grande hall degli arrivi (D), costruzione metallica coperta di lamiera di alluminio, di forma abbastanza libera, i cui due piani ospitano la stazione dei viaggiatori e i depositi per la distribuzione delle merci. Questo atrio si trova all'aperto mentre l'interno dell'isolato stesso è interamente coperto.

La parte ad Est è divisa in senso verticale in due piani coperti, più la parte della terrazza dove si trova l'aerodromo. Per mezzo di pareti mobili, i piani sono organizzati come un grande numero di sale comunicanti - orizzontalmente e per mezzo di scale anche verticalmente - i cui ambienti variabili sono modificati di continuo da squadre situazioniste, in collegamento con i servizi tecnici. Vi si praticano soprattutto dei giochi intellettuali.

La parte Ovest appare subito più complicata. Vi si trova la grande casa-labirinto, e la piccola (L e M) che riprendono e sviluppano le vecchie possibilità della confusione architettonica: i giochi d'acqua (G), il circo (H), il gran ballo (N), la piazza bianca (F) sotto cui è sospesa la piazza verde, che gode di una splendida vista sul traffico delle autostrade che passano al di sotto.

Le due case-labirinto sono costituite da un gran numero di stanze di forma irregolare, di scale a chiocciola, di posti perduti, di terrains vagues, di cul-de-sac. Vi si va all'avventura. Ci si può ritrovare nella sala sorda, rivestita di materiale isolante; la sala chiassosa dai colori vivaci e dai suoni opprimenti; la sala degli echi (giochi di emittenti radiofoniche); la sala delle immagini (giochi cinematografici), la sala della riflessione; la sala del riposo; la sala (giochi degli influssi psicologici e dei giochi erotici); la sala delle coincidenze, eccetera. Un soggiorno di lunga durata in queste case ha l'effetto benefico di un lavaggio del cervello ed è praticato frequentemente per evitare il formarsi di abitudini.

I giochi d'acqua si trovano tra queste due case, all'aperto, poiché la terrazza superiore ha a un certo punto un'apertura che lascia vedere il cielo. Getti d'acqua e fontane si alternano a palizzate e a costruzioni dalle forme bizzarre, tra cui una grotta di vetro, riscaldata, dove ci si può fare il bagno in pieno inverno, sempre guardando le stelle.

Prendendo il passaggio K, che al posto delle finestre è dotato di larghe lenti ottiche che ingrandiscono di molto la vista sull'isolato vicino, si arriva al gran ballo. Oppure si passa sulle terrazze intorno ai giochi d'acqua, che sovrastano la piazza bianca visibile più in basso, dove si tengono le manifestazioni e che danno anche accesso alla piazza verde che si trova al piano di sotto.

Scendendo sotto questa piazza, si possono trovare delle vetture pubbliche che conducono ancora in altri quartieri.


2 Il principio del disorientamento

Scritto nel dicembre del 1973, pubblicato in New Babylon (Haags Gemeentemuseum, 1974), versione francese ridotta pubblicata in J. C. Lambert (Constant/New Babylon. Art et Utopie, Cercle d'Art, Paris, 1996) traduzione dal francese di Francesco Careri.

Lo spazio statico
E' un fatto ovvio che nella società utilitarista, la costruzione dello spazio si basa su un principio di orientamento. Se non fosse così lo spazio non potrebbe funzionare come luogo di lavoro. Quando l'uso del tempo si giudica dal punto di vista dell'utilità, è importante non perdere tempo e minimizzare quindi gli spostamenti tra la casa ed il luogo di lavoro. Detto in un altro modo, lo spazio assume valore a seconda che lo si utilizzi con questo obbiettivo. Per questo motivo tutte le concezioni urbanistiche, fino ad oggi, partono dall'orientamento.

Lo spazio dinamico
Se pensiamo invece ad una società ludica, in cui si pongono manifestamente le forze creatrici delle grandi masse, questo principio perde la sua ragione di essere. Un'organizzazione statica dello spazio è incompatibile con i continui cambiamenti di comportamento che si possono produrre in una società senza lavoro. Le attività ludiche condurranno inevitabilmente ad una dinamizzazione dello spazio. L'Homo Ludens viene a contatto con il suo intorno: interrompe, cambia, intensifica; insegue i percorsi e nel passaggio lascia le tracce delle sue attività.
Più che uno strumento di lavoro, lo spazio per lui si trasforma in un oggetto di gioco. Per questo chiede che sia mobile e variabile. Siccome non necessita di spostamenti rapidi, può intensificare e complicare l'uso dello spazio, che per lui è principalmente un terreno di gioco, di avventura e di esplorazione. Il suo modo di vita verrà favorito dal disorientamento, che farà in modo che l'uso del tempo e dello spazio sia più dinamico.
Il labirinto
Con il labirinto, il disorientamento si persegue coscientemente. Nella sua forma classica, la più semplice, la pianta di un labirinto mostra in uno spazio dato il tragitto più lungo possibile tra l'ingresso ed il centro. Ogni parte di questo spazio si visita solamente una volta: nel labirinto classico non si può tornare indietro. Più tardi hanno inventato labirinti più complessi aggiungendo percorsi senza uscita, piste false, che obbligano a tornare indietro. Esiste sicuramente un unico percorso corretto che conduce al centro. Questo labirinto è una costruzione statica che determina i comportamenti.

Il labirinto dinamico
La liberazione del comportamento esige uno spazio sociale labirintico ed allo stesso tempo continuamente modificabile. Non ci sarà quindi un centro verso cui bisogna andare, ma un numero infinito di centri in movimento. Non si tratterà di fuorviarsi con il sentimento di "perdersi", ma nel sentimento di "incontrare percorsi sconosciuti". Il labirinto cambia struttura sotto l'influenza dei "fuorviati". E' un processo ininterrotto di creazione e distruzione, che chiamo labirinto dinamico.
Non si conosce praticamente nulla di questo labirinto dinamico. Si intende che non si potrà prevedere o progettare un processo di questa naturalezza se allo stesso tempo non lo si pratica, il che risulta impossibile se la società mantiene il suo carattere utilitarista.
In una società ludica, l'urbanizzazione tenderà automaticamente al carattere di un labirinto dinamico. La creazione e ri-creazione continua dei modi di comportamento, richiedono la costruzione e la ricostruzione senza fine dei suoi ambienti.

È questo, l'urbanismo unitario.

6.3 Autodialogo a proposito di New Babylon
Pubblicato in Opus International, n° 27, 1971, pp. 29-31. Traduzione: Francesco Careri

Domanda: Tu hai sempre affermato che New Babylon non potrà mai essere realizzata nella società attuale e che, nelle condizioni sociali esistenti, il tuo progetto in ogni caso non funzionerebbe. Si tratta dunque di un progetto utopico. Ciò detto, devo constatare che, da dodici anni tu ti occupi di questo progetto come se non ti curassi dei problemi dell'uomo attuale, come se li fuggissi. Invece di rifugiarsi in una cultura di cui inventa ogni aspetto, l'artista, secondo me, dovrebbe ricercare l'espressione artistica della cultura di cui fa parte.

Risposta: Quest'alternativa purtroppo non esiste. Oggi non vedo una cultura di cui potremmo fare parte ed è proprio per questo che ho preso la via di New Babylon. Non si può scegliere tra la cultura esistente e una cultura, diciamo post-rivoluzionaria, che resta da inventare. La scelta reale è tra l'abbandono completo di ogni attività creativa e la preparazione di una cultura futura, desiderabile, anche se non ancora realizzabile. È vero che bisogna credere al successo della rivoluzione per scegliere quest'ultima posizione.

D: Come protesta contro l'attuale società, quello che fanno altri artisti, come il detournamento dell'arte, le dimostrazioni degli "arteurs" e occupazioni di musei, mi sembra più efficace della creazione di un'immagine della società futura, che rischia di essere idealizzata.

R: Il fatto che nessuno si mostri urtato prova piuttosto l'inefficacia di questo genere di manifestazioni. Non è l'abbandono dello spirito creativo, ma è l'avere questo spirito che minaccia la società borghese. La non-partecipazione può essere onesta, ma certamente non efficace. Per cambiare la società, prima di tutto, ci vuole immaginazione.

D: Quello che dici mi sembra incoerente. Se tu rifiuti tutte le attività artistiche moderne, come puoi pretendere di essere un difensore della creatività? In nome di che cosa tu sostituisci l'arte con New Babylon?

R: L'arte non è che una forma storica della creatività. Questa forma è tipica di quella che io chiamo società "utilitarista", la società nella quale la quasi totalità dell'umanità è costretta a produrre per sopravvivere. Nella società utilitarista, la schiavitù delle masse lavoratrici è la condizione stessa della relativa libertà dell'individuo creatore. Se l'enorme potenziale creativo delle masse sarà un giorno risvegliato e messo in atto, quello che noi oggi chiamiamo "arte" perderà ogni significato.

D: Ma è possibile che l'avvenire veda realizzarsi una cultura delle masse. Ma come si può riconoscere oggi la forma che questa potrà prendere domani? Con New Babylon non rischi di dettare alle masse un comportamento che esse devono ancora inventare?

R: Mi sembra che tu pensi che, una volta che si sia stabilita la cultura delle masse, allora il loro comportamento sarà deciso per sempre, esattamente come le forze repressive del passato o del presente hanno voluto e saputo fare. Ma è vero il contrario: la creatività delle masse, una volta liberata, impedirà ogni modalità fissa di comportamento. È nel cambiamento continuo del comportamento che si situa la vita ludica che è la vita di New Babylon. Il progetto non considera altro che la creazione delle condizioni materiali che potranno assicurare il libero sviluppo delle attività ludiche. La pianificazione per come la conosciamo si rivelerà obsoleta. Bisogna studiarne da adesso un'altra che possa sviluppare lo spazio della libertà.

D: Ma come si possono conoscere da adesso le condizioni? I tuoi disegni e i tuoi plastici danno l'impressione di un mondo tecnocrate, la cui sola scala matte una paura incredibile. Ma l'uomo del futuro non avrà bisogno di un ambiente meno artificiale, più legato alla natura?

R: La paura della tecnologia è reazionaria. La liberazione delle masse è reso possibile solo dallo sviluppo tecnico. Senza l'automazione della produzione, il potenziale creativo delle masse resta solo un'illusione. Per New Babylon la tecnologia è una condizione sine qua non. D'altra parte io penso che la natura non potrà più offrire un ambiente soddisfacente per il risveglio culturale del mondo a venire.

D: Ma il comportamento delle masse nell'avvenire, e l'ambiente artificiale che dovrà favorirlo sono tutti e due dei fattori non conoscibili, perché allora dare, come fai tu, delle immagini o delle illustrazioni della vita neobabilonese?

R: Il mio progetto serve soprattutto come provocazione. Le città, come le conosciamo, non potranno mai diventare uno spazio per la vita ludica delle masse. Per creare questo spazio in un periodo post-rivoluzionario, ci sarà bisogno di un nuovo principio di urbanizzazione basato sulla socializzazione della terra e dei mezzi di produzione. L'essenza di New Babylon è il suo principio urbanistico.

D: La struttura di New Babylon è una rete, mentre le città esistenti sono centralizzatrici. Ma questa differenza è così essenziale quando si tratta di una vita ludica?

R: Grazie all'automazione dei mezzi di produzione l'uomo cessa di essere produttore. Non è più costretto a vivere in un luogo fisso, sedentario. La sua vita può ridiventare nomade com'era prima del neolitico. Indipendente dalla natura egli potrà creare a volontà il suo ambiente intorno. Le reti neobabilonesi rappresentano le tracce del suo passaggio sulla superficie della terra. Nelle planimetrie si distinguono nettamente queste tracce urbanizzate e il paesaggio naturale o artificiale che esse tagliano.

D: Ma non si può passare tutta la vita a seguire delle tracce! Tutti quanti hanno bisogno di concentrarsi su un'attività qualsiasi, di conservare i beni acquisiti o fabbricati. I nomadi stessi…

R: Se gli uomini conservano dei beni e li portano con loro quando si spostano, è perché questi beni sono difficili da trovare o da sostituire. Noi non portiamo con noi quello che si trova dappertutto in abbondanza. La questione quindi è capire se sarà possibile produrre in abbondanza i beni di cui l'uomo ha bisogno per vivere ovunque egli voglia andare. Ed è utopia allora affermare che le condizioni di una tale abbondanza sono là, a condizione di razionalizzare la produzione, il che è possibile solo nel caso di un'economia socializzata?

D: La mia obiezione principale è un'altra: tutti provano, ogni tanto, il bisogno di stare da soli, di isolarsi per fare l'amore, di riposarsi oppure in caso di malattia. Stare continuamente sulla strada è impossibile, insopportabile. Tu parli di masse, ma queste masse sono composte da uomini, differenti gli uni dagli altri, con bisogni differenti. New Babylon non offre assolutamente la possibilità di starsene per conto proprio.

R: In realtà è la società attuale che ci obbliga a isolarci, che ci impone la solitudine per mancanza di comunicazione. Ora, la comunicazione è la prima condizione della creatività. Attualmente lo spazio sociale degli individui è estremamente limitato, e senza rapporti con lo spazio reale. A New Babylon questi due concetti di spazio si riscoprono grazie al fluttuare della popolazione. Tu vedi nascere un problema là dove io ne vedo la soluzione. Va da sé che la possibilità di un individuo di starsene per conto suo è facilmente realizzabile a New Babylon come in qualsiasi altro sistema urbanistico.

D: La maggior parte dello spazio urbano di New Babylon è dunque destinato all'uso collettivo, è spazio sociale. Ma che rapporto ha questo spazio con una cultura di massa? Non si dovrebbe temere che tutti questi contatti effimeri tra gli individui frenino la creatività invece di stimolarla?

R: Nell'attuale struttura della società ogni individuo si trova in permanente competizione con gli altri. La conseguenza è una perdita considerevole della potenzialità creativa. Al contrario, in una collettività dinamica, la composizione di tutte le forze creatrici offrirà all'individuo stesso un materiale inesauribile di ispirazione. L'atto individuale si perderà senza dubbio, ma quello che ne risulterà è un'attività infinitamente più ricca e più varia. È un processo che supera largamente le capacità dell'individuo solitario, e che gli permetterà di giungere a un livello più elevato del suo livello personale.

D: Ma questo fenomeno non potrebbe prodursi anche in un altro ambiente? In quello che già esiste, e sto pensando per esempio a certi happening.

R: È un pessimo esempio, perché l'happening non funziona, esattamente per mancanza di comunicazione sociale. Malgrado le intenzioni degli artisti, gli happening restano degli spettacoli poveri per spettatori passivi. La costruzione urbana è l'espressione e l'immagine della struttura sociale che non possiamo cambiare senza cambiare la società. I miei progetti non sono delle semplici costruzioni architettoniche. Si tratta di costruire la base di libertà più grande, per una maggiore flessibilità di ambienti molto variati che si compongono e si decompongono continuamente. I veri costruttori di New Babylon saranno i neobabilonesi.










Per Approfondire

"I.S." – Internazionale Situazionista 1958-69, Nautilus / Stampatre, Torino 1994.
ANDREOTTI COSTA 1 – Libero Andreotti e Xavier Costa, Situacionistas: arte, polìtica, urbanismo, MACBA / ACTAR, Barcelona 1996.
ANDREOTTI COSTA 2 – Libero Andreotti e Xavier Costa, Theory of the Dérive and other situstionist writings on the city, MACBA / ACTAR, Barcelona 1996.
BANDINI – Mirella Bandini, L'estetico, il politico: Da Cobra all'Internazionale Situazionista, 1948-1957, Officina Edizioni, Roma 1977.
BANHAM – Reyner Banham, Megastructure, London 1976; trad. it. Le tentazioni dell'architettura. Megastrutture, Laterza, Bari 1980.
DEBORD 1– Guy E. Debord, Introduction a une critique de la géographie urbaine, "Les Lèvres Nues" n° 6, pp. 11-15, Bruxelles, settembre 1955.
DEBORD 2– Guy E. Debord, Théorie de la dérive, "Les Lèvres Nues" n° 8/9, pp. 10-13 Bruxelles, novembre 1956, ripubblicato in "I.S." n°2, pp. 19 - 23.
DEBORD 3– Guy E. Debord, L'Urbanismo Unitario alla fine degli anni '50, "I.S." n° 3, pp. 11 - 16.
DEBORD 4 – Guy E. Debord, Premières maquettes pour l’urbanisme nouveau, “Potlach. Informations Intèrieures de l'IS”, n°1 (n°30), luglio 1959.
DEBORD 5– Guy E. Debord, La société du spectacle, Paris 1967; trad. it. La società dello spettacolo, Firenze 1967.
FOUCAULT – Michel Foucault, Eterotropie, "Millepiani", Mimesis, Milano, 1994.
HOME – Stewart Home, The assault on culture: utopian currents from Lettrism to Class War, Stirling, 1991; trad. it., Assalto alla cultura. Correnti utopistiche dal Lettrismo a Class War, Venezia 1996.
LAMBERT 1 – Jean Clarence Lambert, Constant. Les trois espaces, cercle d'art, Paris 1992.
LAMBERT 2 – Jean Clarence Lambert, New Babylon - Constant. Art et Utopie, cercle d'art, Paris 1997.
PERNIOLA 1 – Mario Perniola, I Situazionisti, Manifesto libri, Torino, 1972; Castelvecchi, Roma 1998.
PERNIOLA 2 – Mario Perniola, Appunti per una storia dell'urbanistica labirintica, in "Rivista di Estetica" n°2, 1968.
SADLER – Simon Sadler, The Situationist city, MIT press, Cambridge 1998.
TURRI – Eugenio Turri, Gli uomini delle tende, Comunità, Milano, 1983
WIGLEY – Mark Wigley, Constant's New Babylon. The Hyper-Architecture of Desire, Witte de With Center for Contemporary Art / 010, Rotterdam 1998.


TESTI DI CONSTANT:
CONSTANT 1 – New Babylon, Haags Gemeentemuseum, Den Haag 1974, ripubblicato in LAMBERT 2, pp. 49 - 99.
CONSTANT 2– Manifeste, in "Reflex" n°1, Amsterdam, 1948.
CONSTANT 3 – C’est notre désir qui fait la révolution, "La Bibliothèque Cobra" n°4, 1949.
CONSTANT 4 – et all., Primo proclama della sezione olandese dell'I.S., "I.S." n°3, p. 29.
CONSTANT 5 – con Debord, La dichiarazione di Amsterdam, "I.S." n° 2, p. 31.
CONSTANT 6 – Sui nostri mezzi, sulle nostre prospettive, "I.S." n° 2, p. 23.
CONSTANT 7 – New Babylon - Ten Years On, conferenza all'università di Delft, 23 maggio 1980, pubblicato in WIGLEY, p. 236.
CONSTANT 8 – Rapporto inaugurale della Conferenza di Monaco, "I.S." n° 3, p. 26.
CONSTANT 9 – Le Grand Jeu à Venir, "Potlach" n° 1 (n° 30), luglio 1959, ripubblicato in LAMBERT 2, p. 36.
CONSTANT 10 – Un'altra città per un'altra vita, in "I.S." n°3, p. 37.
CONSTANT 11 – Descrizione della zona gialla, "I.S." n°4, p. 23.
CONSTANT 12 – Mobile Architecture, “Werk”, vol. 50 n° 2, pp. 46-57, 1962.
CONSTANT 13 – Néo Babylone, “l’Architecture d’Aujourd’hui” vol. 33, n°102, p. 77, 1962.
CONSTANT 14 – New Babylon: an urbanism of the future, "Architectural Design", p. 304, 1964.


"New Babylon non finisce in nessun luogo (essendo la terra rotonda); non conosce frontiere (non essendoci economie nazionali) o collettività (essendo l'umanità fluttuante). Ogni luogo è accessibile a ciascuno e a tutti. L'intera terra diventa una casa per i suoi abitanti. La vita è un viaggio infinito attraverso un mondo che sta cambiando così rapidamente che sembra sempre un altro."  CONSTANT, 1974



Note sull’urbanismo unitario

pubblicato in Francesco Careri (osservatorio nomade), Constant e le radici di New Babylon, “Domus” n° 885. Con Armin Linke e Luca Vitone. Pp. 100-113)

Il primo agosto scorso è morto Constant. Lascia al mondo dell’arte e dell’architettura una molteplice e contraddittoria eredità: c’è chi di New Babylon “ha copiato solo le forme senza prenderne i contenuti”, come lui stesso mi aveva detto a proposito di tante architetture opulente che offrono un’immagine ludica e colorata al neocapitalismo trionfante. C’è chi ha continuato la strada utopica e visionaria del nomadismo antiarchitettonico – forse l’aspetto più affascinante di New Babylon – e penso alla Walking City di Archigram, alle griglie energetiche di Superstudio fino alle recenti e a volte ridicole versioni del neo-pop digitale. E, ancora, c’è chi costruisce reti informatiche, realizzando New Babylon in scala digitale; chi ne sperimenta la vita liberata in occupazioni, autogestioni e nuove comunità; chi ripropone l’approccio creativo e interdisciplinare dell’urbanismo unitario cercandovi risposte per l’attuale città multiculturale. Questa ultima strada, che era alle fondamenta di New Babylon, offre oggi possibilità impensabili all’epoca dei situazionisti, forse troppo impegnati a costruirne la teoria e lo spazio, troppo poco alla ricerca di un luogo, di un terreno concreto in cui mettersi in campo.

Proviamo a ripartire da Alba cinquanta anni dopo, da quella comunità di sinti piemontesi ai quali Pinot Gallizio aveva donato un terreno e Constant un progetto: l’idea di non imporre ai nomadi un’urbanità sedentaria, ma al contrario di prenderne a modello lo stile di vita per proporre al mondo intero un diverso modo di abitare lo spazio. La storia è andata però in un altro modo. La rivoluzione non è arrivata e quella società multiculturale che avrebbe dovuto costruire New Babylon si trova oggi tra le discariche delle zone più periferiche delle nostre città e dei nostri pensieri. Il campo dei nomadi di Alba non è stato per i situazionisti un “terreno di gioco e di partecipazione”. L’urbanismo unitario, che lì aveva trovato un campo concreto su cui giocare, non ci ha giocato, non si è messo in campo. Malgrado i proclami per un’arte collettiva da applicare allo spazio urbano, i situazionisti non sono riusciti a trovare un terreno comune dove sperimentare le capacità dei singoli membri: quelle da costruttore di reti di Asger Jorn, abile seduttore e potenziale regista di tante squadre interdisciplinari da mettere in campo; quelle di costruttore di senso di Guy Debord, capace di caricare di significati politici e filosofici gli aspetti che mano a mano emergono dal campo; quelle da costruttore di spazi di Constant capace di tradurre in poesia tridimensionale le qualità dello spazio nomade; quella di costruttore di relazioni di Pinot Gallizio, capace di intessere fili tra la realtà concreta del campo nomadi e il mondo politico e culturale di Alba. Capacità ancora oggi fondamentali per trasformare spazi complessi. L’urbanismo unitario non è sopravvissuto alle espulsioni, alle dimissioni e alle vanità artistiche dei suoi singoli membri. I concetti di antibrevetto e di non autorialità, seppure ben formulati, non sono stati spesi proprio lì dove sarebbero serviti per attivare processi creativi di trasformazione collettiva e partecipata.

Oggi, seppur in misura ancora insufficiente, lo scenario sembra mutato. Ci sono amministrazioni che affrontano situazioni difficili e atrofizzate non con le usuali procedure urbanistiche, ma affidandosi alle possibilità dell’arte pubblica e in molti cominciano a ricevere da queste operazioni benefici e ritorno politico. Il mondo culturale con fondazioni, centri d’arte e università, comincia impegnare risorse in questa direzione. Negli studenti inizia a nascere un desiderio di mettersi campo piuttosto che al computer, di partecipare da vicino alle trasformazioni del territorio portando le proprie capacità a servizio della collettività, di rendersi utili a chi ne ha bisogno piuttosto che agli studi professionali dello star-system griffato. Ma c’è bisogno delle persone giuste, che sappiano veramente lanciarsi nella creatività collettiva superando l’autorialità, la firma, il brevetto, che sappiano costruire reti, estrapolare significati, fornire visioni, costruire relazioni e istigare processi trasformativi.

I campi nomadi sono i luoghi simbolo delle peggiori realtà urbane in cui da secoli abbiamo relegato l’altro. Sono passati cinquant’anni e siamo sempre lì, sulle rive del Tanaro a domandarci se abbia senso progettare un campo nomade, se abbia senso progettare l’instabile, il transitorio, l’incerto. È chiaro che se non la si affronta in termini culturali, la progettazione di questi spazi rimarrà ai tecnocrati di partito, agli approfittatori o peggio alle questure.

Il campo nomadi di Alba continua a essere una scommessa per tutti.






Pellegrinaggio ad Alba

(pubblicato in Francesco Careri (osservatorio nomade), Constant e le radici di New Babylon, “Domus” n° 885. Con Armin Linke e Luca Vitone. Pp. 100-113)


Alba, dicembre 1956
Racconto della visita di Constant e Gallizio al campo dei nomadi di Alba, durante un soggiorno presso il Laboratorio del Bauhaus Immaginista.
“Gli zingari che si fermavano per qualche tempo nella piccola città piemontese di Alba avevano preso da molti anni l’abitudine di costruire il loro accampamento sotto la tettoia che ospitava una volta alla settimana il mercato del bestiame. Qui accendevano i loro fuochi, attaccavano le loro tende ai pilastri per proteggersi e per isolarsi, improvvisavano ripari con casse e tavole abbandonate dai commercianti. La necessità di ripulire la piazza del mercato dopo tutti i passaggi dei Gitani aveva portato il Comune a vietarne l’accesso. Si erano visti assegnare in compenso un pezzo di terreno erboso su una riva del Tanaro, il piccolo fiume che attraversa la città: un anfratto dei più miserabili. È là che sono andato a trovarli, in compagnia del pittore Pinot Gallizio, il proprietario di questo terreno scabro, fangoso, desolato che gli era stato affidato. Di quello spazio tra le roulotte, che avevano chiuso con tavole e bidoni di benzina, avevano fatto un recinto, una “città dei gitani”. Quel giorno ho concepito il progetto di un accampamento permanente per i gitani di Alba e questo progetto è all'origine della serie di maquettes di New Babylon. Di una New Babylon dove si costruisce sotto una tettoia, con l'aiuto di elementi mobili, una dimora comune; un’abitazione temporanea, rimodellata costantemente; un campo nomade alla scala planetaria”.
(in: Constant, New Babylon, Haags Gemeentemuseum, Den Haag, 1974)

Alba, luglio 1957
Pinot Gallizio, dopo aver difeso più volte i nomadi in consiglio comunale, affigge nelle vie di Alba un manifesto dal titolo L’uomo è sempre l’uomo e annuncia l’inizio della “grande battaglia per la sosta degli zingari”. Il manifesto mostra le foto di Gallizio con i nomadi, ora al mercato ora in riva al Tanaro. Con un’inedita ed efficace performance di comunicazione estetica e politica, Gallizio entra in campo con il ruolo di artista pubblico. Ne seguono polemiche sulla stampa locale contraria ad affidare il nuovo campo agli artisti del Bauhaus Immaginista.

Roma, dicembre 2004
La signorina Giulia Liberti Sebaste, amica di Giors Melanotte, il figlio di Gallizio recentemente scomparso, contatta Osservatorio Nomade a proposito di un imminente sgombero del campo di Alba e di una querelle sul terreno che Gallizio aveva regalato nel 1949. Sembra che il campo sia in riva al fiume e che ci siano gli stessi sinti piemontesi che Constant aveva incontrato nel 1956, forse quel terreno è loro. Organizziamo una spedizione in camper per verificare sul luogo, ma poi tutto si arena.


Utrecht, 1 agosto 2005
Muore Constant. Sua figlia Martha Nieuwenhuijs ci dà la triste notizia e ne seguono intensi scambi telefonici. Domus accetta la proposta del viaggio ad Alba. È estate e la grande carovana di Osservatorio Nomade non si riesce ad organizzare, intanto partiamo in tre: Francesco Careri, Armin Linke e Luca Vitone.

Torino-Alba, 29 agosto 2005
ore 15.00: arriviamo alla spicciolata da Martha che abita a Torino nella zona di San Donato. Ci accoglie molto gentilmente e ci mostra vecchi cataloghi e album di famiglia. Sono foto bellissime, a volte con commenti di Constant, didascalie spiritose, piccoli racconti. Apriamo lo scanner e cominciamo a lavorare. Constant appare sempre ridente, festaiolo, ludico; ora in piedi su una sedia; ora vestito da pirata, sempre pronto a far divertire la sua grande famiglia allargata, un esempio di vita liberata condivisa con naturalezza con Asger Jorn, quasi una sperimentazione di New Babylon tra tante mura domestiche. Dagli album vengono fuori le storie. Alba, Albisola, Cosio d’Arroscia. Parigi, la casa che Jorn aveva costruito con un prete operaio, si entrava dal bagno passando accanto alla vasca e al lavandino, e poi seguivano tutte porte scorrevoli, alla Rietveld. Amsterdam, le feste tzigane a casa Constant, dove lui improvvisava con l’amico Jan Kalkman e l’orchestra Kabani, che ancora suona nel ristorante Capitan Zeppo. “È sempre stato un po’ gitano”, dice Martha e Francesco racconta che lui gli aveva detto che in famiglia scorreva sangue nomade, che un avo materno aveva sposato una ragazza manu francese. Martha, quasi a confermare, ci mostra una straordinaria foto di Johannes Theodorus Petrus Cornelissen, il nonno materno di Constant. Sembra la foto di Gallizio con gli orecchini che fa “il re degli zingari”. Partiamo per Alba.

ore 20.10: siamo in ritardo e ci dirigiamo subito all’accampamento in riva al Tanaro, ci fanno strada l’architetto del futuro campo Sandro Lazier e il suo assistente Paolo Ferrara. Il nostro riferimento è Alessio che ci viene incontro all’ingresso. Veniamo accolti molto cordialmente. Ci sono altoparlanti che diffondono una musica molto alta, più tardi scopriamo che sono i ragazzi che fanno un karaoke. Dopo un rapido giro a piedi ci ritroviamo in una veranda a bere caffè. Armin scatta le foto. Francesco e Luca mostrano i libri con Pinot Gallizio tra i nomadi per vedere se si riconosce qualcuno. In realtà non si capisce molto bene, a volte trovano una nonna, a volte dei lontani cugini, altre volte riconoscono in Gallizio un loro parente… L’anno 1956 sembra appartenere ad altre generazioni. Nessuno ha un diretto ricordo di Pinot. Lo conoscono perché il loro campo si chiama Villaggio Pinot Gallizio e all’ingresso c’era il cartello con la foto con gli orecchini, alcuni credevano che fosse un loro avo importante. È tutto sparito con l’alluvione del ’94 che ha cancellato il campo senza fare vittime, per fortuna. Il fiume è assassino e un anno fa un bambino è annegato. L’acqua è il vero problema, tutti sanno che quella è un’area esondabile e che può sempre arrivare il momento di mettere tutto nei camper e scappare. Ci parlano di Amilcare de Bar, detto Taro, un loro parente scampato da Auschwitz e poi diventato un personaggio pubblico ad Alba fino a rappresentare i sinti piemontesi a Ginevra, era lui il riferimento di Pinot, ora vive a Cuneo. Cerchiamo di spiegare chi siamo, cosa vorremmo fare e soprattutto perché loro siano diventati la più famosa comunità nomade della storia delle avanguardie. Quando capiscono che siamo quelli che dovevano venire in camper per sostare nel loro campo si dimostrano più fiduciosi. Francesco scrive una dedica nel suo libro su Constant e New Babylon e ne fa dono a tutto il campo. Lo ricevono con molta cortesia ma non sembrano particolarmente eccitati all’idea di abitare in quelle immagini colorate, forse troppo oltre ogni idea di ‘casa’ anche per un nomade. Descriviamo il plastico del campo nomadi progettato nel 1957 per loro: un circo sinti, un grande sistema di tettoie mobili sotto cui appendere teli, feltri, pareti mobili e tutto ciò che si può costruire e smontare seguendo i desideri e le necessità del momento. Ancora un bicchiere e andiamo in albergo.

Alba-Torino, 30 agosto 2005
ore 7.50: Ci ripresentiamo quando il sole comincia ad alzarsi. Il campo si sta svegliando, è tenuto bene, ha una grande strada-piazza centrale che senza soluzione di continuità entra nei soggiorni delle case. Sono famiglie allargate e molto imparentate tra loro, così le frontiere tra le case, come quelle tra spazi pubblici e privati o tra spazi interi ed esterni, sono assolutamente fluide. Dappertutto è pieno di oggetti che sembrano non appartenere a nessuno e che in realtà appartengono a tutti, oggetti pubblici e domestici: lavandini, barbecue, altalene, sedie dondolo, scale. La città è un villaggio-casa. Mentre la casa-villaggio è un soggiorno all’aperto con intorno tettoie multifunzionali che coprono cucine, verande, roulotte, camion, macchine e magazzini, tutto sembra essere contenuto sotto. Sembra di essere in una New Babylon concreta.

ore 10.10: arrivano i carabinieri, ci controllano i documenti e se ne vanno. Ci spiegano che è una visita quotidiana, c’è una persona agli arresti domiciliari. Ma qui quasi tutti lavorano, fanno i muratori, raccolgono ferro vecchio e la novità è la nascita di alcune cooperative che prendono appalti dal comune per piccoli lavori e la cura dei giardini pubblici. Continuiamo a perderci nel campo e a interagire attraverso le vecchie foto, un efficacissimo strumento di relazione. La signora Jolanda si affaccia in veranda e dice che quei nomadi con Gallizio non sono loro, che lui non c’entra con questo campo, che quelli che lo hanno fatto sono suo padre Orlando de Colombi, insieme a don Modesto Savoiardo e il maestro Ernesto Prunotto. Prima, loro erano dall’altra parte del fiume, oltre la ferrovia, dove adesso c’è la Ferrero e affittavano da un certo Marino. Adesso qui è sicuramente meglio, c’è l’ospedale vicino e c’è la scuola. Ci stupiscono quanti ci dicono che anche loro sono persone, esseri umani che mangiano, vivono e si ammalano. Alcuni vorrebbero traslocare in normali appartamenti piuttosto che trasferirsi vicino al carcere, come gli hanno proposto. Accanto alle infelici ironie ci sono dei problemi reali, ci sono donne e anziani che vanno solo a piedi e laggiù sarebbe tutto irraggiungibile. Potranno andare al carcere, al canile o al cimitero, che bella prospettiva! E se invece ci mettessero vicino all’ospedale?

ore 11.20: andiamo a Mussotto, il quartiere lì accanto. Don Modesto Savoiardo è in ospedale per un malore, cerchiamo quindi di trovare il maestro, Jolanda ha detto che lui sa tutto, che li ha visti crescere tutti. Il maestro Prunotto vive in un elegante villino, è sui cinquanta ben portati e ci racconta la storia della comunità che ha seguito con grande impegno dalla fine degli anni sessanta, da quando andando a pescare sul fiume era lentamente diventato amico di Orlando, il padre di Jolanda. Ci spiega che il campo di Gallizio in realtà non è questo, che lui aveva dato un terreno sulla riva opposta di dove sono adesso, alla Pontina, dove ora c’è la piscina comunale. Nel 1967 erano 12 famiglie con 10-12 figli a testa e sicuramente stavano nella riva opposta, ma in un tratto più su, di fronte alla fabbrica della Ferrero. Era un pantano. Lui e il parroco sono andati a parlare con i nomadi, hanno scelto il posto, hanno scritto il regolamento interno e hanno fatto costruire docce, bagni, e altri servizi purtroppo distrutti dai nomadi stessi. Una volta entrati al campo hanno avuto la residenza, fatto molto importante per lavorare in regola, per le carte d’identità, per l’assistenza sanitaria. Racconta di quanto è stata difficile la scolarizzazione, che i bambini andava a prenderli lui stesso per portarli a scuola, che il suo sogno era fare una scuola al campo, pomeridiana, aperta anche ai genitori. Adesso le cose vanno meglio, tutti vanno a scuola volentieri, sono invitati alle feste dei compagni, e questo fa superare molte barriere anche ai genitori. Insomma, qui dove sono starebbero anche bene, è stato fatto un percorso di integrazione durato trent’anni, ma il problema è il fiume, e alla prossima piena potrebbe succedere un disastro e tutti lo sanno. Vivere così è una scelta difficile e sono molti quelli che vogliono smettere, soltanto 20 famiglie continuerebbero in un nuovo campo. Secondo il maestro si doveva affrontare il problema con i comuni vicini e trovare una soluzione più generale, ma era istituzionalmente difficile. Ci conferma che dopo una lunga contrattazione il campo andrà vicino alla casa circondariale, che quello è veramente l’unico terreno libero, in pianura e vicino al fiume.

ore 12.30: ufficio di Sandro Lazier, l’architetto che ha redatto lo studio di fattibilità relativo al collocamento e corredo di un nuovo campo per l’accoglimento delle comunità nomadi. È un uomo affabile, franco e simpatico che conosce bene New Babylon, ma si è trovato a progettarla in soli due mesi e all’interno di regolamenti edilizi e standard regionali. Il progetto recepisce dall’attuale campo le tettoie multifunzionali e lo spazio pubblico del piazzale centrale che forse è troppo separato dalla circolazione sul retro. Le abitazioni sono tutte uguali e si capisce che, forse per difetto di tempo o di attitudine, è mancato un contatto diretto che avrebbe prodotto una differenziazione in base alle famiglie della comunità. Il progetto comprende anche una zona di sosta per i nomadi in transito e una grande installazione di land art che copre la vista del campo per chi entra in città. Ma il vero problema è la sua collocazione: una zona non ancora completamente al riparo da inondazioni e che necessita comunque di grossi lavori per essere messa in sicurezza. Andiamo a vedere. Il terreno è in campagna, in un’area collegata molto male, tra l’autostrada, una discarica e il canile, soprattutto accanto al carcere: il muro del nuovo campo sorgerebbe a pochi metri da una recinzione con tanto di torrette di guardia agli angoli. Una scelta, quella del Comune, davvero infelice. Purtroppo su questi temi le politiche di destra e di sinistra si equivalgono per la loro ipocrisia: la strategia è spostarli fuori città, in posti difficilmente accessibili, lontani dalla vista della gente per bene, vicino ai quartieri più difficili e ai loro simili, cosi si sommano problemi ad altri problemi. E questo trattamento è riservato anche a comunità oramai felicemente insediate da più di vent’anni e che stanno procedendo verso un’integrazione nel rispetto delle diversità. Questa situazione dimostra che né la politica né l’architettura da sole sono oggi in grado di entrare in un campo nomade, come peraltro in molti temi complessi che ci pone la nuova città multiculturale. Non si può che affrontali in termini culturali, con un approccio partecipato e interdisciplinare, su questo gli artisti e gli architetti del Bauhaus Immaginista ci avevano visto giusto.

ore 17.00: Continuiamo a cercare in diversi luoghi il terreno di Gallizio. Luca vede nella tettoia del mercato nel centro di Alba, dove i sinti piemontesi si riparavano ai tempi di Constant, il luogo dove installerebbe la bandiera Eppur si muove indice di un nomadismo libertario. Rientriamo a Torino. Ci aspetta Francesca Comisso che ha avuto difficoltà a raggiungerci ad Alba. È esperta di Gallizio e ha recentemente lavorato alla pubblicazione degli scritti dell’artista e di molti documenti provenienti dall’archivio Gallizio. Ci dice che ad oggi non ha mai visto né sentito citare documenti che provino dove era il campo di Pinot e che questo dono non era probabilmente mai stato ufficializzato con un atto; se così fosse, i nomadi sarebbero proprietari di un terreno sul fiume, il che magari potrebbe cambiare le loro sorti. Francesca ci mostra, nella sezione del libro dedicata agli zingari, le interrogazioni di Gallizio al Comune in difesa dei nomadi, gli articoli sul giornale Le nostre tôr contrarie a dare l’incarico al Bauhaus Immaginista e una lettera che Constant scrisse a Gallizio nel 1961, quando entrambi erano oramai fuori dall’Internazionale Situazionista. Qui Constant propone di continuare insieme a lavorare al progetto “che sarebbe una prima realizzazione dell’urbanismo unitario”. Fantastichiamo di ricominciare da lì, dal campo dei nomadi di Alba, di salvarli dal carcere attraverso l’urbanismo unitario, di mettere in atto il progetto di Constant e Gallizio, magari non costruendo filologicamente il plastico del ’57, ma riproponendone l’approccio ludico e costruttivo, quella attitudine di Gallizio di “stare in campo”, quella capacità di Constant di “progettare l’improgettabile”. Forse basterebbe alzare il terreno e ripararlo con gli argini, magari coinvolgendo nella costruzione le cooperative recentemente nate nel campo. Si potrebbe costruire “un terreno di gioco e di partecipazione” e insieme al parroco, al maestro e all’architetto, ricostruire il nuovo campo di tettoie, proprio lì dove sono sempre stati, ad Alba, in riva al Tanaro.

Amsterdam-Alba, 1961
Constant scrive a “l’uomo di Alba”:

“Mio caro Pinot,
grazie mille per la biografia che contiene davvero
delle bellissime illustrazioni!
Poiché tu lì parli della “città degli zingari”,
bisognerebbe veramente considerare le possibilità
di realizzazione di questo progetto,
sarebbe una prima realizzazione dell’urbanismo unitario.
So che presto esporrai ad Essen da Van de Loo.
Se ci andrai, vorrei incontrarti al vernissage e ne parleremo insieme.
Il mio affetto alla signora e a Giorgio.
Con amicizia

Constant

(in: Giorgina Bertolino, Francesca Comisso e Maria Teresa Roberto, Pinot Gallizio. Il laboratorio della scrittura, Charta, Milano, 2005, p. 232. Il testo originale della lettera è in francese)







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