31/10/11

Dalla Torre di Babele a Pidgin City


Dalla Torre di Babele a Pidgin City
di Francesco Careri
(scritto in occasione del Seminario di Ricerca Interdisciplinare di Ferrara 27.28.29-6-2011
Sessione: PROGETT-AZIONE a cura di Carlo Cellamare)









Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell’altro"Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo di là si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. (Bibbia, libro della Genesi 11, 1-9)

24/10/11

METROPOLIZ Petizione Pubblica

http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N12637
Carissimi tutti, abbiamo raggiunto il primo traguardo. Con l'impegno di tutti ce la potremo fare, per salvare un bene comune e per salvare dallo sfratto più di 80 nuclei familiari e per salvare l'area da una gigantesca speculazione edilizia.
Chi non fosse capace di farlo, mi contatti al 3338332681,
Grazie, diamoci da fare,
Nicola Marcucci
Associazione Michele Testa, Tor Sapienza, Roma

29/09/11

CASA DOLCE CASA... - World Habitat Day: Il diritto all'alloggio è un diritto umano!

Martedì 4 ottobre, ore 17.30
Aula Urbano VIII - Facoltà di Architettura Roma Tre
Via della Madonna dei Monti, 40 (metro Cavour)

Il diritto all'alloggio è garantito dall’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e da altri trattati internazionali e regionali in materia di diritti umani eppure governi di ogni parte del mondo continuano a violarlo. Chi vive negli insediamenti abitativi precari deve affrontare la quotidiana privazione di risorse e beni materiali. Esclusi dai servizi di base quali l’acqua potabile, i servizi igienico-sanitari e l’istruzione, milioni di persone nel mondo che risiedono negli insediamenti abitativi precari non vengono consultate né coinvolte nei processi decisionali relativi al risanamento dei loro quartieri o a un alloggio alternativo a seguito di uno sgombero forzato. Questo è ciò che accade ai rom in Italia e in Inghilterra così come ai residenti degli slum in Kenya.

17/09/11

DEMOCRA-CITE'. 9 dicembre à Paris Malaquais

Séminaire Ville Participative :: ENSA Paris-MalaquaisDémocraCité
Faire les territoires autrement:
Participations et expérimentations collectives
Journée d’études du département Art Architecture Politique (AAP)
ENSA Paris-Malaquais
Participants include: Markus Bader Raumlabor, Nicolas Bonnenfant et Pablo Georgieff CoLoCo, Francesco Careri Stalker, Santiago Cirugeda Recetas Urbanas, Anne Debarre, Maarten Gielen Rotor, Andreas Lang Publicworks, Caroline Maniaque, Yann Moulier Boutang Multitudes,, Ramon Parramon Idensitat, Constantin Petcou AAA, Meredith TenHoor.

12/06/11

14-15 giugno PIDGIN NIGHT END

martedi 14 giugno a mezzanotte
ci si incontra all'incrocio tra via palmiro togliatti e via prenestina
per CAMMINARE fino all'alba verso metropoliz
per la conclusione del corso di artì civiche
mercledi 15 si lavora tutto il giorno i situ (via prenestina 913)
il pubblico è invitato a ragiungerci dalle 19.00
per visitare il LUNA PARK
(le idee si raccolgono sul blog)
e per osservare insieme l'ECLISSI LUNARE 
che comincerà già nel pomeriggio
e si concluderà intorno alla mezzanotte

portate cibo lunare, musiche, poesie
buone idee da mandare sulla luna prima del nostro arrivo
l'allunaggio è previsto per settembre

09/06/11

Fare Babele.

Fare Babele. (pubblicato in Gabriele Mina, Fare Babele. Conversazione con Francesco Careri, Manuel Olivares, Michela Pasquali in Gabriele Mina (a cura di), Costruttori di Babele elèuthera, Milano, pp.189197)                                                              

31/05/11

mercoledi 1 giugno seconda lezione sulla luna


MERCOLEDI' 1° GIUGNO, ORE 18 AL METROPOLIZ, VIA PRENESTINA 913
CESARE PIETROIUSTI
"LA MENTE LUNARE: IL PENSIERO NON FUNZIONALE"
ACCORRETE NUMEROSI

25/05/11

LA CASA DI CARTA

Associazione 21 luglio http://www.21luglio.com/
Presenta il report
"La casa di carta.
Il Centro di Raccolta Rom di via Salaria 971, a Roma"

30 maggio 2011 ore 16.30
Aula Urbano VIII
Facoltà di Architettura dell'Università Roma Tre 
(via Madonna dei Monti 40, Roma),

L'Associazione 21 luglio ha documentato le condizioni di vita dei rom "raccolti" nel Centro di Via Salaria 971 w con un incontro-dibattito presenterà i risultati dell'indagine realizzata da un team di ricercatori.

CAMMINARE NELLA FRANA - WORKSHOP DI ADDESTRAMENTO URBANO

camminare nella frana - addestramento urbano
workshop per danzatori, attori, performer condotto da Leonardo Delogu
forte marghera 3 - 4 - 5 giugno 2011
a cura di KRISIS ASSOCIAZIONE CULTURALE // www.gruppokrisis.it

Dedicarci uno spazio di studio e ricerca comune
intorno al tema del caos e del disastro.
sondare le possibilità del corpo,
farsi antenna, impennare l'ascolto,
accogliere dentro di sè i segnali della fine,
le crepe, i crolli.

Sostare nel vuoto,
nella precipitazione del pensiero,
nella vertigine del niente.
Accoglierlo, farne un maestro, amarlo.
Silenzio. Tempo.

Poi dare spazio, concreto.
E far si che arrivino le forze ignote, le correnti telluriche
a generare segni, territori, relazioni.
Assumersi la responsabilità del gesto,
dare vita.

Il Workshop è pensato come un addestramento al lavoro del performer, utilizzando la città, i suoi segni, il paesaggio sonoro e visivo come panorama di cui nutrirsi e in cui dispiegare l'azione. La città come paradigma del nostro stare al mondo, il nostro risultato più evidente.
Riappriopriarci sottilmente dello spazio, farne il nostro campo di battaglia e il luogo del riposo.

per maggiori info:
E: camminarenellafrana@gmai.com
www.fortemarghera.org
M: +39 3208638472
FB: leonardodelogu

23/05/11

mercoledi 25 maggio prima lezione sulla luna

metropoliz ore 18.00


Francesco Sylos Labini (astrofisico CNR)

conferenza: "la distanza dalla luna"

a seguire cena peruviana



via prenestina 913

19/05/11

dialogo tra il '68 e la Pantera

'68: "voi avete come dire...
un atteggiamento cattolico.
noi che abbiamo fatto il '68
guardiamo la società in un altro modo
per noi tutto è conflitto
non pacifica collaborazione"

La Pantera: "a parte il conflitto per occupare posti di potere
non capisco bene a cosa ti riferisci,
ora che avete il potere cosa ne state facendo?
a noi il manca il conflitto?
alla pantera nel '90 è mancata la violenza
non abiamo fatto scontri di piazza come nel '77
e abbiamo seppellito il terrorismo
non abbiamo avuto nè fatto morti
la ricordiamo solo noi
non è entrata nella storia
ma nelle nostre fantasie si
la nostra idea di città è nata là"

15/05/11

Sul camminare e il Corso di Arti Civiche

Sul camminare e il Corso di Arti Civiche
(intervista di Serena Savelli a Francesco Careri, in occasione della Tavola Rotonda walk the landscape.
Facoltà di Architettura, Università La Sapienza, 31 gennaio 2011)
S. Savelli: Nel celebre articolo “La sindrome suburbana” in Lotus Navigator n. 8 Rebecca Solnit scrive che “ la libertà del camminare vale poco se non si ha un luogo dove andare”. Poi prosegue ricordando che “camminare ha avuto la sua età dell'oro che è iniziata a fine '700 e culminata nel '900 quando nordamericani ed europei si davano appuntamento per passeggiare” e le passeggiate avevano una loro sacralità. Questa età dell'oro finisce , secondo l'autrice, nel 1970 anno in cui negli States la maggior parte degli abitanti inizia a concentrarsi nei sobborghi residenziali privi delle glorie naturali come delle gioie civiche degli spazi abitativi di storia più antica (il corso nel quale molte delle popolazioni del Mediterraneo praticano lo “ struscio”). I sobborghi residenziali sono costruiti a misura di automobile, senza marciapiedi e si propagano ad un ritmo a cui il corpo umano non riesce a far fronte. Ciò, per l'autrice è segno evidente che “la fine del camminare sia stata intenzionalmente progettata”. In queste espansioni urbanistiche non ci si aspetta più che le persone camminino ed infatti raramente lo fanno perché vengono offerti spazi monotoni, oltre che pericolosi, per passeggiare a 4 km/h anzi che a 90. Spazi dove il frazionamento urbanistico per chi cammina può risultare ripetitivo fino allo stordimento. E' possibile che la gente decida di mettersi in cammino verso Santiago, Roma, Gerusalemme anche perché nelle città non si può più camminare?(... è una provocazione so che voi lo fate ...)

F. Careri:  Forse ha ragione la Solnit nel dire che la fine del camminare è stata “intenzionalmente progettata”, ma è altrettanto vero che ogni progetto porta con sé i suoi anticorpi, e che quando si vuole creare ordine non si po’ che generare disordine tutto intorno. È per questo che nelle città si può camminare benissimo, basta volerlo e “se si hanno dei luoghi dove andare” - come dice la Solnit - poiché lo spazio non è omogeneo, ed è importante capire che cosa ci interessa, su cosa vogliamo andare ad inciampare. Il problema non è infatti poter camminare per via del Babbuino nel centro turistico di Roma o nei marciapiedi di un suburbio americano, ma piuttosto camminare per andare a conoscere tipi di spazio altri, luoghi inediti e che ti fanno nascere delle domande diverse da quelle che ci siamo fatti fin ora... il camminare è innanzitutto una forma di conoscenza. Le città, tutte le città, sono un enorme contenitore di luoghi da camminare per conoscere. E' pieno. Se uno capisce dove vuole inciampare. Se uno capisce cos'è che non gli torna, dov'è che si ha colto qualcosa che non si è riusciti a riconoscere e che però ritorna in mente, stimola la curiosità a ricercarlo. La difficoltà sta tutta lì: scegliere dove andare. E anche sapendo dove, poi bisogna saper lasciare molto al caso. Sapere cosa si sta cercando ma non andare dritti là. Sapere osservare in modo strabico: con un occhio si punta ad un luogo perché è quello che ci interessa ma, mentre lo si insegue, con l'altro occhio ci si guarda in giro, si cerca di scoprire indizi dai quali lasciarsi dirottare. Il progetto, anche il solo progetto del dove camminare, deve essere disponibile al territorio: se nella tua direzione trovi un muro insormontabile e intravedi che lì vicino c'è un buco nella rete, è bene infilarsi di là, dove di solito si scopre che ci sono cose anche più inaspettate di quelle che immaginavi dietro il muro. Si lo so, sembra che sto filosofeggiando metaforicamente, ma in realtà è tutta pratica.

Volevo invece ricollegarmi a quanto diceva prima Raffaele Milani, in particolare sui pellegrinaggi e l’aspetto sacro. Io nel libro Walkscapes ho saltato tutta la storia che va dai menhir fino a Dada, ossia la storia del camminare religioso, perché sapevo che là si apriva una dimensione teologica e concetti che mi erano un decisamente lontani. Sto cominciando ad avvicinarmi adesso, attraverso il tema dell’incontro, che pocanzi menzionava Milani citando Marc Augè: il camminare come incontro con l’altro e con il diverso. Siamo sempre all’interno del camminare come conoscenza, ma c’è dell’altro, c’è un aspetto etico, di comportamento sociale, di costruzione di uno spazio di relazione tra diversi. Le mie ultime camminate non sono più il perdersi in città per il piacere estetico del paesaggio entropico ma soprattutto per incontrare storie, persone, per conoscere chi abita e trasforma i luoghi, e se possibile, per fermarmi e trasformarli con loro. Negli ultimi dieci anni in realtà mi ha sempre più interessato incontrare gli abitanti che i luoghi.

Il camminare e l’incontro sono uno dei primi temi su cui si sofferma la nostra religione giudaico cristiana. All’inizio della Genesi che cito nel libro Walkscapes (un brano citato da chiunque si occupi del camminare) Caino uccide Abele, o meglio l'agricoltore Caino uccide il pastore nomade Abele che probabilmente aveva sconfinato nei campi agricoli recintati dal proprietario Caino. Questo brano ci dice moltissime cose, anche in proposito al camminare come mezzo di incontro verso l'altro. Quando Dio punisce Caino, lo manda per punizione ad errare nel deserto di Nod (ecco l’erranza come errore e come punizione). Ma Caino, in modo quasi inaspettato, in risposta alla punizione divina ha un sola cosa da dire: lui nel deserto ha paura di incontrare l'altro, il diverso, teme che questi lo ucciderà. Nella Bibbia si dice che Dio allora dà a Caino un segno che servirà a proteggerlo. Un marchio? Il marchio di Caino? Ho cominciato a studiare e mi sembra che questo segno non si ritrovi nell'iconografia di Caino. Sono arrivato a pensare che il Signore non ha dato propriamente un segno a Caino, ma ha insegnato a Caino qualcosa non sapeva fare. Dio ha insegnato a Caino a salutare, ad andare verso l'altro. E credo di poter dire che questo saluto è quello che si ritrova in uno dei più antichi simboli della preistoria, il simbolo del Ka (che poi è anche alla radice del nome Kaino) il simbolo dell'eterna erranza che dal paleolitico arriva ai geroglifici egiziani. Il segno del Ka si compone di due braccia alzate che ti vengono incontro. L’erranza è quindi legata all’incontro e al saluto. E camminare salutando permette di andare incontro all'altro, non più di ucciderlo come Caino aveva appena fatto con suo fratello, ma mostrare all’altro che hai le mani vuote, che sei senz'armi, sei inoffensivo e ti accingi ad abbracciarlo. Nella Bibbia comprendiamo che questo primo rivoluzionario atto di pace è legato al camminare. Riassumendo quindi è camminando che si è costruito lo spazio intorno a noi e che si sono riconosciuti i luoghi, è perdendosi in spazi inesplorati che si sono dati i nomi ai luoghi e si è costruita la geografia, ed è sempre camminando è nato il saper costruire una relazione diversa e non belligerante con il diverso.
Per tornare alla domanda iniziale ed al fatto che la città si possa o meno camminare, dunque la risposta è si, e soprattutto si deve camminare proprio laddove non si credeva di poterlo fare, perché camminando si vincono paure e i pregiudizi, si costruisce una comunità non identitaria ma meticcia, uno spazio tra diversi, le regole della città.

S. Savelli: Secondo una delle tesi sostenute in Walkscapes all'atto del camminare è conferita la paternità del paesaggio come prodotto culturale: “è' camminando che l'uomo ha cominciato a costruire il paesaggio naturale che lo circondava […] modificando i significati dello spazio attraversato, il percorso è stato la prima azione estetica che ha penetrato i territori del caos costruendovi un nuovo ordine sul quale si è sviluppata l'architettura degli oggetti situati (in primis il menhir). Camminare ha portato in grembo il menhir, la scultura, l'architettura ed il paesaggio. Adesso che il paesaggio è tutto umanizzato e che quindi non può più essere costruito ex novo camminando ed attribuendogli significati, quale valenza può assumere il camminarci attraverso? Si può ancora applicare al paesaggio la metodologia d'indagine sperimentata per le transurbanze e riempirlo di significato?
Voi Stalker non sembrate provare timore di quello stordimento che, nello sprawl, prova il pedone. Anzi proprio tra i sobborghi inframezzati da quel sistema di spazi vuoti (il rimosso, l'inconscio della città, il suo arcipelago) individuate il territorio d'elezione per le vostre transurbanze. Un territorio che, citando Walkscapes, avete percorso “andando alla deriva tentando la lettura della città attuale dal punto di vista dell'erranza ed indicando il camminare come uno strumento estetico in grado di descrivere e modificare quegli spazi metropolitani che presentano una natura che deve essere compresa e riempita di significati piuttosto che progettata e riempita di cose”. Adesso che il paesaggio è tutto umanizzato e che quindi non può più essere costruito ex novo camminando ed attribuendogli significati, quale valenza può assumere il camminarci attraverso? Si può ancora applicare al paesaggio la metodologia d'indagine sperimentata per le transurbanze e riempirlo di significato?Quali risultati avete ottenuto?

F. Careri: Bellissima domanda: me lo chiedo continuamente. Spesso sono portato a rispondermi negativamente, mi vedo come un involontario strumento di gentrificazione. Penso che dopo il nostro passaggio arrivano sempre le ruspe e i bulldozer, perche questo è anche successo. Ma mi dico anche che noi più semplicemente arriviamo prima dei bulldozer, raccontiamo realtà che sarebbero scomparse comunque, riusciamo a far parlare i territori in momenti cruciali del loro continuo divenire altro, a testimoniare il passaggio da uno stato all’altro, ad attraversare l’Attuale. Sicuramente fino ad oggi non siamo riusciti a bloccare i bulldozer, ma questo non vuol dire che siamo stati inefficaci e comunque ad una macroscala mi sembra che nessuno sia riuscito a bloccare l’economia speculativa della globalizzazione, che poi è la stessa che manda le ruspe. Io mi rispondo che abbiamo prodotto una importante conoscenza... forse non è un risultato spendibile su molti mercati... e abbiamo anche indicato modalità di azione e relazione con il territorio e con l’altro, che sono assolutamente innovative e diverse da quello che urbanisti architetti e amministratori utilizzano, con risultati non poi molto più positivi dei nostri, anzi spesso le ruspe sono proprio loro a mandarle.

Quando ho cominciato a insegnare, ho proposto di fare un corso intermante peripatetico alla Facoltà di Roma Tre. Non ho un aula perché il corso è interamente in città, si cammina un giorno a settimana. Nel Corso di Arti Civiche ho cercato di capire se quello di stalker è un tipo di conoscenza trasmissibile, o meglio una modalità che si può insegnare. E devo dire che con gli studenti ho ottenuto molti risultati su diversi fronti. Non solo una conoscenza più approfondita dei fenomeni urbani e un allargamento delle loro mappe mentali, ma anche un cambiamento più profondo nei comportamenti tra loro e lo spazio cittadino. Molto spesso mi sembra di risvegliarli, di regalargli un momento non funzionale, è una sorta di ricreazione. Gli studenti, nel momento in cui gli regali o meglio gli ricordi della loro una libertà innata e che a volte hanno conosciuto in altri momenti della vita, cominciano a cambiare. Gli ricordi che possono scavalcare, andare ovunque vogliano, che lo spazio è a loro disposizione. Allora imparano che non devono temere il territorio e che con le persone che incontriamo - anche se sono rom, baraccati, clandestini e hanno vite difficili, anzi soprattutto per questo - ci si può fermare a prendere un caffè. Che si possono imparare da loro molte cose impossibili da apprendere in altri modi, non in un libro, non alla televisione e neanche in internet. Insomma vedo che gli studenti dopo qualche lezione cominciano a relazionarsi meglio con gli altri e con lo spazio intorno a loro, imparano a sapere dove si può osare e dove no, ad allargare i limiti, ad appropriarsi di territori, di spazi, modalità, e cominciano a manifestare comportamenti e attitudini che prima non avevano. A proposito di questo vi racconto questa cosa, che mi ha fatto particolarmente piacere. Alla fine di un esame, dopo aver già dato i voti, ho chiesto agli studenti quali fossero per loro i risultati del corso, ossia qual’era la cosa che gli è “tornata” dal mio corso, cosa si erano messi in tasca. Mi aspettavo risposte sulla città, l’acquisizione di nuove geografie… ma invece una ragazza mi ha risposto che aveva riscoperto “il parlare con gli altri”. Era una ragazza aperta, attiva politicamente, e che non mi sembrava né timida né con pregiudizi. Però ha detto che prima, quando ad un centro sociale o ad una festa, le si avvicinava un migrante aveva qualche imbarazzo a parlare, sentiva una differenza sociale, un tabù, non sapeva come iniziare, che argomenti affrontare. Adesso attraverso il corso aveva superato tutto questo, aveva imparato a riconoscere i suoi pregiudizi - che comunque ci sono sempre - ed aveva riconquistato una naturalezza, una propria capacità relazionale. Aveva imparato ad incontrare l’altro. Ecco questo non mi sembra che lo insegni più nessuno, mentre credo che serva molto e non solo agli architetti e agli urbanisti, ma la formazione di cittadini, di qui il civiche del titolo del corso. Ma quello che mi interessa è insegnare un approccio artistico, le arti. E qui mi riallaccio alle mani alzate del Ka, alla non belligeranza e al salutare non offensivo di Caino. L’arte di solito non fa paura né agli abitanti né al potere. L’artista viene accolto come un personaggio innocuo, un po’ folle, forse inutile, senza potere, senza capacità progettuale. E questa è la sua più grande forza. Di qui la capacità dell’azione artistica di scandagliare la realtà in modo indiretto, laterale, ludico, non utilitario. L’arte civica ha la capacità di cogliere la realtà di sorpresa, di inciampare in territori inesplorati, di suscitare nuovi interrogativi, di cogliere nuovi fenomeni, e anche di indurre trasformazioni immateriali, a volte più importanti e durature di quelle materiali.

S.Savelli: Lei ci ha spiegato come i menhir di epoca paleolitica hanno funzionato come sistema di orientamento territoriale, hanno funzionato come una guida scolpita nel paesaggio che conduceva a destinazione il viaggiatore, portandolo da un segnale all'altro lungo le rotte intercontinentali. In epoca medievale lungo le viae peregrinales un equivalente di questi sistemi segnaletici è stato costituito dai programmi iconologici, che furono imprescindibili supporti di ogni pellgrinaggio. Essi si costituivano di tracce e rimandi continui alla meta finale ed agli altre viae peregrinales. E servivano da sistema di orientamento e da supporto motivazionale (facevano sentire l'immanente presenza di Dio lungo il percorso e la sua protezione). Erano labirinti gerosolimitani scolpiti nelle chiese, affreschi (come quello della grancia di Cuna che rimanda al miracolo di S. Domino della Calzada). Architetture (il tema dell'ottagono caro all'esegesi cristiana e rimandante al S. sepolcro) ed altri eventi artistici. La Via, come del Cammino, oggi sono essenzialmente fatti di segnali che ne costituiscono la principale infrastruttura fisica. Questi segnali assumono funzione analoga al menhir ed al labirinto, e vanno dai loghi ben riusciti come la concha del Camino, alle frecce disegnate con pennello e vernice, agli stancil, fino ai paradossali cartelli stradali indicanti la direzione della Via. Lei ha indagato le varie forme ed i vari esponenti che hanno fatto del percorso un'opera d'arte. In un approccio architettonico alla riqualificazione di un itinerario culturale inteso come infrastruttura come vedrebbe l'integrazione di questi sistemi di segnali con una sequenza di eventi architettonici ed artistici disseminati lungo il percorso? Ovvero come vedrebbe la sovrapposizione al percorso di una sorta di parco artistico lineare che funga da sequenza orientativa di tracce e riferimenti? Secondo Lei potrebbero tali itinerari costituire un terreno di prova per quell'espansione di campo che l'arte ha già praticato e che anche l'architettura, secondo Lei, può fare nel percorso?

F. Careri: Sono temi molto delicati che richiedono molto tempo e ne è rimasto poco. Quello di lasciare delle tracce per fare in modo che qualcun altro possa ripetere il tuo percorso, come la concha di Santiago, è uno degli infiniti modi possibili. Maquello che mi preme dire è che c'è sempre il rischio del consumo, anche gli sguadi consumano, anche i soli passi. Il turismo è il male del secolo e ovunque c’è sempre il rischio di banalizzare lo spazio che faticosamente hai scoperto e che, nel momento in cui ci metti il cartello, lo hai necessariamente perduto. Tu proponi per esempio di fare un parco lineare sul cammino, ma in questo modo lo avrai trasformato, non sarà più quello che hai incontrato. C'è da chiedersi quindi lascio delle tracce permanenti? Oppure lascio delle tracce evanescenti che scompaiono alla prima pioggia? Io personalmente provo il piacere a lasciare tracce. Le lascio, spesso: con piccole azioni e performance... però di qui a fare un progetto di un parco lineare fatto di tracce progettate... non lo so… io alla fine ad oggi non l'ho mai fatto, dovrei avere una commessa... per approcciarmi in modo concreto. E' un crinale molto difficile, ma non mi sento di dire che non si debba fare, su questo sono sempre aperto e disponibile al progetto e alla trasformazione. Oggi ci son molti strumenti che ti permettono di lasciare tracce immateriali... basti pensare a google maps, o agli smart phone con cui vai in giro e capti segnali georeferenziati, fai l'esperienza in un paesaggio vergine e nudo senza informazioni fisiche ma su cui invece puoi avere migliaia di informazioni invisibili... (e ti riservi il diritto di spegnere il telefono, rendere le tracce completamente invisibili per finalmente poter andare ad inciampare). Quello che mi attrae ultimamente è proprio esplorare la dimensione della scrittura di queste tracce immateriali sul territorio. Credo che questa sia una nuova frontiera dell’architettura dell’andare.

01/05/11

CITTA' METICCIA ALLA BIENNALE DELLO SPAZIO PUBBLICO. SABATO 14 MAGGIO, ORE 9,30

LA CITTÀ METICCIA

SESSIONE TEMATICA DELLA BIENNALE DELLO SPAZIO PUBBLICO
PROMOSSA DA INU - ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

SABATO 14 MAGGIO, ORE 9,30 – AULA F
Ex Mattatoio di Tesaccio, Facoltà di Architettura di Roma Tre

Il tema di questa sessione è quello delle occupazioni a scopo abitativo, osservate non solo come efficaci risposte al problema della casa, ma come interessanti laboratori di spazi pubblici interculturali. Da diversi anni nelle occupazioni la popolazione di origine straniera ha superato quella di origine italiana, ed è lì che si sta sperimentando la città meticcia abitata da popoli provenienti dai cinque continenti. Sono realtà che spesso hanno molto da insegnare al resto della città per quanto riguarda le contaminazioni tra le diverse culture e che recentemente sono state capaci anche di includere comunità di Rom altrimenti destinate a vivere in baraccopoli o in campi fuori dalla città. Le occupazioni, quindi, lette come condomini interculturali dove oltre alle case esistono cortili, giardini, spazi di soglia, spazi comuni ormai estinti nel resto della città. Ma le occupazioni anche come luoghi dove la città ha difficoltà ad entrare e da cui è problematico uscire, enclave le cui mura diventano a volte barriere fisiche insormontabili come i muri dei pregiudizi che le circondano. Sono tante le domande che maturano: Che tipi di spazio pubblico si producono nelle occupazioni? Che ricchezza potrebbero offrire ai quartieri intorno? Come vivono gli occupanti gli spazi pubblici della città? Come rendere permeabili i confini e contaminare il dentro con il fuori e viceversa? Come può entrare la città preservando le caratteristiche di città altra di questi luoghi? Ne discutono gli abitanti di tre occupazioni - Metropoliz, Tempesta e Porto Fluviale – insieme a Pidgin City, gruppo di ricerca attivato dal Dipartimento di Studi Urbani di Roma Tre, con ricercatori di diverse Università.

09.30 Introduce i lavori Francesco Careri

09.40 Pidgin Makam. Installazione in forma di tavolo dei nove cubi realizzati a Metropoliz dagli studenti e presentazione della Stakeholder Analysis. A cura di Maria Rocco, Giorgio Talocci e degli studenti del workshop “Pidgin Makam”*

10.00 Abitare meticcio, dal condominio alla città e ritorno. Storie di convivenza, di spazio pubblico e di città, raccontate dagli abitanti delle occupazioni:
- porto fluviale (Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa)
Intervengono: Elkebira Adoud, Roberto Suarez, Rider, Giulia Bucalossi, Margherita Pisano
- tempesta (Action)
Intervengono: Khadija Ouahmi, Sofia Sebastianelli
- metropoliz (Blocchi Precari Metropolitani e Popica Onlus)
Intervengono: Lucica Constantin, Irene Di Noto, Guendalina Curi, Andrea Valentini

12.00 Pidgin City. Interventi, dubbi e domande del gruppo di ricerca interdisciplinare Pidgin City: Francesco Careri, Nick Dines, Adriana Goni Mazzitelli, Elena Mortola, Enrica Rigo, Ilaira Vasdeki, Piero Vereni

13.20 Fabrizio Boni e Giorgio De Finis annunciano il progetto del film “Space Metropoliz

13.30 Chiude i lavori Maria Vittoria Tessitore


* Workshop Pidgin Macam, filiera “architettura e società” del Laboratorio di Progettazione Architettonica 1 LMPA, svolto nel novembre 2010, in collaborazione con gli abitanti di Metropoliz, Blocchi Precari Metropolitani, Popica Onlus, Laboratorio Tipus, Atelier Danza Montevideo, Cantieri Comuni, Associazione Michele Testa, Associazione Tor Sapienza in Arte. Docenti: Francesco Careri con Adriana Goni Mazzitelli e Miguel Fascioli. Lezioni di Mauro Gagiotti, Nicola Marcucci e Viviana Petrucci. Coordinatori: Maria Rocco, Giorgio Talocci, Hector Silva, Andrea Valentini, Maria di Maggio, Camila Kuncar.
Fase di approfondimento, genn-feb 2011, coordinata da Maria Rocco e Giorgio Talocci. Studenti 9 cubi: Cristina Ciccone, Laura Criscuolo, Lorenzo Catena, Francesco Cusani, Onorato Di Manno, Clara Dionisi, Alessandra Romiti, Flavio Graviglia, Matteo Parenti. Studenti stakeholder analysis: Alice Ampolo, Simone Camilletti, Giulia De Rossi, Sara Di Rosa, Susanna Fagiotti, Michela Fresiello, Valeria Lollobattista, Francesca Micco, Luca Pennelli, Guido Pederzoli, Alessandra Schmid, Alessandro Toti, Raffaele Trabbace, Pablo Vasquez. (http://espaciopidgin.blogspot.com/)

28/04/11

Programma Modulo Pidgin Space

PROGRAMMA MODULO PIDGIN SPACE
orario: giovedì h15-19; venerdì h 9-19; sabato h 9-13 (spazio disponibile)
INTRO
GIOVEDI 28 APRILE h16.00_Camillo Boano. Contested Spaces. Lo slum come paradosso dell’urban design
VENERDI 29 APRILE h 9.30_introduzione laboratorio Pidgin Space
h 11.00_introduzione esercitazione1: abitazione
h 15.00_lezione finale Adriana Goni Mazzitelli
SABATO 30 APRILE aula disponibile per laboratorio
1 SETTIMANA
GIOVEDI 5 MAGGIO h15.00_Giorgio Piccinato. La città eventuale
h 17.00_laboratorio esercitazione1
VENERDI 6 MAGGIO h 9.00_presentazione esercitazione1
h 11.00_introduzione esercitazione2: condominio
h 14.30_Francesco Careri. Pidgin City. Spazi reciproci della città meticcia
h 16.30_Massimo Ilardi. Dagli spazi pubblici agli spazi vuoti
SABATO 7 MAGGIO aula disponibile per laboratorio
2 SETTIMANA
GIOVEDI 12 MAGGIO h 15.00_Sofia Sebastianelli.
h 17.00_laboratorio esercitazione2
VENERDI 13 MAGGIO h 9.00_presentazioni esercitazione2
h 11.00_ introduzione esercitazione3: lezione su stakeholders analysis
SABATO 14 MAGGIO h 9.30_biennale dello spazio pubblico all’ex mattatoio (http://www.biennalespaziopubblico.it/)
presentazione dei tre casi studio (porto fluviale – Tempesta – metropoliz)
3 SETTIMANA
GIOVEDI 19 MAGGIO h 15.00_ introduzione esercitazione3: sito - relazioni interno/esterno
VENERDI 20 MAGGIO h 9.00_esercitazione 3, sopalluogo
SABATO 21 MAGGIO aula disponibile per laboratorio
4 SETTIMANA
GIOVEDI 26 MAGGIO h 15.00_ laboratorio esercitazione3
VENERDI 27 MAGGIO h 9.00_ laboratorio esercitazione3
h 15.00_Giovanni Attili. Rappresentare la città migrante
SABATO 28 MAGGIO aula disponibile per laboratorio

5 SETTIMANA
GIOVEDI 2 GIUGNO h 17.00_ laboratorio
VENERDI 3 GIUGNO h 9.30_laboratorio
SABATO 4 GIUGNO h 9.30_aula disponibile per laboratorio

6 SETTIMANA
GIOVEDI 9 GIUGNO h 15.00_laboratorio/revisioni
VENERDI 10 GIUGNO h 9.00_laboratorio/revisioni
SABATO 11 GIUGNO aula disponibile per laboratorio
7 SETTIMANA
GIOVEDI 16 GIUGNO h 15.00_laboratorio/revisioni
VENERDI 17 GIUGNO h 9.00_laboratorio/revisioni
SABATO 18 GIUGNO aula disponibile per laboratorio
8 SETTIMANA
GIOVEDI 23 GIUGNO h 15.00_Francesca Sartogo. Le energie rinnovabili e l’architettura solare
h 16.00_Elena Mortola. Cohousing
h 17.00_Massimo Bastiani. Ecocittà
VENERDI 24 GIUGNO h 9.00_laboratorio/revisioni h15.00 Marc Dujardin
SABATO 25 GIUGNO aula disponibile per laboratorio
9 SETTIMANA
GIOVEDI 30 GIUGNO h 15.00_Elena Barthel. Rural Studio
VENERDI 1 LUGLIO h 9.00_laboratorio/revisioni
SABATO 2 LUGLIO aula disponibile per laboratorio
10 SETTIMANA
GIOVEDI 7 LUGLIO h 15.00_laboratorio
VENERDI 8 LUGLIO h 9.00_laboratorio
SABATO 9 LUGLIO  h 9.00_ CONSEGNA E PRESENTAZIONE PROGETTI

08/04/11

finalmente parte la nuova camminata di arti civiche!

> APPUNTAMENTO a mezzanotte di venerdì 8 aprile
nella piazza di fronte al Tearo Ambra Iovinelli, ossi Via Guglielmo Pepe,
una piccola strada tra via Giovanni Giolitti e Via Principe Umberto.
Per gli stranieri: è vicino a Piazza Vittorio.
IMPORTANTE: per il rituale di partenza tutti devono portare con sè
un pacco di riso. Va bene ogni tipo di riso, più sono diversi e meglio è.

> NB: è la prima di 6 camminate notturne verso est
che si concludono il 15 giugno
> PIDGIN TOOLS,
gli strumenti relazionali con cui indagare la notte di Pidgin City:

Pallone da calcio
Sedia
Bolle di sapone
Palloncino con elio
Un sapore in bocca dall’inizio alla fine
Benda per gli occhi
Tappi per le orecchie
Scotch per tappare la bocca
Taccuino
Stencil
Martello
Chiodi
Cacciavite
Corda
Torce
Vernice fluorescente
Plastilina fluorescente
Matite laser
CD vecchi che diventano mappe
...
> CAST
sarebbe bene che ognuno cominciasse a svolgere un ruolo, un personaggio
ad oggi abbiamo:

- il cieco, ha una benda e veine guidato a turno da tutti,
ha un microfono con cui registra il paesaggio sonoro
e soprattutto si fa raccontare quello che succede
è il sonoro del nostro film.

- il sordo, ha i tappi alle orecchie e una telecamera in mano
che tiene sempre accesa e inquadra sopratutto ombre,
è il video del film, ma non registra suoni,
nel montaggio saranno inseriti i suoni del cieco.

- il muto, ha uno scothc che gli chiude la bocca
e un taccuino su cui scrive quello vede e che sente
le nuove parole che nascono, verbi al presente...
sono i sottorioli del film, montati anche loro come layer autonomo.

- lo svegliato, è in pigiama, raccoglie i sogni? cerca di dormire sulle panchine?

siete invitati ad aggiungervi

10/03/11

su tempo spazio e camminare

Su tempo spazio e camminare
(Marina Rossi, Intervista a Francesco Careri, “OVO” n° 5/2010, Empoli, pp. 56-60.)
Tempo

M.R. : Agire sul tempo. Questo mi sembra un aspetto importante della tua azione, da affrontare prima ancora della questione dell’agire sullo spazio. Mi riferisco all’operazione di creare una situazione, una condizione, una temporalità che rompa con la scansione quotidiana: uscire dal tempo della produzione per entrare in quello del ludus.
La forma del workshop, come quella che hai messa in atto con i ragazzi con cui hai lavorato ad Empoli, mi sembra che possa inscriversi nella dimensione di un uso del tempo di questo tipo. Ha funzionato così? Si può intendere come un modo per “riappropriarsi della città e usare la città come un gioco” (cfr. Walkscapes)?
Questa costruzione di una temporalità altra, passa attraverso il camminare. E con ciò tocchiamo uno dei punti cruciali della tua elaborazione estetica.
Nel presentare il lavoro del workshop agli studenti, hai evidenziato più volte come prioritario questo camminare rispetto al lasciare tracce, o meglio rispetto all’arrivare a produrre opere. Cosa ci puoi dire del camminare come strumento critico/metodo euristico?
In particolare, ti chiederei di soffermarti su due aspetti. In primis sull’andare “a zonzo”, cioè su quanto/come l’impressione di perdere tempo o di non star facendo nulla diventi esperienza di uso alternativo del tempo e dello spazio e metodo collettivo di “abitare la città”.
F.C. : in realtà il tempo e lo spazio sono sempre collegati. Chi perde tempo guadagna spazio. Questa semplice frase che è da tempo il motto di Stalker, è forse l’unica risposta che posso dare. Si può anche declinare cosi: chi non perde tempo, non guadagna spazio. Chi ha delle barriere mentali che non gli permettono di lasciarsi andare a scavalcare in luoghi proibiti o giudicati “pericolosi”, come nel greto del fiume Arno durante la deriva notturna di Empoli, perde emozioni spaziali assolutamente inedite e a volte molto rigeneranti e sicuramente formative. Riappropriarsi del tempo da dedicare al ludus è insomma il modo più semplice di riappropriarsi degli spazi della città, una città che ormai viviamo sempre più in forma utilitaristica. Per conoscere altri spazi e situazioni è necessario un salto nell’inutile, avere una concezione antiutilitaristica del tempo, ossia giocare. Il perdersi camminando è quindi il gioco più adatto a far tendere la velocità a zero, e a portare spazio e tempo verso l’infinito. Forse non è matematicamente così, ma è così che leggo la formula V = S/T. È l’essenza stessa del camminare, dell’andare lento, del non arrivare e del “lisciare” la meta.

Camminare come strumento critico: potenza performativa del camminare.

M:R. : C’è poi una altro aspetto secondo me strettamente collegato al primo: quello della doppia valenza del camminare come atto percettivo e creativo allo stesso tempo, ciò che definisci operazione di lettura e scrittura del territorio. Vorrei chiederti qualche riflessione sul valore performativo del camminare, sul fatto che attraverso il camminare non solo si vedono territori altrimenti marginali, ma si producono luoghi. In Walkscapes scrivi: «Uno dei principali problemi dell’arte del camminare è trasmetterne in forma estetica l’esperienza».
F.C. : il perdersi camminando produce automaticamente un racconto. È il racconto condiviso dei corpi del gruppo che esplorano e percepiscono uno spazio fisico e mentale sconosciuto. È quindi necessariamente una lettura del territorio, che avviene con uno spostamento del punto di vista e quindi attraverso uno spaesamento, o se vuoi spaesaggiamento, come il guardare a testa in giù, “con la testa sotto le gambe”, come scrive Benedetto Croce. Il problema della rappresentazione si pone nel momento in cui si vuole “mettere in bella” questo il racconto prodotto automaticamente dall’esperienza. È un problema di natura estetica e di non facile soluzione. In realtà la forma più coerente dovrebbe essere quella di non lasciar tracce e vivere semplicemente l’esperienza senza interpretarla. Aldo Innocenzi che ha fatto tutti i video di Stalker, ha cercato di risolverlo portando con sé una telecamera intesa come corpo estraneo, senza guardarci mai dentro, per lasciare che il territorio si autorappresentasse senza una sua/nostra interpretazione. Abbiamo anche pensato di fare il video in super8 e mano mano che la pellicola si impressiona lasciarla cadere dietro di noi, lasciando così una scia di pellicola del video di quel territorio direttamente sul luogo appena attraversato. In questo caso la rappresentazione sarebbe istantaneamente riterritorializzata e persa comunque per sempre. Non lo abbiamo mai fatto perché la pellicola è un materiale altamente inquinante.

Attivismo. I walk (not) alone.

M. R. : Camminare può essere un modo per dare corpo al “margine”? Se e in che misura diventa azione politica e non puro esercizio sulla percezione?
Il tuo è soprattutto un camminare con gli altri. Lo era con l’esperienza Stalker, nella forma del collettivo artistico, così come lo è oggi con gli studenti empolesi, figli di migranti e figli di italiani di vecchia generazione, un gruppo di persone che deve anche imparare a conoscersi reciprocamente. Cosa cambia, quali valori si mettono in campo?
F.C. : il camminare di per sé ha già una suo valore etico, se vuoi anche politico. L’andare lento è parente della decrescita, del low tech, abbassa ai minimi termini l’appartenenza a questo mondo sempre più governato dal PIL, non consuma idrocarburi, non inquina, anzi fa anche bene al corpo e alla mente. Questo è in controtendenza con i valori che ci vengono proposti. È in questo senso che ho scelto il nome di Laboratorio di Arti Civiche per il corso peripatetico che conduco alla Facoltà di Architettura di Roma Tre e anche per il workshop di Empoli. Credo che l’urbanistica, l’architettura, l’arte pubblica, l’antropologia e sociologia urbana e tutte le discipline che si occupano oggi della città possono insieme confluire in azioni creative di ricostruzione del senso della città e del vivere comune. È in questo senso che le chiamo Arti Civiche. Ma c’è poi l’elemento formativo, quando andiamo a fare lezione in città esploriamo universi assolutamente sconosciuti, agli studenti e ai cittadini che si uniscono a noi. Oggi l’unico modo di conoscere quello che ci sta succedendo intorno è quello di andarci a portare i nostri corpi, un po’ come i dadaisti nel 1921 nella loro prima visita ai luoghi banali della città. La nostra presenza in un luogo dà senso e valore a quel luogo gli cambia di significato.

I wish

M. R. : «Cosa desideri?» è quello che avete chiesto alle persone durante la manifestazione dei migranti del primo marzo. Dalla lettura delle frasi raccolte è poi partita la riflessione che ha condotto alla progettazione dell’intervento artistico. Nel tuo libro riporti dei passaggi molto belli di Guy Debord sull’opzione di una rivoluzione fondata sul desiderio. Si può dire anche di te che stai lavorando per “costruire un modo di vivere appassionato”? Nel caso di quanto fatto ad Empoli, come si tradurrà l’esperienza del workshop in azione pubblica?

F. C. : Mi hanno colpito i desideri raccolti alla manifestazione del 1 marzo, sono desideri di una vita normale e degna di un essere umano, ed è incredibile che siano ancora oggi dei desideri rivoluzionari quando sono invece semplicemente dei diritti negati. Mi hanno colpito anche le parole del sindaco, del parroco e del portavoce del consiglio degli stranieri. E mi ha entusiasmato il mettere insieme gli studenti del liceo artistico (tutti italiani che vivono fuori dal centro) con lavoro i ragazzi di Milleunavoce (tutti stranieri che vivono e abitano il centro della città). Da questo punto di vista Empoli mi è sembrata un’isola felice e spero che il nostro lavoro potrà essere utile all’approccio multiculturale della città. Ma mi hanno colpito anche i comportamenti omologati di alcuni studenti. La loro paura a mettersi in gioco e a guardare le cose da un altro punto di vista, il loro rifiuto a scendere sull’Arno di cui ho detto sopra, l’accettazione acritica dei modelli televisivi. Per molti di loro hanno credo che il workshop abbia cominciato a scalfire i pregiudizi e le verità mediatiche che gli vengono inculcate. Molti di loro vivono già in modo “appassionato” e questa mi è sembrata la più bella delle scoperte empoletane. Il lavoro comunque è lungo, non basteranno venti anni per disfarci da quanto è stato compiuto in questo ventennio in Italia. Per ricitare ancora una volta i nostri avi: “Gli urbanisti del XXI secolo dovranno costruire delle avventure. L’atto situazioni sta più semplice consisterà nell’abolire tutte le memorie dell’uso del tempo della nostra epoca. Un epoca che, fino ad oggi ha vissuto molto al di sotto delle proprie possibilità.”

02/03/11

mappe

Mappe
(appunti per un articolo incompiuto da pubblicarsi su un numero della rivista "lo Squaderno" nel 2010)

“Anche gli sguardi consumano”. Me lo dice Guy Tortosa più di dieci anni fa quando gli racconto che il giardino illegale di “vivilerive – al Quantara”, che avevamo inventato sulla riva del Tevere nelle estati del ‘93 e ‘94, dopo il nostro intervento era diventato un banale giardinetto con la pista ciclabile, le panchine e la staccionata in legno stile soprintendenza. È la prima grossa contraddizione che si trova ad affrontare quel gruppo di studenti che in seguito darà il via al progetto Stalker: la trasformazione del territorio non si attua solo disegnando una linea su un foglio, ma anche semplicemente indicando un luogo, nel svelarlo alla città, nel convogliare lì dei corpi e degli sguardi. Quella prima azione territoriale che intendeva “assecondare e di amplificare quel processo di metabolizzazione, a volte di vera e propria mutazione, che sta portando la natura, almeno in quel luogo, ad aver ragione della battaglia ingaggiata con gli scarti dell'uomo, più attenti ad ascoltarne i clamori che non ad imporre l'esito”, e che aveva svelato ai cittadini l’esistenza sotto le loro case di un luogo naturale e incantevole perché in stato di abbandono, si era trasformata dopo una raccolta di firme in un giardinetto omologato al resto della città, perdendo tutte le qualità per cui quel luogo aveva attratto la nostra fantasia. Credo che sia questa la ragione per cui le mappe successive di Stalker sono state realizzate con un alto grado di imprecisione: facevano i conti la volontà di raccontare i luoghi e le nostre azioni - le foto e i video erano già la dimostrazione che “quei luoghi” di cui parlavamo esistevano davvero -, ma anche con la consapevolezza che se volevamo perpetuarne l’abbandono, ossia “il massimo grado di cura”, non dovevamo essere precisi sul “dove” quei luoghi si trovavano, ci avremmo portato solo sguardi fidati, capaci di non consumare.
Nel 2007 siamo di nuovo sul Tevere con “sui letti del fiume”, un’ azione che va a conoscere e raccontare il nuovo fenomeno delle baraccopoli spontanee sorte sulle rive. Da subito, dai primo incontri che facciamo, ci rendiamo conto del pericolo che la nostra mappatura possa trasformarsi in denuncia non del fenomeno ma degli stessi baraccati. Camminando in gruppi lungo i due argini incontriamo una grande quantità di persone, circa duemila. Sono persone molto diverse tra loro, ci sono rom di varia provenienza, moltissimi rumeni non rom, e poi moldavi, ucraini, polacchi, austriaci, italiani, tutte persone che in molti casi hanno un lavoro, ma che non possono permettersi un affitto e sono dunque costrette a vivere nascosti tra i canneti del fiume. Spesso siamo le prime persone che vedono. Ancora non sono passati né gli assistenti sociali, né un servizio medico-sanitario, né i giornalisti, solo in alcuni casi le baracche sono state demolite dalla polizia, ma poi – ci dicono - sono state ricostruite negli stessi posti, in alcuni casi l’unica preoccupazione dell’amministrazione (c’era ancora giunta Veltroni), è quello di chiudergli le fontanelle più vicine, cacciarli prendendoli per sete, cercare comunque di nascondere il fenomeno ai media e ai cittadini. L’unico che ne parla è stato Berlusconi che per attaccare Veltroni già a settembre 2006 dice che a Roma ci sono diecimila baraccati

Ci è subito chiaro che dobbiamo raccontare quello che stiamo vedendo, non per confermare le parole del premier, ma perché non possiamo permettere che succeda tutto questo, e soprattutto che il sindaco e l’intera sinistra neghi le sue responsabilità dopo sedici anni di latitanza sul problema casa. Siamo altrettanto consapevoli del fatto che non si devono fare mappe, che non si deve essere precisi sulla localizzazione degli insediamenti, e così faremo. Ma il fenomeno è così evidente ed è incredibilmente facile trovarle, basta scendere sugli argini e vedere dove portano i sentieri che si inoltrano nella macchia.

28/02/11

Savorengo Ker. Il film!

Savorengo Ker, il film

di Francesco Careri
(testo scritto per accompagnare l'uscita del libro+dvd non pubblicato.
il film "c'era una volta savorengo ker di Fabrizio Boni e Giorgio De Finis (2009)
è interamente scaricaile on line su vimeo insime a tutto l'achivio video)
Il film racconta una storia inverosimile, è la storia di una casa di legno costruita in un campo Rom, una piccola casetta che ha fatto sognare tante persone e ha ne ha fatto infuriare ancora di più. È una storia breve - i sei mesi di vita di questa casetta - ma che ha radici in un conflitto che dura dalle origini stesse dell’umanità, almeno da quando Caino, sedentario e padrone dei campi agricoli, uccise suo fratello Abele, nomade padrone di un gregge di pecore, consumando il primo omicidio della storia dell’umanità. In questo film si racconta di quando Caino e Abele - forse per la prima volta - provarono a costruire insieme una casa per tutti, per i cosiddetti “nomadi” e per i cosiddetti “sedentari”. Gli attori del film sono una miscela di persone molto diverse tra loro: i protagonisti principali sono i Rom del campo Casilino 900 e in particolare i “direttori dei lavori”, maestri nel costruire le case di legno; al loro fianco troviamo varie persone che affermano di agire in nome di Stalker Osservatorio Nomade, e poi ricercatori e dipendenti del Dipartimento di Studi Urbani, studenti, laureandi e neolaureati di diverse facoltà di architettura italiane, un professore di sociologia dedito da anni alla causa Rom, architetti, artisti, film makers, registi, fotografi, giornalisti, scrittori, amici, curiosi, parenti, e tanti bambini figli sia dei nomadi che dei sedentari. In questo film recitano anche i politici, a volte compaiono fisicamente nello schermo, altre volte sono invisibili ma gli effetti delle loro meschinità influiscono sulla trama e alla fine li vediamo sorridere quando intorno tutti quanti piangono.

16/02/11

prossima settimana al master

giovedì 17 febbraio 2011 ore 17.00 : La città dei Rom. Studi urbani e interazione creativa.
Francesco Careri e Aldo Innocenzi
Video. C’era una volta… Savorengo Ker, la Casa di Tutti. Roma, Campo Rom Casilino 900. È il racconto della realizzazione di una casa manifesto coprogettata e autocostruita dalle comunità Rom del campo insieme a Stalker ON e al Dipsu. Il prototipo abitativo dimostra che i Rom desiderano abitare in una casa e non un campo e che sanno realizzare ai costi di un container una vera e propria casa ecologica e sostenibile e rispondente agli standard abitativi ed alle normative edilizie. La casa è stata inaugurata il 28 giugno, e bruciata da ignoti l'11 dicembre 2008.. Regia: Fabrizio Boni e Giorgio de Finis. Montaggio: Daniel Mark Miller. Produzione In iride sfoggio. Durata: 60’. Anno: 2009.

venerdì 18 febbraio 2011, ore 17.00 : Progetto Asinitas
Marco Carsetti, Gianluca Gatta e Giacomo Borella
N.B.: la lezione si terrà nella sede dell'associazione Asinitas, presso la comunità cristiana di base di San Paolo, via Ostiense 152/b, proprio di fronte al DAMS dove solitamente si svolgono le lezioni di giovedi e venerdi.

sabato 19 febbraio 2011: Pidgin Walk 5
Visita con Alessandra Broccolini a Banglatown - Tor Pignattara. Appuntamento al Cinema Impero ore 10

11/02/11

pidgin walk 4 - ladispoli

Appuntamento alla Stazione Ostiense alle 9,30 per prendere il treno alle 9,53
per chi lo perde quello dopo è allle 10,24
si pranza fuori e si rientra verso le 15

02/02/11

Francis Alÿs, The Storyteller














Francis Alÿs, The Storyteller
di Francesco Careri
(pubblicato in Mark Godfrey (ed.) “Francis Alys, a Story of deception”, Tate Modern, London 2010, pp.183-185)

di un Re è stato dimenticato il nome,
le domande non sono state dimenticate
A maggio di quest’anno, all’incirca quando mi è stato proposto di scrivere questo breve saggio, mi è capitata una strana cosa. Stavo camminando intorno alla città di Roma , quando nel quartiere di Tor Bella Monaca, un famoso “bronx” della periferia romana, una mia studentessa ha trovato in un cassonetto una macchina rossa, un grande giocattolo di plastica a pedali. Era quasi nuova e siccome il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di mio figlio Giorgio ho deciso di prenderla per fargli un regalo. Ho cominciato a trascinarmi la macchina dietro, legata ad una corda, e ho continuato a camminare attraversando periferie pubbliche, borgate abusive, campi incolti, foreste di rovi, fossati d’acqua putrida, antichi acquedotti romani, casali abbandonati e altri occupati da immigrati, fino a quando a tarda sera siamo arrivati al campo rom Casilino 900, dove la macchina ha attirato i desideri di molti bambini, infine sono riuscito a portarla a casa, dove mio figlio era ancora sveglio e ha accolto con grida di gioia quella macchinetta rossa che oggi è diventata una presenza familiare tra gli altri oggetti di casa.

Mentre trascinavo dietro di me la macchina rossa mi continuava a tornare in mente Francis Alÿs, disegni e le foto di The Collector, la sua prima azione camminata del 1991 in cui porta dietro di sé una specie di cagnolino di latta magnetica che lungo il cammino si veste di viti, rondelle e ogni genere di pezzo di ferro incontrato per strada. Il mio oggetto non raccoglieva altri oggetti, era lui stesso un object trouvé nella spazzatura, e non per diventare un opera ma per tornare ad essere un vero e proprio giocattolo. Ma nel suo tragitto, quella strana macchinetta portata al guinzaglio da un adulto raccoglieva le risa dei passanti, gli sguardi, le domande, gli auguri a mio figlio. In breve si è trasformata in un ottimo strumento di conoscenza, una sorta di chiave di accesso disarmante che fa calare la tensione dell’incontro con lo sconosciuto e costruisce la base per una prima conversazione benevola, la disponibilità reciproca al perder tempo disinteressato. Il fine di quella camminata non era infatti cercare oggetti - la performance della macchina era stata del tutto accidentale - ma andare a conoscere i territori più periferici della città e soprattutto andare a conoscere i suoi abitanti. la cosa notevole è stata che quel giocattolo, proprio per il fatto di essere un giocattolo, è stato capace di generare un altro gioco, di far mettere in gioco le persone, di provocare la curiosità di chiederci di raccontare la nostra storia di camminanti intorno a Roma, e soprattutto di far venire a galla altre storie, generare nuovi racconti, conoscere queste terre lontana della nostra metropoli. La macchinetta ha trasformato tutti in una sorta di cantastorie, quei menestrelli che andavano girovagando anticamente per le città. Personaggi fondamentali per la vita di un territorio sia per il ruolo di far girare l’informazione sia per il ruolo di interpretarla e a volte anche di deformarla o addirittura di inventarla. Proprio tipo di personaggio di cui oggi c’è più bisogno per ricostruire un senso alla nozione di spazio pubblico.



Molte delle azioni di Alÿs hanno la forza di inscriversi nella memoria collettiva, di andare di bocca in bocca e trasformarsi in tradizione orale. Quello che funziona è la loro apparente semplicità: portare a spasso un cane metallico, camminare con scarpe magnetiche, trascinare con sé un grande blocco di ghiaccio fino a quando non si scioglie, fare visitare a una volpe la National Gallery di Londra durante la notte, riprenderla con le telecamere di sorveglianza, far pascolare le pecore coreograficamente nella piazza dello Zocalo. Sono azioni che si possono ricordare facilmente e di cui non serve avere una immagine, basta una breve frase per descriverle. E sono azioni che toccano le giuste corde della memoria collettiva, corde politiche che si inscrivono nella storia della polis, a volte come fatti realmente accaduti altre volte come fatti che facilmente potrebbero accadere.

Un altro dato importante è che in questo lavoro di cantastorie è la nozione stessa di autore che comincia a sparire, nel racconto l’azione diventa molto più importante del suo autore: il cantastorie mette in giro una voce, ma in seguito chiunque la racconta ne diventa a sua volta l’autore. I due aspetti di essere autore di un “rumour” e di far scomparire l’autore sono stati messi a fuoco da Alÿs in due lavori molto chiari: the Liar, the Copy of the Liar del 1994 e Urban Rumours del 2000.



The Liar, the Copy of the Liar è un’ opera che assorbe tradizione messicana della pittura rotulista, e che funziona attraverso la copia dei suoi quadri fatta da diversi pittori, che interpretano, modificano e riscrivono l’opera in una operazione assolutamente antiautoriale, e che come afferma Thierry Davila “diluisce la nozione di autore al profitto di un lavoro collettivo di moltiplicazione di copie, di adattamento di un originale.”

Urban Rumours è la diffusione a Città del Messico della notizia falsa (ma assolutamente verosimile in quel contesto) del rapimento di una persona di trentacinque anni. Tre persone vanno in giro cercandola e chiedendo informazioni tra la gente, fino a quando alcuni giorni dopo la descrizione orale del rapito, la voce arriva a produrre l’effetto che la polizia fa un ritratto dello scomparso in base alle descrizioni che gli sono arrivate e lo diffonde in città. A quel punto i tre autori del rumore interrompono la loro azione mentre il “rumore” si continua a diffondere autonomamente tra le strade della città, fino a spegnersi nel mare della città ed essere dimenticato, come tanti altri rapimenti. Questa dimensione orale e in qualche modo “mitica” di Alÿs è forse l’aspetto più vivo e più attuale del suo lavoro: è una non scrittura ma produce effetti pubblici immediati e reali come per esempio il ritratto di una persona che non esiste, capace di disseminare una voce in direzioni imprevedibili e a impiantarla nella memoria collettiva quel tempo quanto basta per farle essere.

Nella letteratura antica il “rumour”, (parola onomatopeica che deriva dal latino murmur, in italiano, mormorio, rumore di fondo) è legato a una divinità - la Fama (da cui famoso) - che ha un carattere negativo proprio per la non autorialità e non attendibilità dell’informazione che mette in circolo. Se Mercurio è il messaggero Dei, e quindi porta notizie chd siano esse buone o cattive sono comunque accreditate, La Fama è invece un sorta di messaggera degli uomini tra gli uomini, e quindi porta in giro notizie dal carattere ambiguo, verità che hanno tracce di falsità o falsità con un fondo di verità.

Nelle “Opere e i Giorni” Esiodo parla di una “Fama cattiva, lieve a sollevarsi agevolmente, ma pesante a sopportare e difficile a toglierla di dosso. Nessuna fama si perde completamente, quando molta gente l'abbia messa in giro: pure ella invero è una dea come un'altra” , e Virgilio nell’Eneide la descrive come figlia diretta della Madre Terra, un mostro con un corpo piumato che vola nell’ombra, di tante lingue e tante bocche che cercano tante orecchie:



“fulminea fra tutti i mali, possiede

vigore di movimento, e acquista forze con l'andare;

dapprima piccola e timorosa; poi si solleva nell'aria,

e avanza sul suolo, e cela il capo tra le nubi …

Di notte vola tra il cielo e la terra nell'ombra,

stridendo e non chiude gli occhi al dolce sonno;

di giorno siede spiando sul culmine d'un tetto,

o su alte torri, e sgomenta grandi città,

tenace messaggera tanto del falso quanto del vero".



E “Rumours” è anche il titolo dell’intervista fatta da James Lingwood, in cui Alÿs spiega lucidamente il suo lavoro di utopista-cantastorie che opera tra i vuoti e i residui disseminando fiabe e nuove miti:



“when I decided to step out of the field of architecture, my first impulse was not to add to the city but more to absorb what was already there, to work with the residues, or with the negative spaces, the holes, the spaces in-between… What emerged was the idea to insert into the city a story rather than an object … It was my way of affecting a place at a very precise moment in it’s history and for a very short period of time… This mythic dimension is interesting to me. Maybe you don’t need to see the work, you just need to hear about it.”



Come Alÿs anche io sono di formazione architetto e ho intrapreso la strada del camminare per costruire immaginari e produrre nuove relazioni invece di disegnare architetture per costruire nuovi edifici. Le sue opere hanno sempre fatto risuonare molte corde dentro di me, proprio perché con grande poesia riescono a produrre leggende urbane che hanno la potenzialità di trasformarsi in utopie. I rumours di Alys sono come dei sassi tirati nell’acqua, verità momentanee che si diffondono concentricamente e che durano il tempo di rimbalzare sugli scogli o di dissiparsi sempre più lontano. Senza costruire muri né strade, costruiscono immaginari di città e provocano trasformazioni collettive difficili da inseguire e da misurare, ma che sono reali. Credo che Alÿs in questo sia allora profondamente un architetto del suo tempo, un architetto immateriale di un tempo in la narrazione collettiva cui è sempre più difficile e in cui la città non viene più neanche attraversata dai suoi abitanti. Un architetto utopico che conscio dell’importanza del ruolo che il cantastorie riveste oggi, come lo è sempre stato da Omero a Woody Guthrie, inventa nuove mitologie Alys e costruisce nuove città:



“for the highly rational society of the Renaissance felt the need to create Utopias,

we of our time, must create fables.”



11/01/11

Rom, o dell’impossibilità di essere un figurante



Rom, o dell'impossibiltà di essere un figurante
di Francesco Careri
(publicato in francese in: “de(s)générations” n°13, Saint-Eienne, 2011, pp. 35-42)

Texte en français au fond


“I figuranti sono la notte del cinema, quando il cinema vuole essere un arte per far brillare le stelle”- scrive Didi-Huberman nel numero 09 di questa rivista dedicato ai figuranti, e continua – “sono i non-attori per eccellenza (…) stanno alla storia che si racconta come una tela di fondo costituita di volti, di corpi, di gesta”[1]. Ho cominciato a ragionare a partire da questa frase per capire se i Rom possono rientrare nella categoria dei figuranti[2]. Sicuramente i Rom non sono mai stati protagonisti ma sempre sfondo della Storia. Una Storia loro non l’hanno mai scritta e quella scritta da noi, si sa, non ha mai incluso i vinti, le masse e i derelitti. Ma nella storia del cinema e forse in generale nella storia delle immagini - a parte i film di genere come in Emir Kusturica e Tony Gatlif, dove i Rom sono sia protagonisti che figuranti - non ricordo mai di Rom che passano sullo sfondo. La stessa cosa succede nella realtà della vita quotidiana: quando i Rom compaiono alla nostra vista non sono mai sfondo, sono sempre protagonisti. Se ci si riflette i Rom che passano sul marciapiede non sono mai dei semplici passanti, figuranti o sfondo neutro, perché non passano inosservati, attirano gli sguardi. Gli occhi li seguono fin quando non escono dalla scena, fino al cessato pericolo. Ritornando al cinema, se una camera da presa li inquadrasse mentre passano, non potrebbe fare a meno di continuare a seguirli fin quando non scompaiono, la camera non potrebbe andare su un altro soggetto come se niente fosse. La telecamera passando sullo sfondo avrebbe trovato qualcosa che per sua natura attirerebbe uno zoom, un commento, un apprezzamento, un’interpretazione. Allo stesso modo, se il pennello di un pittore o un obiettivo fotografico li dovesse ritrarre, quella presenza sarebbe sicuramente significante, non potrebbe mai essere una figura anonima.

C’era una porta …


C’era una porta …
L’autorecupero ai tempi del Metropoliz (sulla base di quanto racconta Leroy)
di Francesco Careri
(articolo non pubblicato. scritto in occasione dell'articolo su Abitare, vedi post successivo)



Metropoliz. Stazione Rom-A.


Metropoliz. Stazione Rom-A
di Francesco Careri
(pubblicato su “Abitare” n° 503, pp. 94-101)

Dal cancello si vede una facciata di mattoni con appese una trentina di ruote di bicicletta luccicanti. Sembrerebbe una delle “ciclofficine” nate dappertutto in città, poi osservando le persone che entrano ed escono appare chiaro che quelle sono sicuramente ruote Rom, il simbolo del carro e della carovana, dei figli del vento o meglio del popolo eternamente in fuga. Dentro quel capannone che produceva motori per l’aviazione si trova la nuova “Stazione Rom-A”, un grande spazio voltato sotto cui una comunità di Rom Rumeni si è costruita un villaggio, piccole casette intorno ad una piazzetta comune da cui si diramano vicoli sempre più stretti. Un villaggio dentro una fabbrica, tanti tetti sotto un grande tetto. Vengono in mente le capanne nuragiche di Tiscali, costruite sotto un’immensa caverna più di 4000 anni fa. Invece questa è Roma, via Prenestina all’alba del terzo millennio, nella parte Rom del “Metropoliz”, una delle più interessanti occupazioni della capitale. Siamo in uno spazio autogestito diventato famoso per il servizio di Riccardo Iacona su “Presa Diretta” in cui gli architetti Rossella Marchini e Antonello Sotgia - due nomi storici della controurbanistica romana - proponevano un progetto di 200 nuovi alloggi, in applicazione della delibera del 2007 che consente di trasformare i capannoni industriali dismessi in edifici residenziali, a condizione di destinare una quota all’emergenza casa. Il progetto riguarda la gigantesca fabbrica di salumi della Fiorucci - oggi della Ca.Sa. Srl, l’impresa che costruisce la Metro C - occupata il 27 marzo 2009 dai Blocchi Precari Metropolitani, una delle sigle che insieme ad Action e al Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa opera nella capitale per dare uno sbocco concreto all’emergenza casa, un emergenza che a Roma coinvolge più di 100 000 persone.