Francis Alÿs, The Storyteller
di Francesco Careri
(pubblicato in Mark Godfrey (ed.) “Francis Alys, a Story of deception”, Tate Modern, London 2010, pp.183-185)
A maggio di quest’anno, all’incirca quando mi è stato proposto di scrivere questo breve saggio, mi è capitata una strana cosa. Stavo camminando intorno alla città di Roma , quando nel quartiere di Tor Bella Monaca, un famoso “bronx” della periferia romana, una mia studentessa ha trovato in un cassonetto una macchina rossa, un grande giocattolo di plastica a pedali. Era quasi nuova e siccome il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di mio figlio Giorgio ho deciso di prenderla per fargli un regalo. Ho cominciato a trascinarmi la macchina dietro, legata ad una corda, e ho continuato a camminare attraversando periferie pubbliche, borgate abusive, campi incolti, foreste di rovi, fossati d’acqua putrida, antichi acquedotti romani, casali abbandonati e altri occupati da immigrati, fino a quando a tarda sera siamo arrivati al campo rom Casilino 900, dove la macchina ha attirato i desideri di molti bambini, infine sono riuscito a portarla a casa, dove mio figlio era ancora sveglio e ha accolto con grida di gioia quella macchinetta rossa che oggi è diventata una presenza familiare tra gli altri oggetti di casa.di un Re è stato dimenticato il nome,
le domande non sono state dimenticate
Mentre trascinavo dietro di me la macchina rossa mi continuava a tornare in mente Francis Alÿs, disegni e le foto di The Collector, la sua prima azione camminata del 1991 in cui porta dietro di sé una specie di cagnolino di latta magnetica che lungo il cammino si veste di viti, rondelle e ogni genere di pezzo di ferro incontrato per strada. Il mio oggetto non raccoglieva altri oggetti, era lui stesso un object trouvé nella spazzatura, e non per diventare un opera ma per tornare ad essere un vero e proprio giocattolo. Ma nel suo tragitto, quella strana macchinetta portata al guinzaglio da un adulto raccoglieva le risa dei passanti, gli sguardi, le domande, gli auguri a mio figlio. In breve si è trasformata in un ottimo strumento di conoscenza, una sorta di chiave di accesso disarmante che fa calare la tensione dell’incontro con lo sconosciuto e costruisce la base per una prima conversazione benevola, la disponibilità reciproca al perder tempo disinteressato. Il fine di quella camminata non era infatti cercare oggetti - la performance della macchina era stata del tutto accidentale - ma andare a conoscere i territori più periferici della città e soprattutto andare a conoscere i suoi abitanti. la cosa notevole è stata che quel giocattolo, proprio per il fatto di essere un giocattolo, è stato capace di generare un altro gioco, di far mettere in gioco le persone, di provocare la curiosità di chiederci di raccontare la nostra storia di camminanti intorno a Roma, e soprattutto di far venire a galla altre storie, generare nuovi racconti, conoscere queste terre lontana della nostra metropoli. La macchinetta ha trasformato tutti in una sorta di cantastorie, quei menestrelli che andavano girovagando anticamente per le città. Personaggi fondamentali per la vita di un territorio sia per il ruolo di far girare l’informazione sia per il ruolo di interpretarla e a volte anche di deformarla o addirittura di inventarla. Proprio tipo di personaggio di cui oggi c’è più bisogno per ricostruire un senso alla nozione di spazio pubblico.
Molte delle azioni di Alÿs hanno la forza di inscriversi nella memoria collettiva, di andare di bocca in bocca e trasformarsi in tradizione orale. Quello che funziona è la loro apparente semplicità: portare a spasso un cane metallico, camminare con scarpe magnetiche, trascinare con sé un grande blocco di ghiaccio fino a quando non si scioglie, fare visitare a una volpe la National Gallery di Londra durante la notte, riprenderla con le telecamere di sorveglianza, far pascolare le pecore coreograficamente nella piazza dello Zocalo. Sono azioni che si possono ricordare facilmente e di cui non serve avere una immagine, basta una breve frase per descriverle. E sono azioni che toccano le giuste corde della memoria collettiva, corde politiche che si inscrivono nella storia della polis, a volte come fatti realmente accaduti altre volte come fatti che facilmente potrebbero accadere.
Un altro dato importante è che in questo lavoro di cantastorie è la nozione stessa di autore che comincia a sparire, nel racconto l’azione diventa molto più importante del suo autore: il cantastorie mette in giro una voce, ma in seguito chiunque la racconta ne diventa a sua volta l’autore. I due aspetti di essere autore di un “rumour” e di far scomparire l’autore sono stati messi a fuoco da Alÿs in due lavori molto chiari: the Liar, the Copy of the Liar del 1994 e Urban Rumours del 2000.
The Liar, the Copy of the Liar è un’ opera che assorbe tradizione messicana della pittura rotulista, e che funziona attraverso la copia dei suoi quadri fatta da diversi pittori, che interpretano, modificano e riscrivono l’opera in una operazione assolutamente antiautoriale, e che come afferma Thierry Davila “diluisce la nozione di autore al profitto di un lavoro collettivo di moltiplicazione di copie, di adattamento di un originale.”
Urban Rumours è la diffusione a Città del Messico della notizia falsa (ma assolutamente verosimile in quel contesto) del rapimento di una persona di trentacinque anni. Tre persone vanno in giro cercandola e chiedendo informazioni tra la gente, fino a quando alcuni giorni dopo la descrizione orale del rapito, la voce arriva a produrre l’effetto che la polizia fa un ritratto dello scomparso in base alle descrizioni che gli sono arrivate e lo diffonde in città. A quel punto i tre autori del rumore interrompono la loro azione mentre il “rumore” si continua a diffondere autonomamente tra le strade della città, fino a spegnersi nel mare della città ed essere dimenticato, come tanti altri rapimenti. Questa dimensione orale e in qualche modo “mitica” di Alÿs è forse l’aspetto più vivo e più attuale del suo lavoro: è una non scrittura ma produce effetti pubblici immediati e reali come per esempio il ritratto di una persona che non esiste, capace di disseminare una voce in direzioni imprevedibili e a impiantarla nella memoria collettiva quel tempo quanto basta per farle essere.
Nella letteratura antica il “rumour”, (parola onomatopeica che deriva dal latino murmur, in italiano, mormorio, rumore di fondo) è legato a una divinità - la Fama (da cui famoso) - che ha un carattere negativo proprio per la non autorialità e non attendibilità dell’informazione che mette in circolo. Se Mercurio è il messaggero Dei, e quindi porta notizie chd siano esse buone o cattive sono comunque accreditate, La Fama è invece un sorta di messaggera degli uomini tra gli uomini, e quindi porta in giro notizie dal carattere ambiguo, verità che hanno tracce di falsità o falsità con un fondo di verità.
Nelle “Opere e i Giorni” Esiodo parla di una “Fama cattiva, lieve a sollevarsi agevolmente, ma pesante a sopportare e difficile a toglierla di dosso. Nessuna fama si perde completamente, quando molta gente l'abbia messa in giro: pure ella invero è una dea come un'altra” , e Virgilio nell’Eneide la descrive come figlia diretta della Madre Terra, un mostro con un corpo piumato che vola nell’ombra, di tante lingue e tante bocche che cercano tante orecchie:
“fulminea fra tutti i mali, possiede
vigore di movimento, e acquista forze con l'andare;
dapprima piccola e timorosa; poi si solleva nell'aria,
e avanza sul suolo, e cela il capo tra le nubi …
Di notte vola tra il cielo e la terra nell'ombra,
stridendo e non chiude gli occhi al dolce sonno;
di giorno siede spiando sul culmine d'un tetto,
o su alte torri, e sgomenta grandi città,
tenace messaggera tanto del falso quanto del vero".
E “Rumours” è anche il titolo dell’intervista fatta da James Lingwood, in cui Alÿs spiega lucidamente il suo lavoro di utopista-cantastorie che opera tra i vuoti e i residui disseminando fiabe e nuove miti:
“when I decided to step out of the field of architecture, my first impulse was not to add to the city but more to absorb what was already there, to work with the residues, or with the negative spaces, the holes, the spaces in-between… What emerged was the idea to insert into the city a story rather than an object … It was my way of affecting a place at a very precise moment in it’s history and for a very short period of time… This mythic dimension is interesting to me. Maybe you don’t need to see the work, you just need to hear about it.”
Come Alÿs anche io sono di formazione architetto e ho intrapreso la strada del camminare per costruire immaginari e produrre nuove relazioni invece di disegnare architetture per costruire nuovi edifici. Le sue opere hanno sempre fatto risuonare molte corde dentro di me, proprio perché con grande poesia riescono a produrre leggende urbane che hanno la potenzialità di trasformarsi in utopie. I rumours di Alys sono come dei sassi tirati nell’acqua, verità momentanee che si diffondono concentricamente e che durano il tempo di rimbalzare sugli scogli o di dissiparsi sempre più lontano. Senza costruire muri né strade, costruiscono immaginari di città e provocano trasformazioni collettive difficili da inseguire e da misurare, ma che sono reali. Credo che Alÿs in questo sia allora profondamente un architetto del suo tempo, un architetto immateriale di un tempo in la narrazione collettiva cui è sempre più difficile e in cui la città non viene più neanche attraversata dai suoi abitanti. Un architetto utopico che conscio dell’importanza del ruolo che il cantastorie riveste oggi, come lo è sempre stato da Omero a Woody Guthrie, inventa nuove mitologie Alys e costruisce nuove città:
“for the highly rational society of the Renaissance felt the need to create Utopias,
we of our time, must create fables.”
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