di Francesco Careri e Azzurra Muzzonigro
Sabato 26 maggio, via prenestina 913, ore 22,30. Siamo qui
per una mostra del MAAM, un acronimo che sta per Museo dell’Arte e dell’Altrove
di Metropoliz, e che fa il verso al MAXXI al MACRO e ai molti musei inaugurati
nelle città italiane nell’ultimo decennio. Entriamo dal cancello, attraversiamo
la piazza del Campidoglio ridisegnata a terra scientificamente dai nostri
studenti di architettura e seguendo la musica tra i corridoi della fabbrica,
arriviamo a un jam session di ragamuffin
in un’atmosfera da inizio anni 90, con il sound system che pompa i bassi.
Intorno
al palco molti abitanti di Metropoliz ballano ascoltando le parole dei rappers,
altri italiani chiacchierano allegramente con peruviani e i rom, un bambino marocchino
venuto da un'altra occupazione fa il bebop
facendo rumori ritmici con la bocca sul microfono, tutto intorno un pubblico da
concerto di centri sociali balla e canta mescolandosi agli abitanti. Era una jamm che si doveva fare in un'altra
fabbrica abbandonata là vicino, ma pioveva e quindi hanno chiesto ospitalità al
Metropoliz. La mostra del MAAM è più in là. Proseguiamo per un grande corridoio
della fabbrica e in fondo c’è una scritta Ristorante,
con una freccia. Entriamo in una sala con tavoli, profumi di cucina meticcia e
tutto intorno quadri, sculture e installazioni che diversi artisti hanno
regalato al MAAM per finanziare i lavori del tetto della futura ludoteca. Qui
ci sono artisti, cittadini, collezionisti di arte contemporanea, abitanti del
Metropoliz, attivisti politici di altre occupazioni, abitanti del quartiere
intorno. Quello che colpisce è quante differenze e diversità sono compresenti e
intrecciate in questo posto in questo momento. È come se i diversi flussi
cittadini, che di solito conducono vite quotidiane separate, siano stati
magnetizzati tutti insieme qui a fare l’esperienza di uno stesso spazio. Una
fabbrica abbandonata che produceva salami e mortadelle e che da tre anni ospita
duecento persone provenienti da tutto il mondo. Persone che non si possono
permettere i prezzi del mercato immobiliare, in gran parte famiglie con bambini
piccoli, spesso in lista da anni per le case popolari, a cui la città offre solo
di le baracche lungo i fiumi, le periferie ancora più lontane o, se sono Rom, i
nuovi campi nomadi supervigilati intorno alla città. Già perché la
particolarità di Metropoliz sta proprio nel’aver incluso i Rom nella galassia
degli occupanti, affrontando sicuramente qualche problema organizzativo in più,
ma incrementando quella complessità culturale che è forse il dato più
interessante delle nuove occupazioni abitative cittadine.
A Roma i movimenti di lotta per la casa sono sempre stati
un’importante forza politica. Negli anni sessanta e settanta in assenza di
politiche pubbliche, i movimenti hanno avuto la capacità coinvolgere l’opinione
pubblica e la politica nazionale fino a portare alla legalizzazione delle
borgate della città abusiva e di realizzare i grandi complessi di case popolari
della città pubblica. In seguito, negli anni novanta, una volta risolto il
grosso del problema abitativo, il loro ruolo è drasticamente calato, ma una ridotta
quota di occupazioni di case è sempre rimasta attiva come strumento di lotta sui
temi della speculazione fondiaria e del regime dei suoli, contro gli sgomberi e
gli elevati canoni immobliari. Il fenomeno è ripartito con un’inaspettata
crescita quantitativa e qualitativa soprattutto nell’ultimo decennio,
soprattutto grazie alle nuove ondate migratorie[1]. Per
molti stranieri il mercato privato è, infatti, del tutto inaccessibile e le
alternative pubbliche sono assolutamente incapaci di affrontare la nuova
emergenza. E così, in un generalizzato ritardo istituzionale l’occupazione di
edifici dismessi si è trasformato nell’unica realtà capace di rispondere alla
velocità dei fenomeni in atto. In un crescendo di consapevolezza politica e
urbanistica, dalla lotta per la casa si è passati ad una più generale lotta per
l’abitare e per il diritto alla città
come bene comune[2]. Dal 2000 al 2005 a Roma
sono state assegnate 1700 case popolari, nello stesso periodo tutti i movimenti
di lotta per la casa hanno alloggiato più di 2000 famiglie[3]. Oggi
risultano occupati circa cinquantacinque edifici e vi si stima una popolazione
di 2500 famiglie ossia circa 6000 persone. E quello che è il dato più
interessante è che il 70% di questa popolazione è straniera.
All’interno delle occupazioni non ci sono solo case ma anche
servizi importanti che il Comune è incapace di offrire: sportelli per
l’emergenza abitativa, uffici legali, scuole popolari, doposcuola per i bambini
occupanti e scuola di italiano per i genitori, ludoteche, luoghi per la musica,
cucine comuni, osterie popolari, bar, palestre popolari, campi di calcetto.
Questa offerta di servizi è rivolta anche all’esterno e ha quindi il
fondamentale ruolo di legittimare l’occupazione e di costruire reti e relazioni
con i territori intorno. Con una metafora questa costellazione di enclave
occupate si può leggere come tante gocce di olio in una grande bacinella di
acqua. Porzioni di spazio recintate e sottratte alla governance e alle leggi
che vigono intorno e che difendono una loro propria natura diversa, non si
mescolano con l’acqua. In queste porzioni di città valgono altre leggi ossia i
loro regolamenti interni e ogni decisione importante è discussa e presa all’interno
dell’assemblea di gestione. Queste a loro volta sono in rete tra loro e si
riuniscono in altre assemblee, sotto diverse sigle politiche spesso in
contrasto tra loro, ma facenti parte comunque di un più generale forza politica
– i movimenti di lotta per la casa - capace di essere unita nelle sue
manifestazioni pubbliche più importanti e di darsi solidarietà e sostegno in
caso di sgomberi o intimidazioni esterne.
All’interno di queste micro-città ci sono tutte le
competenze che servono alla sua auto-trasformazione: idraulici, elettricisti,
muratori, saldatori, cuochi, artisti, ma anche avvocati, architetti,
traduttori, giornalisti. E quando manca una delle competenze, si può fare
ricorso alla rete più estesa. La formazione del gruppo di occupanti è un
momento fondamentale ed è una fase che può durare anche alcuni mesi. Si tratta
di una lunga serie di riunioni in cui vengono spiegate le regole interne, i
rischi, i successi di altre occupazioni e il significato politico che un
occupazione rappresenta, ma oltre alle consapevolezza politica vengono
soprattutto valutate le motivazioni e le attitudini ad una scelta di vita
comunitaria. Una volta occupato lo spazio si dovranno affrontare infatti molti
momenti in cui è indispensabile il rispetto reciproco e una forte solidarietà
interna.
Si dovrà arrivare alla divisione degli spazi, in cui saranno
favorite le famiglie grandi, agli anziani saranno assegnati spazi in luoghi più
facilmente accessibili, ai giovani e ai nuclei monofamiliari i piani più alti e
a volte in coabitazione. Diventa allora importante il riconoscimento della
diversità, e l’interesse al dialogo interculturale inteso come arricchimento
che proviene dal processo evolutivo tra due o più diverse culture, ma in
sinergia, non in simbiosi. Quindi di un avvicinamento reciproco e di una
volontà di modificare proprie abitudini e convinzioni, non semplicemente
tollerando le differenze, ma facendone patrimonio comune. Non c’è dubbio che da
questo punto di vista le occupazioni sono un importantissimo laboratorio di convivenza
interculturale e che sia qui che si stanno sperimentando in forma innovativa nuovi
modi di abitare. Oggi a Roma il diritto alla città è soprattutto una lotta dei
migranti, è grazie a loro che riprendono vita i luoghi che la città aveva abbandonato,
che le piazze si trasformano con nuovi usi e comportamenti. Le occupazioni sono
spesso condomini dove oltre alle case esistono cortili, giardini, spazi di
soglia, spazi comuni ormai estinti nel resto della città.
Metropoliz è il luogo simbolo della lotta per l’abitare
meticcio inclusivo dei Rom, dal 2009 ci vivono circa 200 persone, e qui insieme
agli italiani e ai migranti provenienti dall’Africa, dal Sud America e dall’Est
Europeo, è stata inclusa anche una comunità di Rom Rumeni. Il risultato è uno
spazio denso di contraddizioni in cui si ritrovano concentrati i più importanti
temi della contro urbanistica
cittadina: il riciclo e l’autorecupero degli edifici dismessi come alternativa
al consumo di suolo, la lotta alla rendita fondiaria con proposte di
acquisizione pubblica, la condanna delle politiche di ghettizzazione nei confronti
delle popolazioni rom da sempre discriminate in tutta Europa.[4]
Le strategie più efficaci di Metropoliz verso l’apertura
alla città sono il networking e l’uso dell’arte come strumento di comunicazione
politica. Oltre ai BPM (Blocchi Precari Metropolitani) che hanno avviato e
coordinano l’occupazione, si sono nel tempo affiancati diversi attori: Popica
Onlus che si occupa della scolarizzazione dei bambini rom; alcune associazioni
di quartiere molto importanti per costruire buone relazioni di vicinato, e diversi
progetti artistici. Il Laboratorio Arti Civiche da due anni ha organizzato
attività di ricerca, di didattica e di azione artistica coinvolgendo insieme
gli abitanti e gli studenti di architettura. L’intento è stato quello di
entrare, di conoscere e soprattutto di far conoscere all’esterno, varcarne la
soglia e rendere attraversabile ciò che da fuori si credeva lontano ed
inespugnabile. L’arte civica in questo senso come strumento, sia didattico che
civico, ha l’importante ruolo di costruire dei ponti fra l’interno e l’esterno
attraverso la reciproca conoscenza e la manipolazione condivisa dello spazio. I
primi workshops del Laboratorio Arti Civiche si sono concentrati a trasformare gli
spazi della fabbrica in modo che rispondessero il più possibile alle esigenze e
alle aspirazioni dei suoi abitanti: diversi gruppi di studenti hanno recuperato
gli spazi del padiglione occupato dai rom, costruendo i bagni, le docce e i
giochi per i bambini con materiali di recupero, in seguito sono state create
una ludoteca e un’aula per le lezioni di italiano trasformando due sale della
fabbrica. Di fronte alla sala assembleare, nella grande piazza di ingresso, è
stato disegnato a terra una grande stella michelangiolesca, identica in
proporzioni ma in scala, a quella che campeggia sul pavimento della piazza del
Campidoglio, il simbolo di una nuova città.
Nel nostro lavoro a Metropoliz ci siamo intrecciati con il
lavoro svolto da altri attori. Un momento importante è stato l’esame degli studenti
del corso di Arte Civica svolto in collaborazione con il progetto Space Metropoliz[5]:
cinque lunghe camminate notturne, terminate con un grande Luna Park di
istallazioni e performances dalla grande carica poetica. All’esame ci si doveva
presentare con una valigia con dentro le cose che ci si sarebbe portati con sé per
il viaggio sulla Luna[6]. La
Luna è stata infatti l’esperimento artistico più vivace e di maggior rilievo
svolto fino ad oggi. L’idea nata dai registi antropologi Fabrizio Boni e
Giorgio de Finis, è di fare un film neorealista e fantascientifico, Space Metropoliz, in cui gli abitanti di
Metropoliz decidono di costruirsi un razzo per lasciare la terra ed esplorare
un nuovo mondo dove forse sarà possibile abitare senza discriminazioni. Il film
ha coinvolto gli abitanti e molti artisti a lavorare insieme, dimostrando come
il cinema può essere un’arte civica capace di costruire città e cittadinanza.
Sia nel caso delle azioni del Laboratorio di Arti Civiche,
che nel caso del film Space Metropoliz
l’azione dentro Metropoliz è stata il tentativo di comprendere e coinvolgere le
risorse esistenti sul campo, per trasformare i conflitti interni in energia
creativa volta alla costruzione di uno spazio vivibile e fantastico capace di
nutrire le menti e il cuore dei suoi abitanti.
E’ forse proprio questo il senso che vorremmo dare all’arte
civica: costruire attraverso l’arte ponti capaci di trasformare gli spazi residuali
della città in luoghi dove sperimentare forme d’abitare inedite e meticce;
partecipare alla continua creazione di un mondo di mondi sempre più differenti,
la cui stessa esistenza è segno di una città culturalmente viva e plurale.
* Il Laboratorio di Arti Civiche è un gruppo
di ricerca che compie azioni e progetti rivolti a interagire creativamente con
i cittadini per una trasformazione collettiva e condivisa dell’ambiente
costruito. È attivo in diversi ambiti di ricerca quali urbanistica,
architettura, arte pubblica, antropologia urbana e lavora nel campo della città
informale e sui temi dell’emergenza abitativa, dell’esclusione sociale e
spaziale dei Rom e delle occupazioni interculturali. (www.articiviche.net)
[1] A Roma al 1 gennaio 2011 la popolazione
straniera conta 345.747 persone, il 12 % della popolazione, cfr:
http://www.caritasroma.it/2011/12/osservatorio-romano-sulle-migrazioni/.
Su questi temi oltre ai molti dati
forniti dai rapporti annuali della Caritas di Roma, Osservatorio Romano sulle
Migrazioni, Edizioni Idos, vedi anche: Giorgio Piccinato (a cura di), La
città eventuale, Quodlibet, Macerata 2004 e Giovanni Attili, La città
dei migranti. Storie di vita e Pianificazione Urbana, Jaca Book, Milano
2008.
[2] Su questi temi il Dipartimento di Studi
Urbani di Roma Tre ha sviluppato diverse ricerche. Cfr: Giovanni Caudo, Case di carta: la “nuova” questione abitativa,
in l’Unità (in due parti) 24 e 27 dicembre 2005; AA.VV, Modello Roma.
L'ambigua modernità, Odradek, Roma 2007; Marco Cremaschi (a cura di), Tracce
di quartieri. Il legame sociale nella città che cambia, Franco Angeli,
Milano 2008; Sonia Masiello, Roma periSferica. La città,
le periferie, gli immigrati, la scuola, Franco Angeli, Milano 2009.
[3] I dati sono stati forniti
agli autori dall’Arch. Sofia Sebastianelli, membro di Action e autrice della
Tesi di Dottorato “Abitare la Comunità”, sotto la guida del Prof. Giovanni Caudo.
Cfr. Sofia Sebastianelli, Le
occupazioni a scopo abitativo. Pratica quotidiana del diritto all’abitare,”
lo Squaderno” n° 14, December 2009 | Protests and Riots / Proteste e
rivolte, pp 47-49. http://www.professionaldreamers.net/images/losquaderno/losquaderno14.pdf.
[4] Cfr. Francesco Careri,
Metropoliz. Stazione Rom-A, “Abitare” n° 503, 2009, pp. 94-101; Roberto De
Angelis, La Metropoli(z) di Tiziana e Florin, in Federico Scarpelli e
Angelo Romano (a cura di), Voci della città. L’interpretazione dei territori
urbani, Carocci, Roma 2011, pp.185-208; Camillo Boano, The Metropoliz Wall. The architectural dispositif as recalibrating agent,
http://blogs.ucl.ac.uk/dpublog/2011/11/28.
[5] Cfr www.spacemetropoliz.com. Con lo stesso scopo di legittimazione
e comunicazione con l’esterno, è stato prodotto il film “Good Buy Roma” di Gaetano Crivaro e Margherita Pisano, che
racconta la vita meticcia dell’occupazione del Fronte del Porto. http://goodbuyroma.wordpress.com
[6] Maggiori informazioni sui
corsi di Arte Civica e sui workshops della Facolta’ di Architettura di Roma Tre
si possono trovare sul sito del Laboratorio Arti Civiche http://www.articiviche.net/LAC/laboratorio_arti_civiche___home.html
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