Articolo pubblicato in: Fabio Ciaravella (ed), Pop Housing, Lettera Ventidue, Siracusa 2021, pp. 43-57
Corviale, che i romani chiamano il Serpentone, è uno dei massimi esponenti di quei quartieri modello abbandonati prima dagli architetti che li avevano immaginati, poi dalle amministrazioni che avrebbero dovuto gestirli e infine dalle città che hanno voltato la faccia per non guardarli. Pezzi di città lasciati al dibattito architettonico, alle strumentalizzazioni dei partiti, al controllo delle questure, agli assistenti sociali e alla buona volontà degli abitanti che con grande fatica sono riusciti a non farli esplodere. Negli ultimi anni le cose sono in realtà cambiate e attualmente Corviale è oggetto di un programma di Rigenerazione Urbana della Regione Lazio, a cui partecipo in seno al Laboratorio di Città dell’Università di Roma Tre[1]. Il progetto prevede la regolarizzazione degli abitanti abusivi del quarto piano occupato, destinato originariamente a servizi, affrontando il tema della legalità senza tradurlo nella semplice eliminazione di ciò che è illecito, ma trasformando in assegnatario chi possiede i requisiti per avere un alloggio popolare. Le occupazioni hanno certamente generato conflitti, ma allo stesso tempo hanno messo in luce molte contraddizioni e hanno svolto un ruolo di sussidiarietà nell’affrontare il tema dell’emergenza abitativa, riducendola numericamente. È giunto il momento di guardarle con altri occhi e di cominciare ad immaginare nuove strade. A Roma infatti l’emergenza casa continua ad essere un problema non solo irrisolto ma in continuo incremento[2], e quanto sta avvenendo a Corviale potrebbe fare da apripista non solo a Roma ma estendersi al panorama nazionale. Si comincia a parlare di modello Corviale anche per altri quartieri pubblici romani come Tor Bella Monaca, Tor Sapienza e il Quarticciolo dove sono cominciati processi di rigenerazione. Ma bisogna ricordare che quello di Corviale non è un progetto meramente edilizio, perché prevede un accompagnamento sociale ed artistico e coinvolge l’università nel delicato compito di portare innovazione in un campo a cavallo tra urbanistica, arte e architettura. Sono convinto infatti che sia proprio in queste occasioni che l’arte, intesa come ricerca e azione interdisciplinare, possa costruire quel campo di relazioni tra abitanti e amministrazioni che è sempre mancato. È qui che si devono affiancare le ordinarie procedure degli uffici tecnici con inedite modalità di intervento tra arte e architettura e sperimentazione sociale. È evidente che quello che abbiamo finora chiamato rigenerazione urbana deve aprire spazi ad una ricerca interdisciplinare a fini sociali. Quelli che seguono sono una serie di passi di avvicinamento a quanto sta succedendo oggi, legati alla mia storia personale con Corviale.
Arte, architettura e sperimentazione sociale. La
prima volta che ci sono entrato è stato nel 1990 per scrivere un articolo per l’Architecture
d’Aujourd’hui[3].
Corviale era abitato solo da sette anni, c’era il grande palazzone di un chilometro
ma mancavano i mezzi per arrivarci, non c’era la scuola né i servizi
fondamentali, e diecimila persone deportate nel pieno della campagna romana,
lontani da tutto, che cercavano di abitarlo. L’articolo si chiamava Corviale la plus longue erreur du monde
e finiva con le parole di un abitante che stava costruendo una fioriera di
fronte ad uno degli scaloni d’ingresso: “signori architetti non rifate mai più
un errore simile. Non rifate più questo errore”. Avevo ventitré anni, ero uno
studente di architettura e i nostri professori, seppure le megastrutture non
andassero più di moda, ci insegnavano a rimanere nell’ambito disciplinare, tra
i tavoli da disegno, lontani dalla città e dalle persone. Nel rileggere oggi
quell’articolo lo trovo pieno di stereotipi e di parole che oggi non userei
più, ma c’è una posizione critica molto chiara: “Non si può ridurre la città
all’architettura e l’architettura ad opera d’arte riempita di appartamenti (…)
L’architettura non deve giocare con la vita della povera gente e sottometterla
ad esperimenti”. Arte, architettura e sperimentazione sociale erano termini che
andavano radicalmente rivisti.
Immaginare
Corviale. Nel 2004 ci sono tornato con Stalker/Osservatorio Nomade e
non mi ponevo più il problema se Corviale fosse o no un errore, semplicemente
era lì e bisognava fare i conti con quello che c’era. L’intenzione era di
esplorarlo e perlustrarlo, sgomberi da pregiudizi e dalle posizioni già
maturate dal dibattito accademico. Era abitato da ormai venti anni e noi come
artisti eravamo chiamati dalla Fondazione Olivetti a Immaginare Corviale.[4]
Osservatorio Nomade era una rete di artisti e ricercatori che Lorenzo Romito
aveva costruito intorno a Stalker nel 2002 e quello di Corviale è stato quindi
uno dei primi progetti di ON. In una mappa degli attori coinvolti si comprende
la strategia del progetto e i ruoli di partecipanti, committenti, abitanti,
artisti e architetti. È un diagramma con tre grandi insiemi: ON/Field,
ossia i progetti artistici operanti nel campo; ON/UniverCity, i workshop
condotti da gruppi di giovani architetti con tantissimi studenti; ON/Network,
la nostra televisione, i flyer e i giornalini che aggiornavano Corviale e la
città su quello che andavamo facendo. Tutto questo è stato raccontato in diverse
occasioni[5].
Ma ci sono alcune azioni che mi sembra importante riprendere come modalità di
intervento artistico e urbanistico decisamente attuali e che si potrebbero
impiegare anche in altri luoghi.
Abitare temporaneamente come artisti. Con il progetto
“Storie Comuni”, gli artisti Matteo Fraterno e Cesare Pietroiusti erano
riusciti a convincere Loredana, una signora rimasta sola in un grande
appartamento al nono piano del Terzo Lotto, ad ospitarci e trasformare casa sua
nel nostro quartier generale. Qui abbiamo invitato a cenare insieme a Loredana
e alle sue amiche, alcuni personaggi che avevano partecipato alla nascita di
Corviale come Renato Nicolini, Achille Bonito Oliva e Stefano Fiorentino figlio
di Mario, l’architetto del Serpentone. Avere una base dentro l’edificio ci
permetteva di andare in giro non come visitatori ma come “ospiti di Loredana”.
E questo cambiava tutto.
La televisione come architettura immateriale. Nel
frattempo a Corviale la città era arrivata, c’erano l’ambulatorio, il centro anziani,
la palestra, le scuole, gli autobus, la chiesa, la biblioteca, il bar, il
laboratorio territoriale del Comune ed erano nate diverse associazioni e
comitati. Ma gli abitanti si vergognavano di dire che abitavano a Corviale.
Seppure fosse diventato un quartiere normale, con gli stessi problemi di tutte
le periferie romane, Corviale per la città era ancora un mostro. La sua
immagine, così riconoscibile e così stereotipata, veniva usata come scenografia
di famose trasmissioni televisive, e i telegiornali nazionali la mostravano per
ogni fatto di cronaca di una qualsivoglia periferia italiana. Anche se nel
frattempo Corviale non era più quello che era stato negli anni Ottanta, i media
su quell’immagine obsoleta avevano costruito un immaginario di violenza, droga
e disagio sociale. Avevano costruito la maschera del mostro ed era quindi con i
media che bisognava togliergliela. È da questo ragionamento che è nata la
televisione di quartiere Corviale Network. La redazione era formata da
artisti di ON e da abitanti di Corviale scelti con degli esilaranti provini
filmati dentro gli ascensori. Tra i suoi programmi c’erano ricette di cucina
girate negli appartamenti, inchieste sugli appalti della manutenzione degli
ascensori, interviste al postino, agli agricoltori degli orti urbani, agli
abitanti del quarto piano occupato e poi servizi sulle azioni di ON, come i
workshop, i laboratori condominiali, i laboratori sonori. Corviale Network è
stata capace di raccontare in tutto il territorio romano una inedita immagine
di Corviale. I media possono trasformare la realtà più profondamente
dell’architettura.
Imparare da Corviale. Corviale UniverCity era la
modalità di formazione messa in campo per studiare e indagare la realtà fisica
dell’edificio, per raccontarla e per fornire proposte, visioni e progetti
aperti alla condivisione con gli abitanti. Ha funzionato attraverso diversi
workshop dove l’insegnante principale era Corviale stesso. L’Università nella
città è stata uno strumento d’indagine ravvicinata e molteplice che, attraverso
l’esplorazione continua e un continuo scambio di informazioni, ha permesso al
sapere di ramificarsi e di divenire patrimonio comune per docenti, studenti e
per gli abitanti. Qui sono confluite le conoscenze di tutti quanti hanno
indagato la quotidianità dell’edificio, ognuno con le proprie forme e con il
proprio approccio. Tra i workshop, quello sulle microtrasformazioni era stato
affidato a giovani studi di architettura e a ognuno di loro era stato affidato
un tema: al gruppo M28 i ballatoi, le appropriazioni abusive e gli spazi di relazione;
al gruppo ma0 il piano terra, il rapporto con la strada e le chiostrine
interne; a Nicole_fvr/2A+P la striscia di orti urbani della valle parallela
all’edificio, e infine a Stalker e al gruppo Ellelab il piano occupato.
Piano Libero. Il
workshop di Stalker e Ellelab si chiamava Stile Libero e affrontava il
famigerato quarto piano che
attraversa tutto l’edificio laddove il progetto prevedeva lecorbuserianamente i
negozi, gli spazi comuni e gli studi professionali. Se nell’immaginario
cittadino Corviale era il Bronx di Roma, il quarto piano era il Bronx del
Bronx. L’ATER, proprietaria dell’immobile non ci aveva mai messo piede e non
aveva la minima idea di chi ci abitava, per loro erano baraccati che scroccavano
luce, riscaldamento e acqua agli assegnatari. Da fuori il Piano Libero si
presenta con blocchetti di cemento non intonacati, lamiere metalliche, finestre
di alluminio: una favela lineare che taglia orizzontalmente il blocco di
cemento. Ma quando gli studenti hanno suonato alla porta e sono stati invitati
ad entrare, si sono ritrovati prima in grandi spazi comuni con televisioni,
sofà e tavoli da pingpong gestiti da vicinati solidali, e poi una volta dentro
le case, ai loro occhi sono apparsi soggiorni accoglienti, cucine e bagni su
cui si erano investiti ingenti somme, stanze da letto curate in ogni dettaglio.
Molti degli occupanti erano figli degli assegnatari che, messa su famiglia,
avevano deciso di trasferirsi in quei negozi che non avevamo mai aperto, altri
avevano comprato la casa a occupanti precedenti, altri ancora affittavano ai
mafiosi di turno. Tutti, o quasi tutti, avevano dato vita ad un abitare
dignitoso che fuori non appariva assolutamente. E il loro desiderio era di
mettersi in regola, di avere finalmente una casa. Il workshop ha avviato un percorso
di progettazione partecipata con il Laboratorio Territoriale, che ha prodotto
il Comitato degli Abitanti Quarto Piano e l’inserimento del Piano Libero nel
Contratto di Quartiere Corviale.
Contratto di Quartiere. Nel
2006 ho continuato a lavorare sul Piano Libero di Corviale come ricercatore
universitario. Corviale rientrava infatti tra i Contratti di Quartiere su cui
l’Ater aveva coinvolto
il Dipartimento di Studi Urbani di Roma Tre, e a me era stato chiesto di
coordinare un gruppo di progettazione in continuità con le ricerche svolte da
Stalker e da Ellelab. Il
progetto preliminare redatto da Ater, Comune di Roma e Municipio Roma XV aveva
infatti tra le finalità quella di recuperare i vani del Piano Libero per la “realizzazione
di alloggi di varia tipologia, destinati a categorie
speciali, ovvero assegnati a coloro che ne hanno il titolo tra gli attuali
occupanti”. [6]
Dovevamo descriverne il Programma di Sperimentazione, e abbiamo lavorato sull’estendere
il più possibile il significato di questa parola. Corviale infatti è stata e
continua ad essere una delle più importanti sperimentazioni sull’abitare e redigere un progetto sperimentale per il Piano Libero
significava per noi restituire dignità agli abitanti sperimentatori,
trasformare l’edificio imparando da chi già lo aveva sperimentato. Corviale
era stato progettato per degli “utenti” che ormai erano diventati “persone”,
con un nome, un cognome, una storia e uno stile di vita. La sperimentazione non
poteva avvenire che a partire dai padroni di casa, da chi vi aveva cresciuto
una famiglia, dai luoghi affettivi, dalle loro relazioni, dai loro modi di
abitare, di ripararsi dal freddo, dal sole, dal vento. Il Piano Libero era il
luogo da cui cominciare per dare una nuova prospettiva all’intero quartiere,
l’immaginario negativo da trasformare in una realtà positiva, in cui dare
risposte alle necessità degli abitanti ritagliando il progetto come un vestito
da cucire sui nuclei familiari. Bisognava avviare una progettazione sostenibile
con un approccio ecosistemico fondato su risparmio energetico e sulla
partecipazione, nel rispetto dell’architettura del progetto originario. Con gli
abitanti abbiamo criticato il progetto preliminare redatto dall’Ater, abbiamo
modificato i tagli e il numero degli alloggi per far spazio alle famiglie
mononucleari e alle giovani coppie, abbiamo proposto di mantenere gli spazi
comuni interfamiliari e i legami di vicinato preesistenti. L’Ater aveva inizialmente
proposto di spostare gli abitanti durante i lavori in un villaggio di container
ai piedi di Corviale, e gli abitanti si erano rifiutati categoricamente di
andarci. Con il Comitato si è così proposto un progetto di turnazione,
dividendo il cantiere in fasi e trovando gli spazi all’interno dell’edificio.
Sulla base del nostro progetto di Sperimentazione l’Ater ha redatto il Progetto
Definitivo per il Piano Libero e la documentazione del bando di gara per il
progetto esecutivo vinto nel dall’architetto Guendalina Salimei.
Gulliver, il Gigante Buono.
Nel 2015 l’Ater bandisce il Concorso Rigenerare Corviale. Con Stalker, ma0,
LAC, ati-suffix e ARCò, presentiamo il progetto 1Km.0 / Corviale Social
Brand. L’obiettivo è ancora ribaltare il marchio negativo in brand socioculturale
attraverso la metafora di Gulliver: i Lilipuziani-abitanti dopo aver legato il
mostro, terrorizzati dalla sua mole, imparano a scoprirne le qualità,
comprendono che non solo non è cattivo ma anzi che, se liberato, può dar loro una
mano proprio a partire dalla sua visibilità. Il suo stesso brand può attirare
interesse, competenze e risorse per rigenerarsi. Il bando chiedeva idee sulla
verticalizzazione, la divisione dei cinque lotti in ventisette condomini
autonomi, sul piano terra e la relazione con la strada. Abbiamo immaginato otto
start-up per attivare tutte le risorse disponibili a Chilometro Zero:
cooperative di operai edili, coltivatori, albergatori, car sharing, residenze
di artisti e studenti e centri di ricerca e formazione. Il gruppo
interdisciplinare si sarebbe trasferito a Corviale per tutta la durata dei
lavori per coordinare gli interventi, e per dare avvio ad una serie di azioni
artistiche e conviviali che avrebbero innescato le trasformazioni edilizie e
sociali: La Prima Cena lunga un chilometro, da cui sarebbe emersa una
geografia dei potenziali condomini più fertili dove iniziare il cantiere; Misurarsi
con Corviale, una lotteria sull’effettiva misura del serpentone che avrebbe
permesso di misurare le relazioni, le esperienze, le competenze, i desideri, le
attitudini dei Lilipuziani più attivi. Il nostro progetto ha ricevuto una
menzione e il progetto vincitore è stato quello di Laura Peretti[7].
Laboratorio di Città Corviale.
Nel dicembre 2017, la Regione Lazio e il Dipartimento di Architettura di Roma
Tre siglano un protocollo d'intesa per l’attivazione di un Laboratorio di Città
a Corviale. Il Prof. Giovanni Caudo mi invita come co-responsabile scientifico
del progetto insieme alle architette Sara Braschi, Sofia Sebastianelli.
Proponiamo di aprire un presidio negli spazi messi a disposizione dall’Ater, dove
attivare azioni di accompagnamento sociale e culturale per i due interventi di
trasformazione urbana: il Chilometro Verde dell'architetta Guendalina
Salimei e il Crossing Corviale dell'architetta Laura Peretti. Il mandato
è di affiancare gli interventi urbanistici tradizionali con azioni di ricerca
innovative; di attivare politiche sociali per accompagnare i soggetti coinvolti;
tradurre gli interventi in politiche di sviluppo locale che coinvolgano le
realtà territoriali; informare, raccordare e coordinare le diverse
progettualità previste. Il tema più urgente è far partire il progetto del Piano
Libero. Nel frattempo il Comune, tramite un Bando Speciale aveva provveduto a
individuare le famiglie in possesso dei requisiti per l’assegnazione di una
casa pubblica[8]. E la legge
regionale sulla Rigenerazione Urbana prevedeva di spostare gli occupanti in
appartamenti di proprietà dell’Ater, senza assegnare l’alloggio, ma
concedendolo in custodia temporanea per la durata dei lavori.[9]
Gli occupanti da trasferire sono stati classificati in due categorie: gli “aventi
titolo”, che sono i vincitori del Bando Speciale e hanno diritto ad un nuovo
alloggio realizzato al quarto piano, ma anche quelli che hanno avuto parere
positivo alla domanda di sanatoria; i “non aventi titolo”, ossia quelli che non
hanno vinto il Bando Speciale o non vi hanno partecipato, e quelli che hanno
avuto parere negativo dalla sanatoria. In ultimo ci sono anche famiglie che
sono in attesa di valutazione per la sanatoria.
Come e dove cominciare. Le
prime difficoltà sono con le istituzioni. Nelle prime riunioni con Ater,
Regione Lazio, Comune di Roma, Municipio XI, Vigili Urbani e Prefettura, sembra
che il progetto non si possa fare se non attraverso un ingente dispiegamento di
forze dell’ordine. Li convinciamo che la regolarizzazione di tutti gli abitanti
è già un ottimo argomento per chiedere di spostarsi da un vecchio alloggio
abusivo ad uno nuovo legale. Dopo tre anni, possiamo dire che fino ad oggi non
sono mai dovute intervenire le forze dell’ordine. Il secondo passo è quello di
convincere l’Ater a modificare il progetto di turnazione e cominciare dal Primo
Lotto, dove è presente anche il Centro di Preghiera, invece che dal Terzo
Lotto, dove nel frattempo sono entrati nuclei senza requisiti. Era importante cominciare
in discesa, in una parte dell’edificio dove le resistenze erano minori e dove
Don Gabriele conosceva le famiglie, le fragilità e anche i loro desideri. Il
terzo atto è stato aprire il Laboratorio di Città per dare un segnale di
cambiamento e avviare l’accompagnamento sociale. Il 20 Agosto 2018 apriamo una
saracinesca nella piazzetta dove sono già presenti realtà associative di arte e
artigianato, si fa una grigliata serale per cominciare a conoscerci tra vicini
di casa. Emerge la volontà di regolare non solo le case ma anche gli spazi
commerciali attualmente occupati. Appare chiaro che non ci si può limitare al Piano
Libero, bisogna approfittare del momento per affrontare tutti i problemi
insieme e non separatamente seguendo le logiche dei finanziamenti. Si apre il
Tavolo di Lavoro Locale a cui partecipano numerosissime associazioni e comitati
di quartiere. Ci sono dissidi tra forze politiche che vorrebbero l’esclusione
di alcuni, ma questo si trasforma per noi in un’occasione di ribadire una volta
per tutte che l’Università è un soggetto terzo che ha il dovere di invitare e
interloquire con tutti aldilà degli schieramenti.[10]
Purtroppo alcune associazioni oggi non partecipano al progetto.
Accompagnamento Sociale.
Aperto il Laboratorio, prima di incontrare le famiglie da spostare, definiamo
con Ater le informazioni sicure da trasmettere, ossia una sorta di contratto
tra le parti.[11] In
seguito consegniamo a mano una lettera a firma del Direttore Generale dell’Ater:
questo è il primo vero incontro con gli occupanti e il sentimento comune che
emerge è quello di non voler andare via, perché anche lo spostamento
all'interno di Corviale è percepito come un problema. Si decide che si potranno
visitare i futuri alloggi alcuni giorni prima per evitarne l’occupazione. Il
Laboratorio è l'anello di comunicazione tra l'Ater e le famiglie in un luogo dove
possono ricevere informazioni certe e presentare le proprie richieste. Gli
inquilini vengono a vedere le planimetrie degli alloggi e trovano insieme al
Laboratorio soluzioni per collocare i propri mobili nelle nuove case. In
seguito si organizzano insieme ad Ater i sopralluoghi e inizia la fase dei
traslochi con impacchettamento, smontaggio mobili, rimontaggio e trasferimento. Un documentario realizzato insieme alla
regista Silvia Bellotti racconta le attività di questa fase.[12]
Una volta rodato il meccanismo di trasferimento suggeriamo all’Ater di
estendere il processo di rigenerazione anche alle altre zone “informali” del
quartiere che attendono da anni di mettersi in regola e di utilizzare alcuni
strumenti come il regolamento per l’uso degli alloggi e dei servizi e quello
per interventi in autorecupero che l’Ater offre ai suoi assegnatari. Le prime
due proposte sono la piazzetta degli artigiani e le torrette. La piazzetta
era uno spazio commerciale abbandonato e riattivato da attività legate alla
creatività - artigianato artistico, restauro di mobili, sartoria creativa,
stampa d’arte, disegno, pittura e incisione, un progetto di reinserimento lavorativo
che coinvolge giovani e detenuti – che svolgono un importante ruolo di
presidio: è grazie a loro che lo spazio pubblico è curato, manutenuto e animato
da diverse attività culturali. È lì che il Laboratorio ha aperto la sua
saracinesca. Le “torrette” sono invece quattro piccoli volumi alle spalle
dell’edificio in corrispondenza delle scale monumentali. Dovevano ospitare le
residenze per artisti e sono state trasformate in abitazioni informali. Gli
abitanti chiedono giustamente di essere inclusi nel progetto del Piano Libero.[13]
Accompagnamento artistico. Da
subito ci era sembrato fondamentale attivare un processo artistico capace di
conservare le memorie del quarto piano occupato, non solo come testimonianza ma
anche come risarcimento psicologico ed elaborazione dell’allontanamento dal
proprio ambiente domestico e dell’inevitabile cambiamento della condizione di
vita. Il rapporto di fiducia instaurato ci ha consentito di entrare nelle case
e nelle storie delle persone, di fotografare e rilevare gli appartamenti.
L’intenzione è di generare processi di co-ideazione di visioni sul futuro, a
partire dalla memoria individuale e collettiva, esplicitata al di là della
nostalgia. Si tratta quindi anche di un riconoscimento pubblico alla capacità
di produrre soluzioni autonome al proprio bisogno abitativo, attraverso una
narrazione alternativa ai discorsi criminalizzanti o vittimizzanti sugli
occupanti, attualmente prevalenti nella sfera pubblica. Una prima mostra del
materiale raccolto è stata allestita in una sala condominiale, che essendo
stata appena liberata ma ancora non restituita alla sua forma originaria,
permette di fare esperienza al contempo degli alloggi autocostruiti e dello
spazio comune previsto dal progetto originario. Le foto esposte alla mostra
sono di case molto curate, in cui si sono spesi dei soldi per fare i bagni, le
cucine, le partizioni interne[14].
Case in cui si sono incrostati i ricordi, i disegni sui muri dei bambini che ormai
sono cresciuti e andati via di casa. Case che il tempo ha permesso di
personalizzare. A volte piange il cuore vederle demolire per far posto ad
alloggi nuovi e impersonali. Forse un altro tipo di processo sarebbe possibile
attraverso un progetto più complesso in grado di affrontare la realtà caso per
caso e di lasciare alle famiglie che lo desiderano di lavorare in autorecupero,
qualora gli alloggi siano conformi alle normative. Questo farebbe risparmiare
di molto il costo generale ed eviterebbe alle famiglie il trauma del trasloco. In
questa direzione il Laboratorio ha recentemente supportato la prima famiglia
che è ricorsa alla procedura dell’intervento in autorecupero aprendo una strada
che per il quartiere e la sua generale rigenerazione può essere virtuosa. [15]
[1] Il
Laboratorio di Città Corviale è un progetto del Dipartimento di Architettura dell’Università
Roma Tre (Prof. Giovanni Caudo e Francesco Careri, Arch. Phd Sara Braschi,
Sofia Sebastianelli, Maria Rocco) finanziato dalla Regione Lazio - Dipartimento
delle Politiche Sociali (Dott. Antonio Mazzarotto e Dott. Tonino Sammarone) con
la consulenza di Avanzi-Sostenibilità per Azioni (Arch. Claudio Calvaresi e
Sara Lexuan). Cfr: https://laboratoriocorviale.it/.
[2] Il
patrimonio di case popolari ammonta circa 73.000 unità, divise fra quello del
Comune (23.000 unità) e quello dell’Ater (48.000 unità). I nuclei che ricorrono
ai bandi per l’edilizia pubblica superano i 13.000; ci sono poi 1.200 famiglie
nei residence gestiti dal Comune e 15.000 persone che ricorrono al
contributo all’affitto (nel 2020 a causa del Covid sono state 50.000). C’è un rapporto
di uno a uno fra chi fa domanda e chi, seppure in possesso dei requisiti, non
partecipa ai bandi, portando a un totale di circa 25.000 famiglie che avrebbero
diritto a una casa a canone sociale. A questo si aggiungono 9.000 sfratti ogni
anno, di cui la metà diventa esecutiva; se infatti circa la metà si risolve con
una rinegoziazione del canone, molte famiglie finiscono in sovraffollamento, e
gli altri finiscono in emergenza abitativa. L’insieme dei dati porta ad un
saldo annuale di circa 2.500 famiglie che perdono la casa con sgombero forzoso,
mentre l’assegnazione media annua di alloggi popolari ammonta a 500 unità:
l’emergenza abitativa cresce ogni anno di circa 2.000 nuclei familiari su
numeri già decisamente elevati. (fonte:
osservaoriocasaroma.com)
[3] Francesco Careri e Didier Laroque, Problèmes de la grande dimension: Corviale,
la plus longue erreur du monde, "l'Architecture d'Aujourd’hui" n°
273/1991, pp. 105-110.
[4] Immaginare
Corviale è un progetto di Stalker/Osservatorio Nomade, curato dalla
Fondazione Adriano Olivetti per il Comune di Roma - Assessorato alle Politiche
per le Periferie, per lo Sviluppo Locale, per il Lavoro; Dipartimento XIX -
Politiche per lo Sviluppo e il Recupero delle Periferie; in collaborazione con
il Laboratorio Territoriale Corviale Roma Ovest.
[5] Il
progetto è stato pubblicato in: Bartolomeo Pietromarchi e Flaminia Gennari (a
cura di), Osservatorio Nomade. Immaginare
Corviale. Pratiche estetiche per la città contemporanea, Bruno Mondadori,
Milano 2006, e in numerose riviste tra le quali “Lotus International” n°124, “a+u”
n°420 e “Domus” n°886. I materiali sono stati esposti in mostre internazionali
tra le quali la Prima Biennale di Architettura di Pechino nel 2004, la mostra The Naked City ad Orleans per Archilab
2004, la mostra DynamiCity al NAI di Rotterdam nel 2005, la mostra Spam
Arq al MAC di Santiago del Cile nel 2006 e alla mostra Non basta
ricordare al MAXXI di Roma nel 2013.
[6] Il Contratto
di Quartiere II aveva tra gli obiettivi la ristrutturazione edilizia con cambio
di destinazione d'uso dei locali del 3°, 4° e 5° piano di Corviale (legge 8
febbraio 2001, n. 21 art. 4 co. 1 e delibera Giunta Regionale n. 922/2003). Il
Programma di Sperimentazione (bando di gara art. 4.2) era diretto alle utenze
sociali deboli: gli occupanti, gli anziani, i portatori di handicap. Il gruppo
di lavoro del Dipartimento di Studi Urbani era formato da Pietro Ranucci
(responsabile scientifico), Francesco Careri (coordinatore) e le architette Sara
Braschi, Maria Teresa Bruca e Cristina Ventura.
[7] La
Regione Lazio nel 2015 ha stanziato 9,5 milioni di euro per la realizzazione
del progetto vincitore.
[8] Il
progetto prevede la realizzazione di 103 alloggi laddove oggi vivono 135
famiglie. Il Dipartimento Politiche Abitative del Comune di Roma, a seguito del
Bando Speciale del 2016 riservato ai residenti del Piano Libero, ha approvato
l'elenco dei nuclei ammessi all'assegnazione (su 135 famiglie, 73 domande
pervenute di cui 47 ammesse e 26 non accolte). È inoltre ancora in vigore la
sanatoria approvata dalla Regione Lazio con la legge 27/2006.
[9] La Legge
Regionale sulla Rigenerazione Urbana (9/2017, nell’art. 17 co. 66 lettera b,
tradotta nella
DD. Ater n. 250 /2018) prevede, per l'avvio del
cantiere, lo spostamento in alloggi temporanei.
[10] Tra
questi: Calcio Sociale, Associazione Axe People, Stamperia del
Tevere-Laborintus, Banca del Tempo Corviale, Piacca, Centro di Preghiera
Corviale, Comitato CAPIC, Associazione Comunità X, Sportello Popolare, Corviale
Domani, Consiglio Nazionale Feder Casa / Centro Anziani, Mitreo Iside, Parrocchia
San Paolo della Croce, Acquarius85, Centro di Formazione Professionale, Amici
di Corviale, Biblioteca di Roma Renato Nicolini, Comitato Inquilini Corviale,
Centro Orientamento Lavoro, ASD Arvalia Villa Pamphili Rugby Roma, Giardini in festa.
[11] Di
seguito le domande e le risposte ufficiali: 1) a che titolo sono assegnati gli
alloggi temporanei recuperati dall'Ater? Risposta: i vincitori di bando firmano
un regolare contratto di assegnazione dell'alloggio e a lavori ultimati
rientreranno nel nuovo alloggio realizzato al quarto piano; tutti gli altri
firmano un verbale di consegna dell'alloggio temporaneo per l'intera durata del
cantiere e tramite una comunicazione ai municipi potranno prendere la residenza
e avere gli allacci delle utenze. 2) quale sarà il canone di locazione? il
canone è stato calcolato in base al reddito irpef a seguito delle verifiche
reddituali effettuate dagli uffici Ater. 3) a quanto ammonterà l'indennizzo di
occupazione pregressa? si potrà rateizzare? l'indennizzo di occupazione è stato
calcolato a partire dal 2005 anno per anno in base al reddito del nucleo,
l'indennità è stata rateizzata in 120 rate mensili e il 5% del totale dovrà
essere versato subito. 4) si potranno vedere gli alloggi temporanei prima
dell'inizio dei lavori? Ater ha deciso di far vedere gli alloggi solo qualche
giorno prima del trasloco, per evitare che questi venissero occupati. 5) quale
sarà la data di inizio lavori? (La data effettiva è cambiata più volte e questa
incertezza ha generato confusione e creato sfiducia sull'intera operazione) I
lavori sono finalmente cominciati il 17 gennaio. 6) quale sarà la tempistica
degli spostamenti? La tempistica è stata comunicata alle famiglie all'inizio di
dicembre. I sopralluoghi partiti il 17 dicembre e i traslochi sono cominciati
il 3 gennaio. Chi pagherà gli allacci delle utenze negli alloggi temporanei?
Gli allacci sono a carico degli inquilini. Ater ha inviato tramite pec ad Acea
l'elenco delle famiglie e i nuovi indirizzi per facilitare le operazioni.
[12] Il documentario Laboratorio
di Città / FASE ZERO è visibile su https://youtu.be/DtchOo519lI.
[13] Le torrette
sono state oggetto di una Tesi di Laurea del Dipartimento di Architettura delle
studentesse Fabiana Rasile ed Elena Monaco che prevede la loro trasformazione
in residenze universitarie.
[14] Il
progetto è in collaborazione con l’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la
Documentazione) insieme al quale si vuole avviare il progetto “Archivio
Corviale”, una campagna fotografica ad opera di giovani fotografi, e la
raccolta e la digitalizzazione di fotografie di famiglia.
[15] La Mostra
delle Memorie si è svolta all’interno della nona edizione del Corviale
Urban Lab nel quadro di romarama 2020/2023. Il Laboratorio ha realizzato tre
progetti: il reading Le Parole di Rodari con Anna Foglietta e Edoardo
Camurri; il Laboratorio didattico Playground nella piazzetta delle Arti
a cura di Comunità X e Stamperie del Tevere. Alla Mostra delle Memorie hanno
partecipato i fotografi Aldo Feroce, Alessandro Imbriaco, Mykolas Juodele,
Giovanni Stalloni.
CORVIALE
Anno di progetto: 1972
Anno di costruzione: 1975 - 1984
Progettista:
Mario Fiorentino (coordinatore), Federico Gorio, Piero Maria Lugli,
Giulio Sterbini, Michele Valori, Riccardo Morandi (strutture).
Intervento: Laboratorio di Città Corviale
Anno di progetto: dal 2017, in corso
Anno di realizzazione: dal 2018, in corso
Contesto: Roma
Gruppo di progetto: Il Laboratorio di Città Corviale è
un progetto del Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre (Responsabili
Prof. Arch. Giovanni Caudo e Prof. Arch. Francesco Careri, Arch. Phd Sara
Braschi, Sofia Sebastianelli, Maria Rocco) finanziato dalla Regione Lazio -
Dipartimento delle Politiche Sociali (Dott. Antonio Mazzarotto e Dott. Tonino
Sammarone) con la consulenza di Avanzi-Sostenibilità per Azioni (Arch. Claudio
Calvaresi e Sara Lexuan).
Titolo
Modello Corviale. Azioni e programmi tra arti,
architettura e urbanistica.
Di Francesco Careri
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