Articolo pubblicato in: Laboratorio CIRCO (eds), CIRCO. Un immaginario di città ospitale, Bordeaux Edizioni, Roma 2021, pp. 21-32
Tutti gli anni, verso il mese di marzo,
una famiglia di zingari cenciosi piantava la
tenda vicino al villaggio,
e con grande frastuono di zufoli e tamburi
faceva conoscere le nuove invenzioni.
Prima portarono la calamita. Uno zingaro
corpulento, con barba arruffata e mani di passero,
che si presentò col nome di Melquíades, diede
una truculenta manifestazione pubblica
di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia.(Gabriel Garcìa Màrquez, Cent’anni di solitudine, 1969)
Domanda: Ci piacerebbe ricostruire la genealogia del progetto CIRCO come l’ultima tappa di un percorso più lungo alla ricerca di uno spazio di relazione con l’alterità, tra l’andare e lo stare, tra nomadismo e sedentarietà. Se tu dovessi trovare un inizio da dove cominceresti?
Risposta: Sì, è un percorso lungo e collettivo che ho
condiviso con moltissime persone e nel corso di questo scritto vorrei cercare
di ricordarle tutte. Se devo trovare un principio è senza dubbio all’inizio di
New Babylon, e la prima immagine che mi viene in mente è la scultura che stava
nello studio di Constant ad Amsterdam quando sono andato a trovarlo nel marzo
del 2000: Ruimtercircus,
ossia Circo Spaziale, realizzata nei
giorni in cui si fondava l’Internazionale Situazionista. Da quella scultura
nascerà Ontwerp voor Zigeunerkamp[1][2],
il Progetto per il Campo degli Zingari di Alba. È l’inizio di New Babylon, la
prima utopia nomade della storia dell’architettura. La Babele orizzontale e
planetaria che vive attraversando un mondo libero dalla schiavitù del lavoro.
New Babylon nasce come omaggio al circo, al simbolo del movimento perenne che
trova ospitalità tra gli scarti urbani e nei piazzali polverosi dove finisce la
città. È lo spazio del Sahel, quella fascia ibrida tra i nomadi del deserto e
le prime case dei sedentari. Lo spazio dove avviene lo scambio e ci si
riconosce reciprocamente. Lì dove i nomadi piantano le loro tende e mostrano la
loro architettura, l’altro modo di abitare il mondo. Il circo è tenda nomade
che si fa monumento, è la colorata gonna gitana che si fa spazio e che si
mostra fiera della propria alterità, come lo sguardo di sfida di una zingara.
Ecco che mi viene in mente una seconda immagine: La Toile de la Folie, un grande tendone-cinema che, con Serena
Olcuire e tanti altri abbiamo realizzato in una bidonville di Parigi, cucendo
teli, lenzuola e vestiti insieme alla comunità rom di Ris-Orangis e Grigny.[3]
D: L’immagine è efficace ma ancora non capisco. Mi sembra
una visione romantica e nostalgica di un mondo ormai andato o comunque
marginale. Che cosa c’è di attuale nel circo? Perché pensate che le nostre
città ne abbiano bisogno? Perché è addirittura Irrinunciabile?
R: Il circo è il nomade socialmente accettabile e nel clima
xenofobo di oggi rievocare la sua immagine è molto utile a una diversa
narrazione dei tanti altri da sempre
presenti tra le nostre culture. Il circo è desiderabile, è il diverso tra noi
che ci è familiare e di cui possiamo avere non troppa paura; ci tiene in
tensione, con il fiato sospeso, ma è un rischio che possiamo correre. È senza
regole, provoca le nostre certezze, ne sentiamo un’arcaica necessità. È
irrinunciabile, indomabile, irriducibile, è proprio la contraddizione di cui
sentiamo bisogno: un luogo capace di perpetuare la sua alterità mantenendo la
tensione alta, senza sfociare nel conflitto. Se omologato alla città perderebbe
le sue energie rigeneratrici, la sua carica
di provocazione, di stimolo, di innovazione. Deve essere garantita la
sua natura di spazio in divenire, di sperimentazione continua che invece di
subire regole è capace di proporre nuove regole per tutti. Il circo è
un’eterotopia, un’utopia concreta dove realtà e rappresentazione si confondono,
tra surrealismo e neorealismo. Una cruda realtà che si offre sotto forma di
spettacolo. Un mondo inclusivo dove anche lo zingaro, il nano, la donna
cannone, il folle, trovano spazio mettendo in comune le proprie incredibili capacità.
Il circo stabilisce una relazione di reciprocità presso il contesto in cui si
insedia, è un parassita, una “forma
di vita che si posiziona presso l’alimento o la fonte di sostentamento (…) o
che partecipa a un banchetto senza avere un ruolo definito, senza averlo
organizzato e senza avere meriti particolari per essere invitato, ma allieta
gli invitati con giochi e scherzi[4].”
D: Banchetto, reciprocità, scambio con chi non è stato
invitato… forse comincio a capire che la natura della vostra proposta sia
proprio qui, nella lettera O dell’acronimo, l’Ospitalità.
R: La terza immagine a questo punto è il Pranzo Boario, il banchetto
interculturale organizzato da Stalker
nel 1999, insieme alla comunità curda, ai Rom Calderasha e ai tanti
migranti che si erano fatti spazio nell’ex Mattatoio di Testaccio.[5]
Avevamo invitato tutti a cucinare i propri piatti e abbiamo disegnato un
cerchio con i tavoli. Quella prima azione conviviale ha significato un patto di
reciproco rispetto tra diversi, tutti stranieri tra loro, tutti illegali in
quel posto. Occupare Ararat insieme a curdi, rom, attivisti ed artisti, è stata
la prima creazione di uno spazio di relazione con l’alterità, un primo circo. E
infatti è la prima visita che facciamo ogni anno con gli studenti. Perchè
Ararat è ancora là, in venti anni ha offerto ospitalità a più di 25.000
persone. È oggi l’unico centro per rifugiati interamente autogestito e fuori
dal circuito dell’accoglienza istituzionale, e non è nelle periferie ultime
della città, ma dentro le mura aureliane.
D: Da come l’hai detto mi sembra che marcate una certa
differenza tra accoglienza e ospitalità e sento una malcelata critica al
sistema di accoglienza istituzionale.
R: Questo lo abbiamo messo a fuoco più recentemente con
Stalker e NoWorking - ci torneranno più
avanti Lorenzo Romito e Giulia Fiocca - a cominciare dal progetto Xeneide.[6] Il titolo
riprende la parola greca ξενία, il
dono che l’ospitante fa all’ospitato in base a quelle regole reciproche che
sono alla base dell’ospitalità. Mentre “accoglienza” è una parola
unidirezionale, che rimanda ai bisogni - a coperte, pasti caldi, assistenza
legale e sanitaria - ad accudire i corpi e non le persone, “ospitalità” si basa
invece su uno scambio reciproco, guarda all’ospite come portatore di cultura e
di risorse, un dono immateriale che verrà ricambiato. In tutte le culture
arcaiche l’ospitalità è un atto sacro. Si deve aprire a chi bussa alla tua
porta perché sotto le mentite spoglie del viandante potrebbe esserci un dio. E
chi non ospita lo straniero subirà la punizione divina. Dopo essersi riposato,
una volta sazio, l’ospite se ha piacere racconta di sé, da dove viene, delle terre
attraversate, delle genti conosciute, ci offre il dono di conoscere il mondo. E
quando l’ospite riparte, il suo ospite gli offre un dono che porterà con sé nel
prosieguo del viaggio, la xenìa di
un'amicizia che sarà per sempre, anche nelle future generazioni.
D: Il modello di ospitalità informale di Ararat, in cui
interagiscono attivisti, migranti ed artisti, mi fa venire in mente le attuali
occupazioni abitative romane, le esperienze di Metropoliz, Porto Fluviale e
Spin Time Lab. Siete in contatto?
R: Sì certamente, sono lo spazio più simile a quello che noi
chiamiamo CIRCO. Ci siamo approdati dopo aver lavorato con i Rom al Casilino
900 dove avevamo realizzato Savorengo
Ker-La casa di tutti, un cantiere di autocostruzione a reciproco
riconoscimento veramente incredibile, ma questa è una lunga storia.[7]
Durante l’attuazione del Piano Nomadi di Alemanno - ossia gli sgomberi e i
nuovi campi di concentramento, inseguito finiti nell’inchiesta Mafia Capitale -
abbiamo seguito una comunità Rom che, volendo intraprendere un cammino fuori
dall’apartheid, era approda all’occupazione di Metropoliz. Su invito di Leroy,
studente occupante che aveva deciso di svolgerci la sua tesi di laurea, abbiamo cominciato un lavoro sul campo da cui
sono nati il LAC - Laboratorio di Arti Civiche, e il progetto Pidgin City[8] :
raccontare quella città meticcia di arabi, italiani, latinoamericani ed
est-europei, che per comprendersi comincia a mescolare, come nella Torre di
Babele, le parole di tutte le lingue, e alla fine scopre un proprio linguaggio
fatto di errori, il pidgin appunto.
Metropoliz, ex-fabbrica occupata dai Blocchi Precari Metropolitani nel 2009, è
stata la prima occupazione ad includere anche i Rom nella babele dei migranti.
Grazie a questo primo passo, oggi ci sono Rom in diverse occupazioni e sono
considerati occupanti come tutti gli altri. Il mondo delle occupazioni è stato
l’unico a rompere l’apartheid. Questo abitare meticcio è stato raccontato nel
film Space Metropoliz, dove con Maria
Rocco e Leroy abbiamo costruito insieme agli abitanti un razzo per andare sulla
luna, ma anche questa è una lunga storia.[9] Con il LAC
abbiamo cominciato a lavorare anche al Porto Fluviale, una caserma occupata dal
Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa, trasformando il cortile attraverso
un immaginario omerico di barche volanti e altalenanti.[10] Di questo spazio scriveranno più avanti
Chiara Luchetti ed Enrico Perini, che con me e il Prof. Fabrizio Finucci vi
hanno svolto la loro tesi di laurea e che attualmente
lo abitano. Negli ultimi anni con Stalker abbiamo collaborato anche con
Spin Time Lab - ex sede di un ente pubblico occupata da Action - che ha spazi
comuni frequentatissimi come la taverna e l’auditorium, e ospita la redazione
della rivista Scomodo scritta da ragazzi ventenni[11]. Questi
esempi indicano alla città un chiaro progetto di rigenerazione urbana:
trasformare edifici abbandonati in condomini interculturali. Se non fossero
continuamente costretti a difendersi dai proprietari degli immobili, e fossero
lasciati liberi di evolversi nella legalità, non ci sarebbe bisogno del
progetto CIRCO.
D: Voi proponete quindi una forma istituzionale del modello
informale delle occupazioni abitative. E chi amministra questa città non
potrebbe mettere a disposizione uno spazio abbandonato in cui cominciare a
sperimentare CIRCO? L’amministrazione è al corrente di tutto questo?
R: Due anni fa c’è stata una giornata in cui amministratori,
occupanti, attivisti, artisti e intellettuali hanno fatto un lungo tour in
pullman per comprendere più da vicino il fenomeno.[12] Ci sono
diversi canali di comunicazione e in molti sono a conoscenza anche del nostro
progetto. Il vicesindaco Luca Bergamo ci ha fornito un’occasione ufficiale di
presentarlo alla Sindaca Virginia Raggi, c’è stato molto interesse finché si
parlava di cultura, ma quando è emerso il tema dei migranti abbiamo capito che
ci eravamo spinti troppo in là[13].
Tutte le amministrazioni, che siano di destra o di sinistra, si ostinano a
relegare il tema dell'ospitalità come una questione di ordine pubblico o di
servizi sociali, evitando accuratamente di affrontarla da altri punti di vista,
come quello dell'urbanistica o della cultura. A cinque anni dal grande esodo
del 2015, Roma è l’unica capitale europea a non aver ancora un piano ufficiale per
l’accoglienza migranti e continua ad essere una città dove ospitare è impedito
con tutti i mezzi. Nel giugno del 2018 abbiamo partecipato all’azione di
Noantri Cittadini Planetari che insieme a centinaia di ragazzi di Scomodo e di
tante realtà cittadine hanno occupato per un giorno Palazzo Nardini. Si tratta
di un palazzo trecentesco accanto a piazza Navona, sede del primo governo
papale e poi della famosa Casa del Governo Vecchio delle femministe negli anni
settanta. È chiuso da quarant’anni, volevamo denunciarne la svendita da parte
della Regione Lazio e portare l’attenzione cittadina sull’incredibile stato di
abbandono del patrimonio pubblico. È stata un’azione immaginifica, siamo
entrati con capre, oche e galline e invece di chiuderci dentro abbiamo aperto
il portone alla città, sono entrate centinaia di persone. Nel portico del
cortile un grande striscione: Roma Sogna. In seguito il TAR su denuncia della
Soprintendenza ha bloccato la vendita da parte dello Stato. Lo Stato si è
incartato da solo e ci vorranno decenni perché si riesca ad aprire quel
gioiello. No, la politica non intende realizzare i sogni planetari.
D: Abbandono del patrimonio pubblico. All’inizio parlavamo
dei vecchi circhi ai margini della città, poi di Ararat e dei movimenti che
aprono edifici dismessi. Allora mi chiedevo: voi dove immaginate i vostri
circhi? Ci sono ancora spazi vuoti in città? Non sarebbe meglio evitare di
consumare suolo e rigenerare la città esistente?
D: Assolutamente d’accordo. Roma è piena di rovine ovunque,
al centro ed in periferia, ed è sempre stato così. Roma è l’immagine
stereotipata e pittoresca di antiche
rovine e di genti diverse che vi
trovano riparo. E quella immagine è ancora lì: vite di scarto che abitano tra
gli scarti, indesiderati che ancora ricostruiscono la propria esistenza tra le
rovine. Sembra che siano sempre rimasti là come parte della fauna locale,
antichi e nuovi romani tutti da sempre stranieri. Nel 2016 con Stalker abbiamo
organizzato una lunga camminata Tra le
Rovine del Contemporaneo, tre giorni
di cammino per visitare le Mirabilia
Urbis, le opulente architetture delle archistar lasciate incompiute[14].
Quando abbiamo avviato il Laboratorio CIRCO, la prima urgenza è stato mappare
gli scarti. Più avanti Alberto Marzo
affronterà questo tema[15].
Alcuni si trovano in centro storico, altri nelle zone di margine, altri in
aperta campagna, alcuni intrappolati in cantieri perenni, altri ultimati ma poi
abbandonati, alcuni semplicemente sottoutilizzati, altri decisamente in rovina.
La proposta non è di demolirli e di ricostruirli, ma di attivare cantieri
sperimentali per recuperarli come luoghi ibridi, porosi, inclusivi, inediti.
Mettere insieme spazi abbandonati con chi ha bisogno di spazi, trasformare
entrambi i problemi in risorse reciproche.
D: Ok, mi si chiariscono le idee e quello che all’inizio
sembrava un’utopia situazionista trova diverse conferme nella realtà,
nell’esperienza cittadina e nelle risorse esistenti. Ma mi mancano ancora dei
punti, chi sono per voi gli abitanti di CIRCO, i nomadi urbani, gli abitanti
transitori della città? Vi rivolgete a chi oggi abita le rovine? Non c’è il
rischio di creare dei nuovi ghetti concentrando la povertà?
R: Nelle esperienze delle occupazioni abitative sono
presenti molte declinazioni della povertà urbana e di abitanti transitori e tra
loro hanno sviluppato interessanti forme di coabitazione e reciprocità.
Esattamente il contrario di quello che fa il sistema dell’accoglienza che
categorizza le persone secondo provenienza, diritti e genere e li spazializza
in differenti contenitori omogenei ed ermetici, disumani e infantilizzanti,
dove è vietato a cucinarsi da solo e avere un momento di intimità. A Roma
l’emergenza abitativa non riguarda solo migliaia di persone da anni in liste di
attesa per una “casa popolare”, ma anche di chi ha progetti di vita e desideri
diversi e che non è considerato da nessuna politica abitativa: rifugiati e
richiedenti asilo allontanati dal sistema di accoglienza istituzionale oggi in
via di smantellamento, quelli che hanno esaurito i termini temporali e non sono
riusciti a mettersi in regola, o i cosiddetti dublinati che l’Europa rimanda indietro a causa del trattato di
Dublino che obbliga di richiedere l’asilo nel paese dove sono sbarcati; poi c’è
l’universo dei migranti economici, quelli in transito che preferiscono non
essere registrati in Italia e cercano di raggiungere il nord Europa, e quelli
che hanno relazioni e lavoro in Italia ma sono costretti alla clandestinità
perché ai loro paesi non è riconosciuto l’asilo... Ma insieme a loro potrebbe
abitare una quantità di persone che hanno le stesse necessità di spazio e di
ospitalità e che sono un ottimo ingrediente per la mixitè sociale e culturale:
gli studenti fuorisede costretti ad affittare stanze ad altissimi prezzi di mercato
e vivere una vita da miseria; i cosiddetti “expat” e le loro necessità
abitative; i lavoratori stagionali che hanno bisogno di un tetto solo per
alcuni mesi all’anno o alcuni giorni a settimana; le mille forme di precariato,
che un po’ di lavoro ce l’hanno ma sono costretti a vivere nei dormitori
dell’hinterland; e poi tantissimi artisti, attivisti, figure del volontariato
sociale, fino a turisti interessati a fare una vacanza diversa abitando una
strana casa in cui potrebbero mettere a disposizione le proprie competenze.
Tutti questi hanno bisogno degli altri per avere un spazio anche per sé. Il
CIRCO è il contrario del ghetto e dell’accoglienza istituzionale dove se si
appartiene a una certa categoria, la vita diventa un numero in attesa, un corpo
da corpo da nutrire, impossibilitato a dare. Nel circo l’ospitalità avviene tra
persone capaci di scambiarsi doni, come nel mondo antico, senza chiedere
documenti. Perché nessuno è illegale.
Lista delle immagini
1) Constant, Ruimtercircus
(Circo Spaziale, 1956-1961 ) e Ontwerp
voor Zigeunerkamp (Progetto per un Campo di Zingari, 1957.
2) Stalker e Ararat, Pranzo Boario, 1999, tre foto di Romolo
Ottaviani.
3) Stalker e Casilino 900, Savorengo Ker- la casa di tutti,
2008, foto di Giorgio de Finis
4) Lac e Metropoliz, il razzo di Space Metropoliz, 2010,
foto di Luca Ventura
5) Lac e Porto Fluviale, barcalene, 2012.
6) Il circo a Spin Time Lab,
2018.
7) Noantri Cittadini Planetari, Palazzo Nardini, foto di
Tano d’Amico
[1] Cfr. Careri F. 2001, Constant / New Babylon. Una città Nomade, Testo & Immagine, Torino, p. 55: “Al suo ritorno da Alba Constant realizza il Ruimtercircus (Circo Spaziale, 1956 -1961), l'unica maquette presente ancora oggi nel suo atelier, quella che Constant considera la prima della serie di New Babylon. Il titolo denuncia l'impatto avuto con la cultura nomade. Il circo è una microsocietà ludica che si sposta sul territorio occupando di volta in volta gli spazi di scarto delle città sedentaria. È una città mobile che si installa sui terrain vague dell'urbanistica funzionalista mostrando un modo diverso di abitare il mondo.”
[2] ibidem: “ È pensato come la struttura di una gigantesca tenda
nomade. È uno spazio architettonico flessibile e continuamente trasformabile:
appoggiandosi sulle sue strutture metalliche si potranno montare e smontare i
vecchi teli di feltro come le moderne pareti mobili, all’interno di questa
grande nebulosa rotta si potranno costruire, disfare e poi ancora ricostruire
quegli ambienti transitori di un’antica civiltà che sa già di futuro.”
[3] La Toile
de la Folie è un progetto di Stalker e LAC realizzato nel 2014, su invito dell’Associazione PEROU e del Collective des
Ambassadeurs des Roms à la Folie de Grigny, da
Serena Olcuire, Florian Loesch, Camilla Martino e Giulia Panadisi. Cfr. https://jupechapiteau.wordpress.com/
[4] Definizione di Alessandra Lai. Cfr. Careri F., Lai A.
2020, “Roman lessons: what if informality was not a bug to be corrected but a
bacterium capable of reactivating a dormant urban metabolism?”, in Di Raimo A.,
Melis A., Lehmann S. (eds) Informality
Now. Informal settlements through the lens of sustainability, Routledge,
London
[5] Su Ararat e sull’esperienza di Stalker al Campo
Boario di Testaccio esiste un libro inedito di Stalker Osservatorio Nomade, Circles. Campo Boario 1999-2009,
interamente scaricabile su: (https://www.dropbox.com/s/uoe777ovcg9fmdg/librostalker%20campo%20boario.pdf?dl=0).
Su Pranzo Boario vedi il video di Aldo
Innocenzi: https://www.youtube.com/watch?v=L2v9H7SbbBs
[6] Xeneide – il
dono dell’Altro. Miti, Pratiche, poetiche dell’ospitalità è un progetto
cura di Stalker e NoWorking del 2017. Cfr. https://xeneideblog.wordpress.com/
[7] L’esperienza di Stalker con i Rom è
raccontata in forma di autodialogo in: Careri
F. e Romito L. 2017, Stalker/On. Campus
Rom, Altrimedia, Matera. Sulla realizzazione
della casa vedi il film C’era una volta Savorengo Ker, di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis:
https://vimeo.com/album/1540238
[8] Il LAC Laboratorio di Arti Civiche è un gruppo di
ricerca del Dipartimento di Studi Urbani dell’Università Roma TRE, attivo dal
2009 e da cui nel 2017 è nato il Laboratorio Circo.
[9] Sul lavoro del LAC a Metropoliz e Pidgin City vedi:
Broccia F., Careri F., Goni Mazzitelli A., Muzzonigro A. 2013, “Metropoliz.
Roma communities outside camps: new geographies of threshold spaces in Rome”,
in Planum. The journal of Urbanism
n°27/ 2, pp. 59-65; Careri F. 2015b “Autodialogo su Metropoliz”, in Boni F. e
De Finis G. (eds) Space Metropoliz. L'era delle migrazioni esoplanetarie,
Bordeaux Edizioni, Roma; Space Metropoliz
è un film di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, il quale ha poi lanciato il MAAM
Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, ed il Macro Asilo, due degli
spazi culturali più innovativi ed ospitali di Roma.
[10] Su Porto Fluviale vedi Careri F. 2015, “Tano, Blu e il Porto Fluviale” in De
Finis G., Benincasa F., Facchi A.(eds), EXPLOIT.
Come rovesciare il mondo dell’arte. D-Istruzioni per l’uso, Bordeaux
Edizioni, Roma, pp. 611-623. Vedi anche Good
Buy Roma, film di Gaetano Crivaro e Margherita Pisano: http://vimeo.com/30077767.
[11] A Spin Time Lab si è svolto un laboratorio di tesi di
Laurea del Dipartimento di Architettura di Roma Tre, coordinato dalla Prof.
Chiara Tonelli, e i progetti degli studenti sono stati pubblicati in un
fascicolo allegato al numero 11 di Scomodo.
[12] L’esperienza è raccontata dai
partecipanti nel
libro De Finis G. e Di Noto I. 2018, R/home.
Diritto all’abitare dovere capitale, Bordeaux Edizioni, Roma.
[13] Si è trattato di un intervento, in occasione di un convegno
organizzato alla Casa del Cinema il 2 maggio
2018, sul tema dei cinema abbandonati, sulla base della tesi di laurea di
Giulia Marzocchi che ne scrive in questo
libro.
[14] Tra
le rovine del contemporaneo è un
progetto di Stalker elaborato in occasione di Studio Roma, presso l’Istituto
Svizzero a Roma nel 2016. Cfr. Romito L. 2015,
“Walking out of Contemporary”, in Mitrasinovic M. (Ed) Concurrent Urbanities: Designing infrastructures of Inclusion,
Routledge.
[15] Vedi sezione mappe nel blog:
https://laboratoriocirco.wordpress.com/2018/04/07/mappe/
Grazie mille prof. Careri per il racconto di queste esperienze preziose; parlarne è sempre importante, che la parola parta dal mondo dell'arte e della cultura è - lo è stato grazie al suo/vostro lavoro - rivoluzionario.
RispondiEliminaSimona
Grazie Simona, non sai che piacere mi fa questo commento. Grazie mille
RispondiElimina