19/02/15

Tano, Blu e il Porto Fluviale

Tano, Blu e il Porto Fluviale
di Francesco Careri (Stalker/LAC)

Domenica 1 febbraio 2015, via Ostiense, Roma. Seguo il corteo tra i fumogeni rossi e le famiglie dei migranti con le carrozzine. All'angolo con via del Porto Fluviale due figure amiche sembrano il gatto e la volpe del film di Pinocchio. Sono Tano D’Amico[1] e Stefano Montesi, gli strumenti di lavoro appesi al collo, ridono e scherzano accarezzando le loro macchine fotografiche. Sono anni che vedo questa scena, nelle manifestazioni, durante gli sgomberi dei rom, gli sfratti, le occupazioni. Mi mette a mio agio sapere che ci sono anche loro, mi avvicino salutando e capisco che stanno ammirando l’ultimo capolavoro di Blu[2] davanti ai loro occhi: la grande nave degli speculatori edilizi attaccata dalle barchette dei pirati del movimento. È il nuovo dipinto sulla facciata del Porto Fluviale, la vecchia caserma dell’aeronautica militare, occupata dal Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa più di dieci anni fa[3].
Stefano si stacca per seguire la testa del corteo, Tano invece ha voglia di chiacchierare. Non mi pare vero. Un paio di anni fa nella stessa circostanza mi aveva fatto una lezione di storia dell’arte indimenticabile. Eravamo a Piazza Vittorio in una manifestazione dove insieme ai movimenti scendevano in piazza anche i Rom di Metropoliz con lo striscione “Siamo Rom, non siamo nomadi, vogliamo la casa!”, e i Rom dell’ex Casilino 900 con cartelli che ricordavano le promesse non mantenute del sindaco Alemanno. A me sembrava importante che i Rom si fossero organizzati con tanto di cartelli e striscioni. Ma Tano guardava tutto questo con costernazione. Non sopportava il fatto che i Rom si autorappresentassero attraverso la parola scritta. Più o meno mi ha detto: “Che c’entrano le scritte con i Rom? Perché non attingono alla loro cultura? I loro linguaggi non sono la scrittura e neanche la parola, hanno la musica, le immagini, la pittura! Stanno rinunciando, si stanno omologando ai nostri linguaggi, ai linguaggi codificati dei movimenti.” Non capivo bene cosa mi stesse dicendo e mi dispiaceva vederlo così in un momento per me importante perché sanciva l’inclusione dei Rom nel movimento della lotta per la casa.

Allora ha cominciato a spiegarmi il ruolo dei Rom nella pittura italiana del cinquecento, e non come soggetti dei quadri ma come pittori: la storia di Antonio Solaro che si firmava Pittore Zingaro, che aveva raccontato a Giorgione quella storia terribile della gara di tiro con l’arco che aveva avuto come bersaglio il petto di una zingara (la cigana): la storia della Tempesta, quel quadro su cui le interpretazioni degli storici dell’arte non hanno mai smesso di moltiplicarsi. Ecco la versione di Tano: “a proposito del quadro di Giorgione, venti anni dopo la sua realizzazione, nel 1530 Marcantonio Michiel aveva appuntato nel suo taccuino: paesetto in tela con la tempesta con la cigana e il soldato. La gitana e il soldato quindi era una storia nota, una madre fuggiasca che ha una pezza in testa, il corpo nudo e anche lei (come tutte le donne rom prima di entrare nelle camere a gas) allatta accosciata e capiamo che è l’ultima volta. È all'aperto, in mezzo agli alberi, sulla riva di un corso d’acqua. Compaiono i colori forti dei cacciatori, si sentono le grida dei battitori che frugano la macchia; si intuisce l’affanno di lei che corre con il suo bambino al petto, arriva al fiume e capisce che non ce la farà a passarlo. (…) Il battitore ha trovato la zingara e la piantona, sta aspettando il  principe e gli ospiti. Non ha un aspetto feroce, tiene d’occhio la scena senza animosità. Ha lo sguardo di coloro che in ogni tempo svolgono quel tipo di dovere.[4]

Ma ritorniamo all'angolo tra via Ostiense e via del Porto Fluviale. Tano mi dice che mesi fa passando in autobus ha visto Blu appeso alle funi mentre dipingeva. È sceso per fargli delle foto e una signora e i bambini che uscivano dal portone, gli hanno raccontato fieri chi era Blu. Poi quando Blu è sceso hanno avuto un rapido scambio, ma Blu era dovuto scappare via. Ma pochi giorni dopo Tano ha trovato un lungo articolo su di lui su Art & Dossier[5] ed era riuscito a capire meglio il suo lavoro. Dalle parole di Tano capisco che è molto ammirato e incuriosito, anche perché è da qualche tempo che ha cominciato a fotografare le nuove occupazioni romane. Gli racconto che io abito proprio lì dietro e che ho osservato ed osservo l’evolversi dell’occupazione fin dall’inizio. Dodici anni fa, pochi giorni dopo che erano entrati nella caserma ero andato a parlarci, perché con Stalker stavamo lavorando lì vicino, al Campo Boario[6], con il Villaggio Globale, i Curdi di Ararat e i Rom Calderasha. Pensavamo anche a una collaborazione con il Porto, ma evidentemente non era il momento. È difficile che le occupazioni nei primi periodi di vita si aprano all’arte come strumento di comunicazione. All’inizio sono chiuse e concentrate su loro stesse, è un mondo appena nato e introverso, un nuovo gruppo di persone che si conosce appena e pensa a consolidare le relazioni interne, ad allontanare quei soggetti che occupano solo per interesse individuale o che creano troppi problemi. I problemi sono tanti e l’impegno è a tempo pieno. I primi anni così, per le 163 famiglie iniziali, sono passati a consolidare la propria coscienza politica, a sperimentare un agire condiviso facendo picchetti notturni e discutendo in assemblee interminabili. Per anni il portone è stato chiuso, dalla piccola finestrella non si intravedeva molto, mentre la facciata con le sue serrande sbarrate diventava sempre più grigia per lo smog delle macchine.


Nel 2010 Margherita che ci abitava di fronte, era venuta in contatto con Gregorio che ci abitava dentro, e lui gli aveva aperto il portone per aiutarla a progettare insieme a Giacomo un pannello solare-termico in autocostruzione[7]. Attraverso questo contatto, il primo giorno di Primaveraromana[8], dopo una lunga camminata al seguito di Lorenzo e Giulia, entriamo nel Porto in una decina di persone e siamo accolti da un nutrito gruppo di donne, con grande ospitalità e curiosità reciproca. Margherita comincia a lavorare insieme a Gaetano al film Good Buy Roma[9], un film sul Porto Fluviale che non è solo un documentario ma una delicata azione di arte relazionale:Quando iniziammo a girovagare impacciati in questo spazio, con cavalletto, telecamera, microfoni, registratore e cuffie, sotto gli occhi attenti e impazienti di tutti, non avevamo tutto chiaro. (…) Quello che sapevamo era solo che non volevamo dire qualcosa servendoci di questa storia, bensì costruire qualcosa che potesse servire alla stessa storia per andare avanti, evolversi, contaminarsi. Non volevamo raccontare “una storia SU”, ma “una storia CON”, “una storia ATTRAVERSO”, “non servirci di, ma farlo con”. Dopo un lungo, sottile e attento processo di avvicinamento riescono ad entrare nell'intimità degli occupanti e a dargli la parola o meglio, come esprimono gli stessi autori, “più che dar parola, porsi in ascolto, prendere e essere presi"[10]. Nel racconto ci si sente sempre più partecipi e vicini alle ragioni di queste 100 famiglie che, a causa di un diritto negato, riescono ad inventare e costruire un mondo loro, capace di competere con il mondo nostro che gli scorre accanto. Una sorta di utopia concreta che sperimenta continuamente altri mondi di abitare, di confrontarsi e di convivere tra diversi. È questo il primo momento in cui l’arte entra nel Porto. Margherita e Gaetano sono i primi sguardi stranieri da cui il Porto si lascia raccontare. Nella sua tesi di dottorato[11]  Margherita ripercorre i passi di questo loro “radicamento temporaneo.” Prima le difficoltà intrinseche di interpretarlo, descriverlo e raccontarlo, poi la scoperta di essere “invitati a fare esperienza della possibilità di trasformare lo spazio in cui viviamo”. Comprendere come la lotta per la casa non sia solo la ricerca di un tetto ma un “atto di cittadinanza che opera una rottura su cosa significa essere cittadino (…), e un atto di resistenza: resistenza ai meccanismi della trasformazione speculativa delle città; resistenza alla povertà, perché offre una protezione al finire per la strada; resistenza alla segregazione, quando persone che si volevano tenere ai margini riconquistano il centro; resistenza alla discriminazione, quando si sperimenta una coabitazione tra persone diverse; (…) resistenza creativa che produce dei cambiamenti nel momento in cui si propone come attivatore di un contesto territoriale più ampio.” La presenza creativa di Margherita e Gaetano sprigiona i desideri e i progetti di molti, soprattutto donne, grazie alle quali, una saracinesca si apre per offrire al quartiere la Sala da tè: il Fronte del Porto. Una soglia ospitale ed invitante, aperta al quartiere con colori accoglienti, un’architettura che parla con linguaggi nuovi rispetto a quelli dei centri sociali e delle occupazioni. Mi dice Margherita: “È stata veramente un'opera d'arte collettiva capace di scardinare i ruoli di ideatori ed esecutori, che nasce da una battuta dopo un' assemblea e si realizza in poco tempo perché era già nell'aria, perché si erano create delle condizioni creative”.

In qualità di vicino di casa, attraverso il contato con Margherita e Gaetano, comincio a frequentare il cortile dove bambini nati e cresciuti al Porto, da genitori marocchini peruviani e equadoregni, danno lezioni di calcio acrobatico ai miei figli. Quel cortile è proprio lo spazio che a una famiglia come la mia manca di più, uno spazio dove i bambini sono controllati da tutti gli zii e zie del vicinato, dove gli adulti si sentono parte di una storia comune, condominiale e cittadina. La condizione di vicino e genitore dei tre bambini è un ottimo ruolo che mi permette di non essere visto come professore, come artista o come architetto. Preferisco non creare aspettative e non propormi come specialista, né come tecnico o peggio come mediatore, come mi è successo in altre occasioni. In seguito con il LAC[12] invitiamo alcuni abitanti dei diversi movimenti per l’abitare - Coordinamento Cittadini Lotta per la Casa, Action e Blocchi Precari Metropolitani - a partecipare alla Biennale dello spazio Pubblico per ragionare sul tema della Città Meticcia[13]. In quell’occasione Fabrizio Boni e Giorgio De Finis annunciano il progetto di girare il film “Space Metropoliz” da cui presto nascerà il MAAM[14]. Sono tante le domande che maturano: Che tipi di spazio pubblico si produce nelle occupazioni? Che ricchezza potrebbero offrire ai quartieri intorno? Come vivono gli occupanti gli spazi pubblici della città? Come rendere permeabili i confini e contaminare il dentro con il fuori e viceversa? Come può entrare la città preservando le caratteristiche di città altra di questi luoghi?

Le risposte cominciano ad arrivare nei fatti. Il portone del Porto si apre veramente alla città nel maggio 2012 con Roma Skill Share, quando centinaia di persone entrano nel cortile pronte a condividere i propri saperi[15]. Per gli abitanti è una prova generale di quello che potrebbe voler dire “aprirsi alla città”, il tema è ormai nell’aria e nelle assemblee alcuni propendono verso l’apertura totale del cortile, altri temono di perdere l’intimità e la condivisione di quello spazio che lentamente sono riusciti a costruire, altri che entri la vita notturna dei locali intorno ma anche che si trasformi in un centro sociale. Ne nascono riflessioni profonde su quale debba essere lo statuto della piazza: né un semplice spazio comune in cui solo la comunità degli abitanti e dei suoi ospiti si riconosce, né uno spazio pubblico, che significherebbe semplicemente lasciare entrare la città del mercato e del capitale che sta lì fuori senza marcare una differenza. Ma dall’esempio di Roma Skill Share si capisce che questa piazza deve saper rilanciare la stessa idea di Piazza Civica, come luogo politico in cui tutti possano scambiare i propri diversi saperi e competenze per una crescita mutua e reciproca degli abitanti con la città. È su questi temi che come LAC di Roma Tre e DPU di Londra proponiamo all’assemblea un workshop, in cui per un’intera settimana il Porto ospiterà a mangiare e dormire studenti da tutto il mondo. [16] Si ragiona insieme agli abitanti sui progetti del Porto,  sui pro e i contro dell’apertura alla città, su che tipo di spazio debba essere il cortile, e su come attivare e alimentare questo processo, sul liberare il piano terra dalle abitazioni per far posto ad attività cittadine (quelle che saranno poi la cicloficina, la circo-officina con il cabaret, il cinema il laboratorio di oreficeria, la residenza per artisti); sul realizzare un murales colorato sulla facciata esterna da sovrapporre alla triste ed austera facciata militare. Con Maria ed Azzurra del LAC realizziamo un inizio di piazza sotto forma di Giardino di Barche Volanti. Giocando con la metafora del Porto come luogo di approdo dei naviganti, dei transfughi, dei viaggiatori, sotto le tettoie del cortile appendiamo degli scafi di imbarcazioni dismesse: una barca gialla che vola in cielo sopra chi entra dall’ingresso principale, le spericolate “barcalene”,  ossia due scafi di catamarano appese a fare da grandi panche a dondolo, una canoa-fioriera su ruote, un pedalò. Lo spazio si comincia a trasformare con audacia.

Il 2 giugno del 2013 è il compleanno del Porto per i dieci anni di occupazione, ed è anche la festa delle Forze Armate a cui appartiene la caserma e sono previsti tre giorni di dibattiti sui temi della crisi, dell’autorecupero e del riutilizzo del patrimonio militare dismesso. Con il LAC stiamo terminando di allestire “L’Odissea per la Casa” che ha come spazio principale la soglia di ingresso : una grande vela di barca sospesa sul soffitto con i primi versi di Omero scritti in greco antico, arabo, spagnolo, francese e italiano; un planisfero del mondo in cui gli abitanti passando mettono un puntino per indicare la loro casa di provenienza; una mappa di Roma con tutte le occupazioni attivate al momento dai tre principali movimenti di lotta per l’Abitare. Come dire a chi entra: “presta attenzione, stai entrando in uno spazio altro, stai attraversando una soglia, un confine non scontato, sii consapevole che qui abita chi, dopo aver a lungo viaggiato, lotta per migliorare il mondo, anche il tuo.” In quei giorni con il LAC conosciamo Blu, che da qualche mese ha cominciato ad abitare al Porto e a dipingere la facciata. Ci presta vernici e pennelli mentre si aggira con un cappello a falde larghe una canotta bianca sporca di colori. Arriva al Porto dopo aver concluso altri due bellissimi dipinti nelle occupazioni del quartiere: la facciata neoclassica del Cinodromo a Ponte Marconi e la catena di macchine gialle di Alexis sempre su via Ostiense. In pochi giorni il Porto sembra prendere forma come quella strofa di Roma Capoccia “E le finestre sò tanti occhi che te sembrano dì… quanto sei bella!”. Tutte le finestre sono diventati occhi di tante facce colorate, immense facce e ognuna diversa. Alcune sembrano venire dai supereroi altre da altri dipinti di Blu: facce di banane, di puzzle, di chiusure a lampo, di tubi, di foglie; personaggi che guidano cervelli scoperchiati, una specie di arca di Noè con sopra gli occupanti; per chi guarda dai treni che gli passano accanto ci sono i simboli del movimento; per chi cammina a livello strada, tra le facce ancora altri dipinti, con varie scale di lettura: la zona industriale con il Gazometro, le tazze all’ingresso della sala da Tè. Il portone sembra una citazione della porta/bocca dei Giardini di Bomarzo e della facciata manierista della Biblioteca Hertziana di Palazzo Zuccari vicino a Piazza di Spagna.


È questa la facciata che fa da sfondo alle foto di Tano mentre fotografa il corteo che sfila. Gli racconto che con i bambini passiamo ogni mattina lì davanti per andare a scuola e che in due anni abbiamo seguito tutto il lavoro, dalla prima faccia all’ultima, che quando passiamo se lui non sta lavorando ci saluta, a volte ci fermiamo a chiacchierare quando lo incontriamo a fare la spesa. Gli racconto che “abbiamo visto comparire prima un occhio sull’angolo, poi tutte facce bianche, il diavolo rosso, poi le banane gialle, i vermi, le foglie, i tubi… E lo vedevamo anche dalle finestre di casa, appeso alle sue funi. I miei figli sono cosi fieri di conoscere Blu, ne capiscono l’importanza”. E Tano mi dice “ma ti rendi conto di che insegnamento sta dando Blu ai bambini? A tutti i bambini del quartiere? Che se uno vuole ha la libertà di prendere i colori e disegnare su tutto un palazzo, su tutta la città, che se uno non ha casa può andare ad abitare in uno spazio abbandonato e farlo suo, che insomma siamo liberi (…) E lui dipinge appeso, con gli occhi a pochi centimetri dal muro, ma con una consapevolezza dell’intera figura gigante che non può che intuire, è una maestria assoluta.”. Gli Rispondo: “Si, è come Michelangelo sdraiato sotto la volta della Cappella Sistina. È da tempo che penso che questo Porto è diventato una Cappella Sistina all’aperto. Quest’opera di Blu è un vero e proprio monumento, un oggetto urbano enorme, istoriato e colorato. Per altro l’idea se vuoi è quasi banale, una facciata che parla di facce, una cosa che nessun architetto avrebbe mei pensato di fare perché sarebbe troppo facile. E invece è proprio qui la sua bellezza, questo dipinto sa parlare proprio a tutti, ha un linguaggio volgare nel senso di Dante, Petrarca e Boccaccio. Ed anche qui è un linguaggio che non deriva direttamente dai linguaggi del movimento e dei centri sociali. È un palazzo di immagini nuove.”

Non so… in realtà penso che le immagini belle da sole non bastano, qui c’è qualcosa di più. Questo dipinto non è come egli altri che sono nati ultimamente nel quartiere, e che spesso sono bellissime immagini di ottimi artisti. Paragonati al Porto quei dipinti sembrano vuoti, appiccicati alle facciate, semplicemente dipinti sui muri, ma potrebbero essere su muri di altre città e nessuno se ne accorgerebbe. Dietro quei muri non c’è nulla, o a volte, (sic!) c’è qualche galleria d’arte che esibisce i propri artisti per strada, ed espande lo spazio mercantile delle gallerie anche nella città. Blu invece ha scelto di dipingere sul Porto. Dietro il muro c’è un’opera costruita dagli occupanti vivendoci dentro, un monumento del tempo attuale che stiamo tutti vivendo[17]. Un’architettura che non solo ci ammonisce a ricordare, ma che ci rappresenta qui ed ora, ci tiene presente l’epoca di crisi che stiamo attraversando: famiglie intere che per non finire sotto i ponti si riappropriano del patrimonio pubblico abbandonato, cittadini che hanno compreso che non è solo la casa il problema, ma il nostro abitare stesso, il modo con cui si costruiscono oggi le città globali, gli interessi delle banche e i movimenti finanziari che hanno sostituito l’urbanistica pubblica, i Grandi Eventi, le Olimpiadi, le Coppe del Mondo, le Esposizioni Universali.

Non so… in realtà neanche tutti questi contenuti da soli bastano a spiegarmi la grandezza dell’opera Porto. La politica da sola non basta, ha bisogno dell’arte. Per comunicare non servono solo i fatti, i dati e neanche le parole, ma le azioni, le relazioni, la delicata immersione di Gaetano e Margherita, la leggerezza surreale delle barche volanti, la facciata istoriata di Blu, la poesia delle immagini di cui mi continua a parlare Tano. È un tema che cerco di affrontare dall’inizio, da quando Tano mi ha detto che i Rom si stanno omologando ai nostri linguaggi, rinunciando al loro. E ci sono tornato con il linguaggio della sala da tè che è accogliente perché chi ci entra non si sente dentro a uno spazio antagonista ma in uno spazio altro. Non ce l’ho con i linguaggi del movimento in particolare, ma credo che i linguaggi antagonisti hanno una gran difficoltà a rinnovarsi, sono ancora quelli degli anni settanta e che ho conosciuto a scuola negli anni ottanta, ma li vedo ancora nei miei studenti. E a proposito di scritte e di immagini, mi succede anche di soffrire quando vedo gli striscioni con le scritte appesi alla facciata di Blu, le parole non riescono ad aggiungere nulla a quanto il Porto sta già dicendo con la sua presenza altra nella città. Allora provo ad affrontare questo direttamente con Tano: “ma tu che ne pensi delle immagini dei centri sociali e del mondo antagonista in generale?” Mi dice: “Non mi piacciono, sono brutti. Se vai in giro nei millenni passati, non solo nei luoghi dove la gente pregava, ma anche dove mangiava, dove camminava, nei luoghi di passaggio dei pellegrini, ci sono sempre delle belle immagini. Nei centri sociali non vedo quasi mai delle nuove immagini. E io credo che quando si mette in discussione il mondo che c’è, la prima cosa a cambiare sono le immagini, altrimenti come lo figuri che un altro mondo è possibile? Ogni momento di grande cambiamento della storia è accompagnato da un cambiamento delle immagini.” Poi riprende il discorso su Blu e le immagini della rivista Art & Dossier: “La compro perché ci sono delle belle immagini, e ora che il mondo è così popolato di tante brutte immagini, le belle immagini spiccano, e quelle di Blu spiccano. Sai io le guardo con gli occhi del miserabile, con gli occhi di chi ne ha bisogno per vivere. Le immagini sono finestre nell’anima che mi aiutano a vivere, mi nutrono.”

Quando con il corteo passiamo sotto al ponte della ferrovia, gli racconto che Blu ha cancellato i dipinti che aveva fatto a Berlino sulla Cuvrystraße nel 2008, e che lo ha fatto perché ormai la popolazione del quartiere era cambiata e imborghesita, come si dice in gergo, il quartiere era stato gentrificato. “Non sono d’accordo, mi dice Tano, non si cancellano le belle immagini, pensa se avessero cancellato Michelangelo perché le condizioni storiche erano cambiate. Un monumento così non si cancella, deve continuare a parlare a tutti. Pensa a quello che posso imparare a vedere un palazzo così, anche i bambini figli dei nuovi abitanti borghesi. E pensa anche agli anziani, a chi per tutta la vita ha lavorato e ha dovuto pensare ad altro ed ora passa di qui, alza gli occhi e realizza che anche questo è possibile!” Poi ricomincia a fotografare il corteo che sfila davanti alla facciata di Blu. Io fotografo lui che fotografa Blu e il Porto. Un monumento, due monumenti, tre monumenti: l’occupazione del porto, i dipinti “sistini” di Blu e Tano in persona. Cinquant’anni passati in quella posa a fotografare i movimenti, con tutta la storia delle immagini dietro quella macchina fotografica.  A Tano, a Blu, al Porto Fluviale, ai bambini.








[1] Tano D’Amico è il fotografo dei movimenti di lotta italiani dagli anni ‘60 ad oggi. Recentemente sono usciti due libri per i tipi di Postcart: Di cosa sono fatti i ricordi. Tempo e luce di un fotografo di strada, (2012) e Anima e Memoria. Il legame imprendibile tra storia e fotografia (2012) e il documentario di Rai Storia su: https://www.youtube.com/watch?v=L7S_kTSRJQs
[2] Blu è tra i più importanti pittori indipendenti della Street Art internazionale, da sempre fuori dal mondo dell’arte e dentro ai movimenti ed ai contesti di lotta. Vedi:  http://www.blublu.org/ e sui suoi video di pittura murale animata e in stop-motion vedi: https://www.youtube.com/watch?v=sMoKcsN8wM8&list=PLED8F5DCB035D8122.
[3] Porto Fluviale è stato occupato nel 2003 dal Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa  http://www.coordinamento.info/. È la più centrale delle occupazioni abitative di Roma, poco fuori dalle mura romane, ed è una delle più longeve tra quelle della nuova ondata di occupazioni che negli ultimi dieci anni è riuscita a liberare a Roma circa 50 stabili, per un totale di circa 2000 famiglie. Vedi: https://www.facebook.com/frontedelportofluviale?fref=ts. Sul Porto Fluviale vedi anche il libro inedito di Abdul Hadi El Cadi: Mi piace questo posto, Roma, 8 giugno 2012. (in distribuzione presso la sala da tè Fronte del Porto).
[4] Sui Rom nella storia delle immagini Tano continua: “Forse una natura comune lega indissolubilmente zingari e immagini. Il popolo Rom ci sta accanto quando le parole non bastano, quando non possono racchiudere, definire, circoscrivere quello che la realtà provoca in noi. È un popolo da guardare, da ascoltare, molto più che da leggere. La parola non li ha mai amati, l’immagine e la musica sempre. (…) Fin dal loro arrivo nel nostro paese il mondo delle immagini ha accolto gli zingari. Le botteghe dei pittori erano aperte per loro, i palazzi della parola no.”  Citazione tratta da: Tano D’Amico, Il giubileo nero degli zingari, Editori Riuniti, Roma 2000. Su Antonio Solario che si firmava “Pittore Zingaro” riporto quanto raccontato da Tano in occasione della giornata di studi su “Rappresentazione e Autorappresentazione del popolo Rom” tenuta alla Facoltà di Architettura di Roma Tre il 16/06/09.  Vedi anche: Francesco Careri, Rom, ou de l’impossibilité d’être un figurant,  “de(s)générations” n°13, Saint-Etienne, 2011, pp. 35-42, traduzione italiana su http://articiviche.blogspot.it/2011/01/essere-rom-o-dellimpossibilita-di.html
[5] Si tratta di Art e Dossier n. 315 “Utopisti Antisistema”, novembre 2014 con allegato il dossier: Street Art a cura di Duccio Dogheria.
[6] Stalker Osservatorio Nomade è un artista collettivo che opera a Roma dai primi anni novanta  http://www.osservatorionomade.net/. Negli ultimi anni si è ramificato in una articolata rete di relazioni e progetti. I nomi propri che seguono nel testo sono tutti più o meno correlati ai progetti che Stalker stava portando avanti in quel momento sotto diverse sigle, tra i quali ricordiamo: Primaveraromana, LAC_Laboratorio Arti Civiche, Museo Relazionale, Stalker Walking School. Sul lavoro al Campo Boario vedi il libro inedito su https://stalkerpedia.wordpress.com/circles/
[7] Si tratta di Margherita Pisano e Giacomo Zanelli che in quel momento stavano lavorando con il campo Rom di via della Monachina. L’episodio, come gli altri di questo paragrafo, è raccontato in Gaetano Crivaro e Margherita Pisano,  Il confine è un punto di Incontro, in: Carlo Lucarelli, Quasi Roma, editpress, Roma 2012. Il libro contiene il dvd del film “Good Buy Roma”.

[8] Si tratta di Lorenzo Romito e Giulia Fiocca, che insieme a Margherita Pisano e Giacomo Zanelli avevano organizzato l’incontro con il Porto il 21 marzo 2010, nel primo giorno di Primaveraromana 2010. https://primaveraromana.wordpress.com/primavera-romana-2010/citta-ostiense/

[9] Il documentario, «Good Buy Roma» di Gaetano Crivaro e Margherita Pisano è del 2011,  https://goodbuyroma.wordpress.com/ , un estratto del film è su http://vimeo.com/30077767.
[10] Gaetano Crivaro e Margherita Pisano,  Il confine è… op.cit.
[11]  Tesi di dottorato di Margherita Pisano, “Creare relazioni da abitare. Voci, narrazioni in uno scheletro urbano riabitato”. Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Ingegneria Edile ed Ambientale. Dottorato in Tecnica Urbanistica. Ciclo XXV. Relatore Carlo Cellamare.
[12] Il LAC_Laboratorio Arti Civiche è un laboratorio del Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, che compie azioni di ricerca sui territori in trasformazione, attraverso atti di trasformazione artistica dello spazio fisico. http://www.articiviche.net/
Sul LAC al Porto vedi: Azzurra Muzzonigro,  la barca per il porto fluviale http://articiviche.blogspot.it/2012/06/summerlab-roma-workshop-con-lac.html e Un’Odissea per la casa http://articiviche.blogspot.it/2013/12/odissea-al-porto-fluviale.html
[13] Sessione tematica della Biennale dello Spazio Pubblico promossa da INU - Istituto Nazionale di Urbanistica e curata dal LAC, svolta il 14 maggio 2011 al Mattatoio di Testaccio. Intervengono: per il Porto Fluviale (Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa) Elkebira Adoud, Roberto Suarez, Rider, Giulia Bucalossi, Margherita Pisano; per Tempesta (Action) Khadija Ouahmi, Sofia Sebastianelli; per metropoliz (Blocchi Precari Metropolitani e Popica Onlus): Lucica Constantin, Irene Di Noto, Guendalina Curi, Andrea Valentini; per il gruppo di ricerca Pidgin City: Francesco Careri, Nick Dines, Adriana Goni Mazzitelli, Enrica Rigo, Maria Rocco, Giorgio Talocci, Maria Vittoria Tessitore, Ilaria Vasdeki, Piero Vereni. L’intero dibattito è su http://articiviche.blogspot.it/2011/05/citta-meticcia-alla-biennale-dello.html
[14] Space Metropoliz è un film sull’occupazione dei Blocchi Precari Metropolitani a Metropoliz, sulla via Prenestina a Roma. Vedi: http://www.spacemetropoliz.com/ Diverse puntate del film sono visibili sul canale https://www.youtube.com/user/SpaceMetropoliz. Dopo l’esperienza del film Giorgio de Finis ha dato vita al MAAM_Museo dell’Arte e dell’Altrove di Metropoliz chiamando a lavorare nella ex fabbrica dismessa molti artisti della Street Art internazionale. Vedi: http://www.museomaam.it/
[15] Roma Skill Share 12-13 maggio 2012, è stato organizzato da una rete aperta di cittadini tra cui Giulia Fiocca e Margherita Pisano di primaveraromana. La giornata è raccontata da Adriana Goni Mazzitelli in: L’università del far sapere su http://comune-info.net/2012/05/al-porto-fluviale-luniversita-popolare-del-saper-fare/ vedi anche: Adriana Goni Mazzitelli, La casa sul Porto su: http://comune-info.net/2012/11/la-casa-sul-porto/
[16] Il workshop è stato organizzato da Camillo Boano e Giorgio Talocci per il DPU e Francesco Careri, Barbara Dovarch, Maria Rocco e Azzurra Muzzonigro per il LAC. http://issuu.com/dpu-ucl/docs/rome-occupation-city-dpusummerlab, Vedi: Camillo Boano, DPU Summerlab as a way to defend architecture,
[17] Cfr, Giorgio Talocci, Occupying and the new monuments… op cit.








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