Xu Xiake e l’arte del
vagabondare tra le nuvole
Perché Bodhidharma venne in Cina?[1]
È questa una delle più classiche domande che i maestri zen facevano ai loro
discepoli: un koan su cui meditare
per giorni, mesi, forse anni, senza mai trovare la giusta risposta. Perché una
giusta risposta non c’è, c’è casomai una lunga Via da percorrere, il Tao,
e se saremo capaci di cercarla riusciremo forse a trovare la risposta, o meglio ad
essere trovati dall’illuminazione. Allo stesso modo, leggendo questo
bellissimo diario di viaggi, paesaggi e di incontri, viene da chiedersi: Perché
Xu Xiake ha camminato tanto? Perché è partito da casa a ventidue anni e fino
alla sua morte, a cinquantasei anni, non ha mai smesso di camminare? Probabilmente
anche a questa domanda non c’è risposta. E per risponderci veramente, dovremmo
uscire ora di casa, cominciare a camminare, meditare, perder tempo. Lasciare
alle nostre spalle il tempo funzionale-lavorativo e ritrovare il tempo ludico
contemplativo, impiegare tutto il tempo necessario a comprendere la via. E poi chissà un giorno essere
trovati dalla risposta, perché non è proprio vero che ci cerca trova, ma
casomai accade che “chi cerca è trovato”, come diceva mio padre. Non sarà
dunque quella di leggere questo testo introduttivo, la via per comprendere a fondo il cammino di Xu Xiake, e probabilmente
non riusciremo qui a dare la giusta risposta a questa domanda. Possiamo
cominciare a percorrerla e a cercarla a partire dai suoi Diari, le uniche tracce che ci possono aiutare in questo cammino. E
chi vorrà partire sui suoi passi potrà farlo ora, magari portando con sé un
diario su cui raccontare la via con
la consapevolezza di un evento, di “diventare degni di ciò che accade”[2],
oggi nel nostro mondo come Xu Xiake nella Cina del XVI secolo.
Cos’è questa irrequietezza che spinge un giovane di ventidue anni a partire ad esplorare il mondo?[3] Si parte per conoscere, è fuor di dubbio che, se si lasciano le comodità della vita sedentaria per quella nomade, è soprattutto perché non ci si accontenta più di ciò che già si conosce, di ciò che ci viene insegnato, ma lo si desidera invece esperire, in prima persona, con la propria mente, con il proprio corpo. Si parte con la speranza che là fuori nel mondo, sopravvivano ancora luoghi da esplorare, ci sia ancora spazio per l’altrove. E arriva un momento in cui non si può più tornare indietro. La ricerca dell’inconosciuto diventa un gioco con noi stessi e anche un gioco con gli altri, una sorta di misto di guardie e ladri la caccia al tesoro: un invito a farci inseguire. Se si scrive un diario come quello di Xu Xiake, così denso di fatti oggettivi, nomi, miglia, direzioni, orientamenti, bivi… non lo si fa solo per sé stessi, ma perché si immagina che qualcuno potrà ripercorrere il nostro cammino. I diari sembrano instaurare un gioco di inseguimenti, una guida densa di notizie per perderci seguendone le tracce. È solo trovandoci lì, tra montagne fiumi caverne e nuvole, indecisi sulla direzione da prendere, che allora questi diari diventano veramente attivi. La domanda è perpetua: siamo qui, dove dobbiamo andare? Xu Xiake indica di seguire il fiume, trovare il guado, passare nella valle e se lo ha fatto lui non possiamo che fidarci, ci riusciremo anche noi. Xu Xiake è la via stessa che si deve riaprire a colpi di scure, è l’apripista che dà la fede che di lì si passa.
Xu era il suo nome, mentre Xiake era il soprannome dato dal suo amico Chen Jiru, che significa
“uno che sta tra le nuvole del tramonto”, e Xiayi
il soprannome datogli da Huang Daozhou, che significa “libero tra le nuvole del
tramonto”. Una persona con la testa tra le nuvole, l’immagine è di uno
scienziato o un artista. Con la testa tra le nuvole ed i piedi per terra.
Capace di astrarsi con la mente e di descrivere i dettagli di ogni passo,
capace di immaginare incessantemente il proprio percorso, di localizzarsi in
una sua mappa mentale, che è al contempo anche l’unica mappa esistente, non
scritta, non disegnata, astratta come un pensiero tra le nuvole. E camminando
tra le nuvole, costruendo ogni giorno il proprio cammino, decidendo di andare
là, proprio là dove la mappa ancora non c’è e i confini sono sfumati, Xu crea
la geografia, inventando il suo cammino inventa la Cina stessa. Ma Xu non è lì
solo per questo, non era un geografo, Xu era contemporaneamente scienziato e
poeta, al giorno di oggi sarebbe considerato un artista.
Walks are like
Clouds, they Came and Go (Le camminate sono come le nuvole, vengono e
vanno). È la frase che Hamish Fulton, uno dei più importanti walking artist viventi, scrive spesso ad
accompagnare le sue infinite peregrinazioni[4].
Si perché nel frattempo il camminare, il perdersi, il vagabondare senza meta,
sono diventati una forma di arte accettata e riconosciuta anche socialmente[5].
Un arte che non costruisce oggetti, che non lascia tracce sul terreno, che non
lascia opere: an object cannot compete
with experience (un oggetto non può competere con un’esperienza) dice
Fulton, che nel 2009 ha compiuto l’ascesa del Monte Everest e che nelle sue
opere fa riferimento spesso a Santoka Taneda, poeta camminatore e scrittore di
bellissimi haiku, che alla sua morte, nel 1940, aveva percorso a piedi 28 mila
miglia. Di lui Ogiwara Seisensui scrive: “Santoka cammina senza scopo, è come
le nuvole e i fiumi. Deve muoversi, cambiar luogo. Per lui camminare è vita”. E
Santoka stesso scrive: “Quando si viaggia si arriva a comprendere gli esseri
umani, la natura e la poesia”. Basho
Ci sono diverse azioni artistiche compiute in Cina
negli ultimi anni che possono aiutarci a far luce sul camminare di Xu Xiake. La
più famosa in occidente è The Lovers: The
Great Wall Walk di Marina Abramović ed Ulay che nel 1988 percorsero in 90
giorni l’intera Muraglia Cinese. Lei partendo da est a Shan Hai Guan nel golfo
del Bohai, e lui partendo ad ovest a Jaiyuguan nel deserto del Gobi, per
incontrarsi dopo 2.500 km ciascuno a Er Lang Shan, nel Shen Mu, nella provincia
del Shaanxi. Qui si incontrarono e si abbracciarono per l’ultima volta mettendo
così fine ad un sodalizio sentimentale ed artistico durato dodici anni.[6]
E la muraglia cinese è anche lo scenario in cui si svolge il video Fen-Ma Liuming – walks the Grat Wall, in
cui il 14 luglio 1998 il giovane artista cinese cammina completamente nudo con
un corpo decisamente androgino[7].
Nel 2010 è invece un altro grande fondatore della Walking Art, Richard Long a percorrere il fiume Yangtze, tra le
provincie del Yunnan e dello Sichuan, tirandoci dentro mille pietre[8].
Enel 2015 un altro artista cinese che si fa chiamare Brother Nut, ha camminato
ininterrottamente per cento giorni, raccogliendo particelle tossiche nell’aria di
Beijing e costruendoci dei mattoni, per rendere evidente e materico il problema
dell’inquinamento della capitale.
Che Xu Xiake fosse un walking
artist ante litteram? O meglio, Xu Xiake era consapevole o del tutto
inconsapevole di essere un artista? Beh sul fatto di camminare va detto che
alla sua epoca non era di certo un mezzo originale per viaggiare, anzi era il
solo mezzo per farlo. Ma sull’errare così a lungo in posti inesplorati, sul
vagabondare così lontano senza mai tornare a casa, una certa forzatura poetica mi sembra possa certamente
essere stata consapevole. C’è un artista vietnamita Tehching Hsieh, che nel 1981
ha compiuto in questo senso un’opera mirabile: è una performance durata un anno
intero – il titolo è One Year Performance
– vivendo da vagabondo a New York senza mai entrare in uno spazio interno, che
fosse un edificio o un veicolo[9].
L’opera è parte di una serie di cinque performance, cominciate nel 1978 e
durate un anno intero ciascuna, portate avanti senza mai una interruzione,
giorno e notte, facendo coincidere intimamente la vita con l’arte. Una serie di
forzature artistiche sulla propria
vita che forse cominciano a farci vedere con diversi occhi l’opera compiuta da
Xu Xiake in trentaquattro anni di vagabondaggi.
Xu Xiake viaggia senza un mandato, senza un obiettivo e
forse senza neanche una vera e propria meta. Non è stato mandato
dall’imperatore a controllare lo stato del suo impero. Non è un monaco che
viaggia per convertire le genti o costruire un monastero. Non è un mercante in
cerca di spezie e prodotti da scambiare per profitto. Non è un militare in
cerca di nuove provincie da razziare e popoli da conquistare. Xu Xiake cammina
senz'armi, è inoffensivo, chiede ospitalità e in cambio racconta ciò che ha
visto, svela ciò che sa, porta informazioni e ne riceve. È un poeta dei luoghi.
A lui vengono mostrate le bellezze perché le possa raccontare ad altri, perché
diventino mito, storia, poesia. “Il fatto è mirabile, ma nessuno l’ha
tramandato” scrive nel Diario del Dian[10],
a proposito del monastero dello Shi[zi]lin, l’Eremo del Leone, dove il monaco
Baiyun trovò una sorgente infilando semplicemente il suo bastone nella roccia
dietro la sua cella. È consapevole dunque di trasformare la tradizione orale in
storia scritta. E se i primi Diari
sono decisamente più descrittivi e più freddi,
l’ultimo libro raggiunge dei momenti di vera poesia. C’è un momento in cui
annota che su un “grosso albero sulla fonte, sbocciano fiori simili a farfalle,
dalle antenne e le ali identiche a quelle degli insetti vivi. Ci sono miriadi
di farfalle vere che uniscono le antenne e s’agganciano con le zampette per
scendere a capofitto dalla cima dell’albero fino alla superficie della
sorgente, in incessante profusione e uno sfavillio di colori. Da questo mese,
ammirano la vista frotte di visitatori[11].”
Ma è giunti alla fine dei suoi scritti che Xu Xiake ci svela
chi è e cos’è il suo camminare e lo fa con un riferimento alla poesia e alla
pittura di paesaggio. Nella Compendiosa Cronaca Del Ji[Zu]Shan, sono pubblicate
cinque poesie non mai trascritte[12].
La seconda si chiama L’Impervia Parete
degli Arhat, e fa così:
Ho sempre amato i versi di Yuan
Shigong: [13]
Apro un nuovo viottolo cumulando neve
su neve,
mi costruisco la capanna fendendo i
banchi di nubi
Procedo sulla parete impervia degli Arhat,
mi pare d’entrare in un dipinto
abbellito dai versi
E
giunti laddove le nubi franate s’aggiungono allo smeraldo
ecco
di fronte la parete con le rocce annuenti,
un
vero uno scenario d’Occidente
degno
d’un pennello intinto nel verde e nel cinabro.
Mi pare d’entrare in
un dipinto abbellito dai versi. È come se Xu avesse per tutti questi anni
dipinto con il proprio corpo, una sorta di corpo-pennello, un grande paesaggio
in una tela infinita. Non lo ha dipinto perché non era un pittore, non lo ha
cantato perché non era un poeta. Ma camminando ci ha lasciando una lunga scia
di inchiostro, oltre mezzo milione di parole che ci invitano a seguirlo. E lo
ha camminato da artista, uno dei più grandi artisti della storia dell’arte del
camminare. Xu Xiake è entrato nel quadro e lo ha abitato per trentaquattro anni.
Una azione artistica perpetua, compiuta con la propria vita, giorno dopo giorno
lungo la Via del Tao, per re-inventare
il paesaggio cinese nella sua essenza ineffabile, indicibile, irrappresentabile.
“La pittura cinese cattura il mondo nella sua essenziale transizione” scrive
François Jullien nel suo La grande image
n'a pas de forme. Du non objet par la peinture.[14]
E ci ricorda che la parola paesaggio,
in cinese shanshui, è formata da due
parole, shan (montagna) + shui (acqua). La parola stessa contiene
il mutamento, il fluire dell’acqua, il camminare delle nuvole sulle montagne, lo
scorrere stesso della vita che non si può rappresentare per intero. E le
pitture cinesi di paesaggio infatti non sono i quadri occidentali fissi sulla
parete, non sono grandi territori che possiamo contenere in un unico colpo
d’occhio, ma sono percorso, sono rotoli che si srotolano, appaiono
progressivamente, spariscono nelle sfumature dei monti, nel dispiegarsi delle
nuvole, nello scorrere delle acque, si mantengono vaghi e perennemente
disponibili all’andare. L’esperienza della pittura cinese è un cammino. “Se
l’immagine prende forma (individuata e concreta), - continua Jullien - non è
più la grande immagine”.
[1] Bodhidarma, è il primo patriarca del buddismo Chàn (in giapponese Zen),
che nel V secolo venne dall’India, dando l’avvio alla diffusione del buddismo in
Cina.
[2] Gilles Deleuze, Per farla finita col
giudizio, in Critica e clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996,
p.134. È una delle basi del Manifesto Stalker del 1996, scritto da Lorenzo
Romito dopo l’attraversamento a piedi delle periferie romane, in una deriva
urbana di cinque giorni che ha dato il via ad una lunga serie di esplorazioni
ancora in atto. Vedi: Stalker, A Travers
les Territoires Actuels / Aattraverso i Territori Attuali, Jean Michel
Place, Paris 2000; e http://digilander.libero.it/stalkerlab/tarkowsky/manifesto/manifest.htm
[3] Per cominciare a dare risposte sensate a questa domanda si consiglia il
classico di Bruce Chatwin, Anatomia
dell’irrequietezza, Adelphi, Milano 1996.
[4] Cfr. Hamish Fulton, Walking
Artist, Richter Verlag, Dusseldorf 2001. È forse importante qui ricordare che Fulton nel 2009 ha compiuto l’ascesa
del monte Everest dedicandola alla situazione politica in Tibet. Il titolo
dell’azione recita: Chinese Economy Tibetan Justice Tibetan Freedom Silence. A Guided And Sherpa Assisted Climb Of Mount Everest Using Bottled
Oxigen. Arriving At The 8850 Metre Summit Along The Nepal Tibet Border On The
Morning Of 19 May 2009. 49 Th Day Of Expedition Via Nepal and Southeast Ridge.
[5] Cfr. Francesco Careri, Walkscapes.
Camminare come pratica estetica, GG Barcellona 2002, Einaudi Torino 2006.
[6] Abramović
nel suo libro: “That walk became a complete personal drama. Ulay started from
the Gobi Desert and I from the Yellow Sea. After each of us walked 2500 km, we
met in the middle and said good-bye”. Abramović conceived this walk in a dream,
and it provided what she thought was an appropriate, romantic ending to a
relationship full of mysticism, energy, and attraction. She later described the
process: “We needed a certain form of ending, after this huge distance walking
towards each other. It is very human. It is in a way more dramatic, more like a
film ending … Because in the end we both would be really alone, whatever we
would do.” Marina Abramovic , Walks
Through Walls. A Memory, Crown, New York 2026.
[7] Il
video è stato presentato nel 2018 alla mostra Art and China after 1989: Theater of the World, al Solomon R.
Guggenheim Museum di New York.
[8] L’azione A thousand stones thrown into the river
Yangtze è stata mostrata in Cina alla James Cohan Gallery di Shanghai
nell’autunno del 2010.
[9] Cfr. Adrian Heathfield and Tehching Hsieh , Out of Now. The Lifeworks of Tehching Hsieh,
MIT Press, New York 2009.
[11] (libro IV p 151)
[12] La Compendiosa Cronaca Del Ji[Zu]Shan, I, cinque
poesie non mai trascritte, p. 469-70
[13] Yuan Hongdao 袁宏道(1568-1610) Letterato vissuto durante la dinastia Ming, fu uno dei maggiori
esponenti della scuola poetica tradizionalista gong'an.
[14] Francois Jullien, La grande immagine non ha forma, Angelo Colla ed., Vicenza 2004.
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