26/03/24

Xu Xiake e l’arte del vagabondare tra le nuvole

In occasione della prossima uscita della traduzione cinese di Walkscapes, metto qui un mio testo uscito nel libro di Giorgio Casacchia (ed), Xu Xiake. Diario di viaggio, vol. 1, Cafoscarina, Venezia 2019, pp. cxxvi - cxxx, 

Xu Xiake e l’arte del vagabondare tra le nuvole

Perché Bodhidharma venne in Cina?[1] È questa una delle più classiche domande che i maestri zen facevano ai loro discepoli: un koan su cui meditare per giorni, mesi, forse anni, senza mai trovare la giusta risposta. Perché una giusta risposta non c’è, c’è casomai una lunga Via da percorrere, il Tao, e se saremo capaci di cercarla riusciremo forse a trovare la risposta, o meglio ad essere trovati dall’illuminazione. Allo stesso modo, leggendo questo bellissimo diario di viaggi, paesaggi e di incontri, viene da chiedersi: Perché Xu Xiake ha camminato tanto? Perché è partito da casa a ventidue anni e fino alla sua morte, a cinquantasei anni, non ha mai smesso di camminare? Probabilmente anche a questa domanda non c’è risposta. E per risponderci veramente, dovremmo uscire ora di casa, cominciare a camminare, meditare, perder tempo. Lasciare alle nostre spalle il tempo funzionale-lavorativo e ritrovare il tempo ludico contemplativo, impiegare tutto il tempo necessario a comprendere la via. E poi chissà un giorno essere trovati dalla risposta, perché non è proprio vero che ci cerca trova, ma casomai accade che “chi cerca è trovato”, come diceva mio padre. Non sarà dunque quella di leggere questo testo introduttivo, la via per comprendere a fondo il cammino di Xu Xiake, e probabilmente non riusciremo qui a dare la giusta risposta a questa domanda. Possiamo cominciare a percorrerla e a cercarla a partire dai suoi Diari, le uniche tracce che ci possono aiutare in questo cammino. E chi vorrà partire sui suoi passi potrà farlo ora, magari portando con sé un diario su cui raccontare la via con la consapevolezza di un evento, di “diventare degni di ciò che accade”[2], oggi nel nostro mondo come Xu Xiake nella Cina del XVI secolo.

Cos’è questa irrequietezza che spinge un giovane di ventidue anni a partire ad esplorare il mondo?[3] Si parte per conoscere, è fuor di dubbio che, se si lasciano le comodità della vita sedentaria per quella nomade, è soprattutto perché non ci si accontenta più di ciò che già si conosce, di ciò che ci viene insegnato, ma lo si desidera invece esperire, in prima persona, con la propria mente, con il proprio corpo. Si parte con la speranza che là fuori nel mondo, sopravvivano ancora luoghi da esplorare, ci sia ancora spazio per l’altrove. E arriva un momento in cui non si può più tornare indietro. La ricerca dell’inconosciuto diventa un gioco con noi stessi e anche un gioco con gli altri, una sorta di misto di guardie e ladri la caccia al tesoro: un invito a farci inseguire. Se si scrive un diario come quello di Xu Xiake, così denso di fatti oggettivi, nomi, miglia, direzioni, orientamenti, bivi… non lo si fa solo per sé stessi, ma perché si immagina che qualcuno potrà ripercorrere il nostro cammino. I diari sembrano instaurare un gioco di inseguimenti, una guida densa di notizie per perderci seguendone le tracce. È solo trovandoci lì, tra montagne fiumi caverne e nuvole, indecisi sulla direzione da prendere, che allora questi diari diventano veramente attivi. La domanda è perpetua: siamo qui, dove dobbiamo andare? Xu Xiake indica di seguire il fiume, trovare il guado, passare nella valle e se lo ha fatto lui non possiamo che fidarci, ci riusciremo anche noi. Xu Xiake è la via stessa che si deve riaprire a colpi di scure, è l’apripista che dà la fede che di lì si passa.

Xu era il suo nome, mentre Xiake era il soprannome dato dal suo amico Chen Jiru, che significa “uno che sta tra le nuvole del tramonto”, e Xiayi il soprannome datogli da Huang Daozhou, che significa “libero tra le nuvole del tramonto”. Una persona con la testa tra le nuvole, l’immagine è di uno scienziato o un artista. Con la testa tra le nuvole ed i piedi per terra. Capace di astrarsi con la mente e di descrivere i dettagli di ogni passo, capace di immaginare incessantemente il proprio percorso, di localizzarsi in una sua mappa mentale, che è al contempo anche l’unica mappa esistente, non scritta, non disegnata, astratta come un pensiero tra le nuvole. E camminando tra le nuvole, costruendo ogni giorno il proprio cammino, decidendo di andare là, proprio là dove la mappa ancora non c’è e i confini sono sfumati, Xu crea la geografia, inventando il suo cammino inventa la Cina stessa. Ma Xu non è lì solo per questo, non era un geografo, Xu era contemporaneamente scienziato e poeta, al giorno di oggi sarebbe considerato un artista.

Walks are like Clouds, they Came and Go (Le camminate sono come le nuvole, vengono e vanno). È la frase che Hamish Fulton, uno dei più importanti walking artist viventi, scrive spesso ad accompagnare le sue infinite peregrinazioni[4]. Si perché nel frattempo il camminare, il perdersi, il vagabondare senza meta, sono diventati una forma di arte accettata e riconosciuta anche socialmente[5]. Un arte che non costruisce oggetti, che non lascia tracce sul terreno, che non lascia opere: an object cannot compete with experience (un oggetto non può competere con un’esperienza) dice Fulton, che nel 2009 ha compiuto l’ascesa del Monte Everest e che nelle sue opere fa riferimento spesso a Santoka Taneda, poeta camminatore e scrittore di bellissimi haiku, che alla sua morte, nel 1940, aveva percorso a piedi 28 mila miglia. Di lui Ogiwara Seisensui scrive: “Santoka cammina senza scopo, è come le nuvole e i fiumi. Deve muoversi, cambiar luogo. Per lui camminare è vita”. E Santoka stesso scrive: “Quando si viaggia si arriva a comprendere gli esseri umani, la natura e la poesia”. Basho

 

Ci sono diverse azioni artistiche compiute in Cina negli ultimi anni che possono aiutarci a far luce sul camminare di Xu Xiake. La più famosa in occidente è The Lovers: The Great Wall Walk di Marina Abramović ed Ulay che nel 1988 percorsero in 90 giorni l’intera Muraglia Cinese. Lei partendo da est a Shan Hai Guan nel golfo del Bohai, e lui partendo ad ovest a Jaiyuguan nel deserto del Gobi, per incontrarsi dopo 2.500 km ciascuno a Er Lang Shan, nel Shen Mu, nella provincia del Shaanxi. Qui si incontrarono e si abbracciarono per l’ultima volta mettendo così fine ad un sodalizio sentimentale ed artistico durato dodici anni.[6] E la muraglia cinese è anche lo scenario in cui si svolge il video Fen-Ma Liuming – walks the Grat Wall, in cui il 14 luglio 1998 il giovane artista cinese cammina completamente nudo con un corpo decisamente androgino[7]. Nel 2010 è invece un altro grande fondatore della Walking Art, Richard Long a percorrere il fiume Yangtze, tra le provincie del Yunnan e dello Sichuan, tirandoci dentro mille pietre[8]. Enel 2015 un altro artista cinese che si fa chiamare Brother Nut, ha camminato ininterrottamente per cento giorni, raccogliendo particelle tossiche nell’aria di Beijing e costruendoci dei mattoni, per rendere evidente e materico il problema dell’inquinamento della capitale.

 

Che Xu Xiake fosse un walking artist ante litteram? O meglio, Xu Xiake era consapevole o del tutto inconsapevole di essere un artista? Beh sul fatto di camminare va detto che alla sua epoca non era di certo un mezzo originale per viaggiare, anzi era il solo mezzo per farlo. Ma sull’errare così a lungo in posti inesplorati, sul vagabondare così lontano senza mai tornare a casa, una certa forzatura poetica mi sembra possa certamente essere stata consapevole. C’è un artista vietnamita Tehching Hsieh, che nel 1981 ha compiuto in questo senso un’opera mirabile: è una performance durata un anno intero – il titolo è One Year Performance – vivendo da vagabondo a New York senza mai entrare in uno spazio interno, che fosse un edificio o un veicolo[9]. L’opera è parte di una serie di cinque performance, cominciate nel 1978 e durate un anno intero ciascuna, portate avanti senza mai una interruzione, giorno e notte, facendo coincidere intimamente la vita con l’arte. Una serie di forzature artistiche sulla propria vita che forse cominciano a farci vedere con diversi occhi l’opera compiuta da Xu Xiake in trentaquattro anni di vagabondaggi.

Xu Xiake viaggia senza un mandato, senza un obiettivo e forse senza neanche una vera e propria meta. Non è stato mandato dall’imperatore a controllare lo stato del suo impero. Non è un monaco che viaggia per convertire le genti o costruire un monastero. Non è un mercante in cerca di spezie e prodotti da scambiare per profitto. Non è un militare in cerca di nuove provincie da razziare e popoli da conquistare. Xu Xiake cammina senz'armi, è inoffensivo, chiede ospitalità e in cambio racconta ciò che ha visto, svela ciò che sa, porta informazioni e ne riceve. È un poeta dei luoghi. A lui vengono mostrate le bellezze perché le possa raccontare ad altri, perché diventino mito, storia, poesia. “Il fatto è mirabile, ma nessuno l’ha tramandato” scrive nel Diario del Dian[10], a proposito del monastero dello Shi[zi]lin, l’Eremo del Leone, dove il monaco Baiyun trovò una sorgente infilando semplicemente il suo bastone nella roccia dietro la sua cella. È consapevole dunque di trasformare la tradizione orale in storia scritta. E se i primi Diari sono decisamente più descrittivi e più freddi, l’ultimo libro raggiunge dei momenti di vera poesia. C’è un momento in cui annota che su un “grosso albero sulla fonte, sbocciano fiori simili a farfalle, dalle antenne e le ali identiche a quelle degli insetti vivi. Ci sono miriadi di farfalle vere che uniscono le antenne e s’agganciano con le zampette per scendere a capofitto dalla cima dell’albero fino alla superficie della sorgente, in incessante profusione e uno sfavillio di colori. Da questo mese, ammirano la vista frotte di visitatori[11].” 

Ma è giunti alla fine dei suoi scritti che Xu Xiake ci svela chi è e cos’è il suo camminare e lo fa con un riferimento alla poesia e alla pittura di paesaggio. Nella Compendiosa Cronaca Del Ji[Zu]Shan, sono pubblicate cinque poesie non mai trascritte[12]. La seconda si chiama L’Impervia Parete degli Arhat, e fa così:

Ho sempre amato i versi di Yuan Shigong: [13]

Apro un nuovo viottolo cumulando neve su neve,

mi costruisco la capanna fendendo i banchi di nubi

Procedo sulla parete impervia degli Arhat,

mi pare d’entrare in un dipinto abbellito dai versi

E giunti laddove le nubi franate s’aggiungono allo smeraldo

ecco di fronte la parete con le rocce annuenti,

un vero uno scenario d’Occidente

degno d’un pennello intinto nel verde e nel cinabro.

 

Mi pare d’entrare in un dipinto abbellito dai versi. È come se Xu avesse per tutti questi anni dipinto con il proprio corpo, una sorta di corpo-pennello, un grande paesaggio in una tela infinita. Non lo ha dipinto perché non era un pittore, non lo ha cantato perché non era un poeta. Ma camminando ci ha lasciando una lunga scia di inchiostro, oltre mezzo milione di parole che ci invitano a seguirlo. E lo ha camminato da artista, uno dei più grandi artisti della storia dell’arte del camminare. Xu Xiake è entrato nel quadro e lo ha abitato per trentaquattro anni. Una azione artistica perpetua, compiuta con la propria vita, giorno dopo giorno lungo la Via del Tao, per re-inventare il paesaggio cinese nella sua essenza ineffabile, indicibile, irrappresentabile. “La pittura cinese cattura il mondo nella sua essenziale transizione” scrive François Jullien nel suo La grande image n'a pas de forme. Du non objet par la peinture.[14] E ci ricorda che la parola paesaggio, in cinese shanshui, è formata da due parole, shan (montagna) + shui (acqua). La parola stessa contiene il mutamento, il fluire dell’acqua, il camminare delle nuvole sulle montagne, lo scorrere stesso della vita che non si può rappresentare per intero. E le pitture cinesi di paesaggio infatti non sono i quadri occidentali fissi sulla parete, non sono grandi territori che possiamo contenere in un unico colpo d’occhio, ma sono percorso, sono rotoli che si srotolano, appaiono progressivamente, spariscono nelle sfumature dei monti, nel dispiegarsi delle nuvole, nello scorrere delle acque, si mantengono vaghi e perennemente disponibili all’andare. L’esperienza della pittura cinese è un cammino. “Se l’immagine prende forma (individuata e concreta), - continua Jullien - non è più la grande immagine”.

 

 



[1] Bodhidarma, è il primo patriarca del buddismo Chàn (in giapponese Zen), che nel V secolo venne dall’India, dando l’avvio alla diffusione del buddismo in Cina.

[2] Gilles Deleuze, Per farla finita col giudizio, in Critica e clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p.134. È una delle basi del Manifesto Stalker del 1996, scritto da Lorenzo Romito dopo l’attraversamento a piedi delle periferie romane, in una deriva urbana di cinque giorni che ha dato il via ad una lunga serie di esplorazioni ancora in atto. Vedi: Stalker, A Travers les Territoires Actuels / Aattraverso i Territori Attuali, Jean Michel Place, Paris 2000; e http://digilander.libero.it/stalkerlab/tarkowsky/manifesto/manifest.htm

[3] Per cominciare a dare risposte sensate a questa domanda si consiglia il classico di Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, Adelphi, Milano 1996.

[4] Cfr. Hamish Fulton, Walking Artist, Richter Verlag, Dusseldorf 2001. È forse importante qui ricordare che Fulton nel 2009 ha compiuto l’ascesa del monte Everest dedicandola alla situazione politica in Tibet. Il titolo dell’azione recita: Chinese Economy Tibetan Justice Tibetan Freedom Silence. A Guided And Sherpa Assisted Climb Of Mount Everest Using Bottled Oxigen. Arriving At The 8850 Metre Summit Along The Nepal Tibet Border On The Morning Of 19 May 2009. 49 Th Day Of Expedition Via Nepal and Southeast Ridge.

[5] Cfr. Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, GG Barcellona 2002, Einaudi Torino 2006.

[6] Abramović nel suo libro: “That walk became a complete personal drama. Ulay started from the Gobi Desert and I from the Yellow Sea. After each of us walked 2500 km, we met in the middle and said good-bye”. Abramović conceived this walk in a dream, and it provided what she thought was an appropriate, romantic ending to a relationship full of mysticism, energy, and attraction. She later described the process: “We needed a certain form of ending, after this huge distance walking towards each other. It is very human. It is in a way more dramatic, more like a film ending … Because in the end we both would be really alone, whatever we would do.” Marina Abramovic , Walks Through Walls. A Memory, Crown, New York 2026.

[7] Il video è stato presentato nel 2018 alla mostra Art and China after 1989: Theater of the World, al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

[8] L’azione A thousand stones thrown into the river Yangtze è stata mostrata in Cina alla James Cohan Gallery di Shanghai nell’autunno del 2010.

[9] Cfr. Adrian Heathfield and Tehching Hsieh , Out of Now. The Lifeworks of Tehching Hsieh, MIT Press, New York 2009.

Diario del Dian, Pt IV, p. 5.

[11] (libro IV p 151)

[12] La Compendiosa Cronaca Del Ji[Zu]Shan, I, cinque poesie non mai trascritte, p. 469-70

[13] Yuan Hongdao 袁宏道(1568-1610) Letterato vissuto durante la dinastia Ming, fu uno dei maggiori esponenti della scuola poetica tradizionalista gong'an.

[14] Francois Jullien, La grande immagine non ha forma, Angelo Colla ed., Vicenza 2004.

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