13/03/23

Noi siamo qui. Con Dada a Saint-Julien-le-Pauvre (1921-2021)

 
Articolo pubblicato  in: Paolo Bolpagni (ed), Pianeta città, Fondazione Centro Ragghianti, Lucca 2021, pp. 69-84, ed in seguito in: O primero paso inoperante de DADA / El primer paso inoperante de DADA / DADA’s first inoperative step, in Monserrat Pis Marcos (ed.), Caminos Creativos: propuesta de una metodologia de relaciòn entre arte y desplazamieneto, Xunta de Galicia, Santiago de Compostela, 2022, pp. 124 – 141 e 295 – 300,





È possibile immaginare un’estetica che non si impegni,
che si rimuova dalla Storia e anche dal Mercato?
O che almeno tenda in quella direzione?
Che vuol rimpiazzare la rappresentazione con la presenza?
(Hakim Bay, T.A.Z. Temporary Autonomous Zones, 1985, Milano 1993, p.46.)

Il 14 aprile scorso era mercoledì ed ero in giro per Roma con il mio corso itinerante di Arti Civiche. Avevo appena finito di raccontare della prima visita-escursione di Dada, che da sotto il Tevere sbucano due signori con in mano il libro di Georges Hugnet, L'avventura Dada[1] e due immagini fotocopiate: la famosa foto di Dada nel giardino della chiesa e il volantino di apertura della Grande Saison Dada[2]. Non credo che molti altri al mondo abbiano celebrato questo centenario, ma per alcuni il 14 aprile è un giorno importante. È la data della prima azione urbana di Dada, la “visita-escursione” alla Chiesa di Saint-Julien-Le-Pauvre compiuta a Parigi nel 1921. Ne avevo già scritto in passato, ma l’avvicinarsi del centenario di quell’azione e dell’inaugurazione di questa mostra sono stati un invito per approfondire, aggiornare e soprattutto cercare di capire perché sento che quella visita non abbia ancora perso la sua forza propulsiva.

Testimonianze

Ma cominciamo dai fatti, dalle fonti e dai ricordi dei protagonisti. Giovedì 14 aprile del 1921, alle 15 del pomeriggio un gruppo di artisti, in prevalenza poeti, convoca il pubblico nel centro di Parigi per visitare, "una chiesa abbandonata, poco e mal conosciuta, circondata all'epoca da una sorta di terrain vague cinto da palizzate" racconta Georges Hugnet, [3] una “discarica in cui i vicini buttavano la spazzatura” testimonia Soupault. [4] I dadaisti non puntano alla chiesa - non vi entrano infatti come invece avrebbe voluto Benjamin Peret[5] - ma si accontentano di rimanere nel terrain vague, nel terreno incolto come si direbbe in italiano con più precisione ma meno vaghezza e poesia del francese. L’operazione infatti non vuole essere una manifestazione anticlericale - e sappiamo che Picabia era molto preoccupato di questo aspetto[6] - perché non si vuole creare alcuna ambiguità con un’azione di tipo politico. L’azione deve essere dichiaratamente artistica. E infatti nel comunicato stampa pubblicato da "Comœdia" e titolato Bisogna fucilare i dadaisti? si dice[7]:

 

"Oggi alle 15 nel giardino della chiesa di Saint-Julien-le Pauvre (Metro: Saint-Michel) Dada inaugura una serie di escursioni a Parigi, invita gratuitamente amici e nemici a visitare le dépendances della chiesa. Sembrerebbe infatti che si possa trovare ancora qualcosa da scoprire nel giardino, seppure già tanto amato dai turisti. Non si tratta di una manifestazione anticlericale, come saremmo tentati di credere, ma piuttosto di una nuova interpretazione della natura applicata questa volta non all'arte, ma alla vita".[8]

Il 3 aprile un gruppo di dadaisti aveva fatto un sopralluogo e immaginato di parlare dalle finestre di un palazzo o di rimanere semplicemente in silenzio e di camminare qui e là guardandosi in cagnesco fino ad esasperare il pubblico “nemico”. [9] Ma sembra che non ci sia stata molta preparazione e in più c’era una pioggia torrenziale, cosi si è cominciato a improvvisare delle performance individuali deliberatamente non-sense. Mentre a Boulevard Saint Michel si distribuisce il volantino di invito e intorno alla chiesa si cerca di far scendere le persone in strada, André Breton e Tristan Tzara prendono la parola con discorsi provocatori.[10] Raymond Duncan augura che tutti i dadaisti si candidino alle prossime elezioni; Georges Ribemont-Dessaignes fingendosi guida turistica si ferma davanti a sculture e monumenti del giardino per leggere definizioni scelte a caso da un dizionario Larousse; [11] Paul Elouard alla fine delle azioni distribuisce al pubblico delle buste a sorpresa contenenti frasi, ritratti, biglietti da visita, pezzi di tessuto, paesaggi, disegni osceni, banconote da cinque franchi modificate con simboli erotici. [12]

Un mese dopo, nel maggio del 1921, in Enfer Artificiel, Breton descrive a caldo la situazione:

“Abbiamo immaginato di guidare il nostro pubblico verso luoghi in cui potevamo mantenere la loro attenzione meglio che in un teatro, perché il fatto stesso di venirci comportava una certa benevolenza da parte loro. Le visite, di cui Saint-Julien-le-Pauvre è stata la prima di una serie, non avevano assolutamente altro pretesto. Un manifesto scritto in gran parte da me e letto ad alta voce sul sagrato della chiesa, diceva tra l'altro:

Esiste una chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre? Da parte nostra, non lo sappiamo. Siete voi che avete scelto questo luogo. Eppure sappiamo abbastanza bene quello che stiamo facendo. Sappiamo abbastanza bene a cosa vi stiamo portando. Questa non è che una riunione preparatoria. Tutto quello che è successo fino ad ora sotto il segno di Dada è stato solo uno spettacolo secondario. Se giudicate da questo, non potete avere un’idea dello spettacolo che c'è lì dentro. Tra poco si alzerà il sipario su una spettacolo fantastico e alternativo, che abbiamo preparato con la massima cura da un anno a questa parte (…) Basta girare la testa. Siamo nel centro di Parigi. Vi sembrerà dolce, in un giorno di piacevole pioggia primaverile (buona per il raccolto), passeggiare lungo la Senna e vedere in noi una gioventù maliziosa simile ai giovani romantici, che hanno dato il loro vigore al diciannovesimo secolo. Eccolo il famoso gioiello dell'architettura gotica con le finestre a rosoni attraversate dal cielo, con santi di metallo prezioso identici agli apostoli Dada caduti in preda alla follia dell'Eternità. Voi siete tutti qui con noi: che relax! Eppure avete dei debiti, una donna vi aspetta in albergo, siete in sciopero in Inghilterra, prendete il tè al Claridge, siete nel mondo.

Per quanto ci abbia fatto piacere, il cattivo tempo di quel giorno ha sventato i nostri piani. Ci ha impedito di mettere in atto molte delle nostre idee, tra cui un'asta di astrazioni che avrebbe potuto essere sensazionale. Uno o duecento spettatori erano accalcati lì, silenziosi sotto i loro ombrelli, al punto che ci chiedevamo se Dada fosse pronto a scomparire, seguendo un famoso assioma spesso invocato: "Un uomo di successo, o semplicemente uno che non viene più attaccato, è un uomo morto".[13]

Non ci sono nemici nel pubblico, questa è la prima amara constatazione di Breton. Malgrado le provocazioni, Dada non scandalizza più, forse Dada è già morto. E ci sono anche poche persone, molte meno di quante erano attese. Ma soprattutto piove ininterrottamente per un’ora e mezzo. Nei racconti dei testimoni il tutto è sempre descritto come un grosso fallimento. Georges Hugnet ne parla come un "assurdo rendez-vous che fingeva di essere una visita guidata istruttiva”.  Hans Richter dice che "pioveva e non venne nessuno. L'idea di altre imprese simili fu abbandonata". André Breton che attirarono "cento o duecento spettatori". Dalla fotografie si vede un piccolo ma nutrito gruppo di persone, più o meno una cinquantina, ben vestite che ride e cerca di coprirsi dalla pioggia con ombrelli e cappelli. I dadaisti, finito l’evento si ritirano in un vicino caffè per tirarne le conclusioni. La delusione è evidente. Si dà colpa all’improvvisazione, alla poca preparazione, a un riparatore di porcellane chiamato Joliboit e un venditore di noccioline che avrebbero dovuto comporre un'"orchestra" ma che non si sono presentati. Breton che aveva voluto un evento minaccioso e sovversivo dice che sono caduti in un vicolo cieco, perché il pubblico ormai non si scandalizza più e fa il gioco di Dada. In un’intervista del 1952, ritorna sull’evento:

"Il principio delle manifestazioni Dada non è abbandonato. Si decide che il loro svolgimento sarà diverso. Allo scopo sono previste una serie di visite-escursioni a Parigi, scelte con criteri assai gratuiti. (…) Di fatto, l'applicazione di questo nuovo programma è appena abbozzata. La riunione nel giardinetto di Saint-Julien-le-Pauvre ha effettivamente luogo ma è ostacolata dalla pioggia dirotta e, più ancora, dalla penosa nullità dei discorsi che vi si pronunciano su un tono deliberatamente provocatorio. Non basta essere passati dalle sale di spettacolo all'aria aperta per farla finita con le riciclature Dada."[14]

La visita inaugurava una serie di azioni, la Grande Saison Dada, che per il gruppo di Littérature, guidato da Breton, Aragon e Péret, avrebbero dovuto essere di rottura con le azioni importate a Parigi dal Cabaret Voltaire di Zurigo, portate avanti soprattutto da Tzara e Picabia. Malgrado le parole di Breton il passaggio “dalle sale di spettacolo all'aria aperta" è invece un passaggio storico fondamentale. Uscendo dal teatro e dai cabaret, Dada fa un primo passo fuori dallo spettacolo, e forse già contro lo spettacolo. È un passo incerto, probabilmente ancora non del tutto consapevole che è la stessa separazione tra artisti e pubblico ad essere il problema.[15]

Le fotografie

Della visita esiste una buona documentazione fotografica, si conoscono almeno quattro scatti, un fatto che non doveva essere scontato per l’epoca e che fa comprendere come l’azione sia stata organizzata con molta cura.[16] I dadaisti avevano chiamato un fotografo, rimasto anonimo, probabilmente con un ingombrante cavalletto, e forse le foto sono state scattate solo nei momenti in cui la pioggia aveva dato un po’ di tregua. Ci sono due foto in cui gli artisti sono mescolati con il pubblico. La prima ritrae tutti in posa di fronte al lato della chiesa, gli uomini con i cappelli e le donne con gli ombrelli aperti, e probabilmente è quella che dà inizio all’evento. La seconda è più ravvicinata, gli artisti sono in prima fila mentre Tristan Tzara legge il suo discorso.

Nella foto più famosa della visita invece ci sono solo gli artisti senza pubblico. Un gruppo di soli uomini in posa e con cappello, interpretabile forse come parodia della foto di gruppo dei futuristi del 1905. Sono in piedi su uno sfondo vago, con i piedi tra le erbacce e la testa nella nebbia. Potrebbero essere ovunque. Ma in un altro scatto della stessa scena, preso con una diversa esposizione, dietro il gruppo appare la cattedrale di Notre Dame sull’altro lato della Senna. Sembra quasi la foto ricordo di un gruppo di turisti a Parigi. Nella comunicazione ufficiale sono quindi spariti la città, la cattedrale, il pubblico e le performance individuali: siamo un gruppo di artisti senza pubblico, siamo tutti uomini, non siamo turisti, non stiamo fcendo performance, non stiamo facendo niente, siamo in uno spazio fuori dallo spazio e dal tempo, siamo in un terrain vague, siamo qui.

La chiesetta di Saint-Julien-le-Pauvre si trova effettivamente in una posizione molto centrale e questo era stato probabilmente il principale motivo della sua scelta. Era “nascosta nel cuore della città”,[17] ed era una delle più antiche architetture medioevali minori, sopravvissute alle demolizioni di Haussmann. Nella pianta del Nouveau Paris Monumental. Itinéraire pratique de l’étranger dans Paris stampata da Leconte nel 1920, è disegnata in assonometria come gli altri monumenti più importanti. Ma l’interesse per i dadaisti non era quello di svelare la chiesa, piuttosto di entrare nelle sue dépendances, ossia nelle sue pertinenze, o meglio in quella “sorta di terrain vague

cinto da palizzate" descritto da Hugnet. I dadaisti avevano fatto un sopralluogo ed è difficile immaginare che Dada avesse chiesto un permesso per entrare anche perché era abbandonata. Dobbiamo quindi supporre che i dadaisti sapessero come entrare, che ci fosse un buco nella rete, che le palizzate fossero facili da scavalcare o che abbiano aperto un cancello solitamente chiuso. È insomma molto probabile che
lo spazio sia stato forzato programmaticamente, poeticamente e materialmente. Che si sia trattato di una incursione artistica che ha forzato i significati di quello spazio e che per farlo ne abbia forzato anche i limiti fisici. Ma su questo, come si diceva, non abbiamo fonti storiche. Forse cento anni fa entrare in una proprietà privata senza chiedere il permesso non era ancora un tabù, forse gli spazi abbandonati erano considerati a tutti gli effetti spazi pubblici, forse per il pubblico questo non consisteva in una grande effrazione, sta di fatto che il come entrare in quel cortile era un aspetto che non valeva la pena ricordare.

L’Invito

Oltre al comunicato stampa l’operazione è annunciata con un volantino di invito che viene pubblicato su diversi giornali e distribuito ai passanti[18]. È composto con una stupenda grafica dadaista, scritte ironiche e false pubblicità ritagliate e inserite a collage, tipo “Dovresti tagliarti il naso come i capelli”, “Lavati i seni come i guanti”, “La pulizia è il lusso dei poveri, siate sporchi”, “Grazie per il fucile”, “Distribuzione di calze di seta a 5,85”. E poi alcune scritte sottosopra “in alto l’alto” e “in basso il basso”, “gare di corsa pedestre nel giardino”. Per leggere il foglio bisogna girarlo in diverse inclinazioni, è un oggetto che provoca interazione. Del volantino esistono alcune prove, una a mano, con la scritta in alto “per Tristan Tzara” da cui si comprende che Tzara non faceva parte del gruppo di Littérature guidato da Breton che ha preparato l’evento. L’altro è una prova tipografica delle sole scritte blu.

Il volantino è firmato da un gruppo che non è esattamente quello della foto. Si direbbe anzi che la lista di chi avrebbe dovuto condurre l’operazione sia volontariamente inesatta, tra loro figurano diversi assenti: Picabia che era ancora malato e non aveva intenzione di prendere parte all’operazione, Jean Arp che in quel momento si trovava in Svizzera, Jean Hussar che era uno sconosciuto redattore del quotidiano l’Orient, ma soprattutto l’attenzione va su Gabrielle Buffet. È l’unica donna che compare ufficialmente in tutta la vicenda, è la prima firma del volantino, ma sappiamo che in quel momento si trovava in America. A quell’epoca era la moglie di Picabia, e forse il suo inserimento è una provocazione al marito da parte del gruppo di Littérature. Era una donna molto attiva nelle avanguardie letterarie, pittoriche e anche musicali ed è scomparsa a centoquattro anni nel 1985. Era stata molto amica di Apollinaire, di cui era testimone di nozze insieme a Picasso, e già prima di Dada era stata definita un cervello erotico fondamentale per le svolte artistiche di Picabia e di Duchamp, di cui aveva scritto come gruppo pre-Dada.[19]

Al centro del foglio c’è un breve testo programmatico con una prima lista di luoghi:

“I dadaisti di passaggio a Parigi, volendo rimediare all'incompetenza delle guide e di sospetti ciceroni, hanno deciso di intraprendere una serie di visite in dei luoghi scelti, in particolare a quelli che non hanno veramente nessuna ragione di esistere. È a torto che si insiste sul pittoresco (Lycée Janson de Sailly), l'interesse storico (Mont Blanc) e il valore sentimentale (la Morgue). La partita non è ancora persa, ma bisogna agire in fretta. Partecipare a questa prima visita è rendere conto del progresso umano, delle distruzioni possibili e della necessità di perseguire nella nostra azione che voi cercherete di incoraggiare con tutti i mezzi."

I dadaisti si autodefiniscono di passaggio, non parigini seppure molti tra loro lo siano, ma stranieri in quanto movimento transnazionale. Parigi è solo uno dei teatri della loro azione, il loro agire è planetario. Sono qui perché vogliono affermare qualcosa sulla città, sul consumo turistico, sulle distruzioni e sul progresso. È un dirottamento volto a distogliere lo sguardo dai monumenti per mostrare il banale, a ragionare su quella vertigine del moderno che troveremo nei romanzi surrealisti, [20] ad attaccare quella società dello spettacolo che sarà poi descritta dai situazionisti: non siamo venuti qui a vedere la chiesetta, né la cattedrale di Notre Dame, siamo qui per mostrarvi i “luoghi che non hanno veramente nessuna ragione di esistere”. E poi ci sono tre luoghi, citati come monumenti turistici universalmente noti come pittoreschi, storici e sentimentali, ma che sono invece simbolicamente importanti per i dadaisti. Il primo è il Lycée Janson de Sailly, un rinomato liceo borghese la cui facciata su rue de La Pompe è decorata con ventiquattro busti tra cui Victor Hugo, Alphonse de Lamartine e Blaise Pascal. Durante la Prima guerra mondiale il liceo era stato trasformato in ospedale con dormitori e sale operatorie. Forse nel 1921 era ancora un ospedale in servizio per l’influenza spagnola appena terminata? Il secondo luogo citato è Mont Blanc, il monte di confine con l’Italia, ma siccome stiamo parlando di Parigi, è più probabile che si riferisca a Rue du Mont-Blanc Chaussée d’Antin, la prima strada parigina dove era cominciato il processo di igienizzazione. Come infatti appunta Walter Benjamin, nel 1802 vi avevano costruito il primo marciapiede con un’altezza di 8-10 cm e si era iniziato a sopprimere i rigagnoli nell’asse delle strade. Che la critica sia ancora una volta all’urbanistica di Haussmann? Oppure alla decisione di Pujoulx di cambiare i nomi delle strade con nomi di città e di regioni francesi “per offrire ai viaggiatori una conoscenza della Francia a partire da Parigi e viceversa”? [21] Il terzo luogo citato è infine La Morgue, il deposito di cadaveri dove si svolgeva il riconoscimento delle salme e che dal 1864 era stato trasferito sulla punta dell’Île de la Cité, proprio dietro a Notre Dame. La Morgue aveva svolto un importante ruolo nello sviluppo delle scienze mediche, perché i corpi trovati nella Senna, se non venivano riconosciuti entro quattro giorni, venivano dissezionati pubblicamente dagli studenti di medicina, e poi seppelliti. [22] Era anche questo un luogo in relazione con la pandemia che due anni prima aveva dato la morte, a soli trentotto anni, ad Apollinaire?

C’è poi nel volantino un’altra lista di luoghi. È l’annuncio delle prossime escursioni nei luoghi che non hanno veramente nessuna ragione di esistere, e che sappiamo che inseguito non saranno compiute: “Prochaine visites: Musèe du Louvre, Buttes-Chaumont, Gare Saint-Lazare, Mont du Petit Cadenas, Canal de l'Ourcq, etc.” Il Louvre sicuramente era ritenuto un cimitero di opere morte, la Gare Saint Lazare era forse ancora una provocazione antifuturista, il Canal de l'Ourcq era un nuovo canale della zona industriale nord, il Mont du Petit Cadenas un attrazione naturale nei pressi Versailles, mentre sul Buttes-Chaumont c’è da dire di più in quanto diventerà un luogo fondamentale per la nascita della psicogeografia. È un grande parco romantico con cascate e falsi monumenti in rovina, e viene descritto a fondo nel romanzo del 1926 di Louis Aragon Le Paysan de Paris, dove un contadino arriva nella capitale e si trova alle prese con la vertigine del moderno. Il libro è una specie di guida del meraviglioso quotidiano che vive alle spalle della nuova Parigi moderna: luoghi inediti e frammenti di vita che si svolgono fuori dagli itinerari turistici, in un’atmosfera già decisamente surreale. Durante una deambulazione notturna, il Parco del Buttes-Chaumont è definito da Aragon come il luogo "dove si è annidato l'inconscio della città".[23] È la prima volta che si afferma che la città ha un inconscio, che ha zone che scappano al progetto degli urbanisti, che si sviluppano spontaneamente e che si sottraggono al tempo e alla storia della città borghese. Se esiste in città esiste una zona oscura, come l’inconscio della nostra mente che viene indagata dalla recente scienza della psicanalisi, possiamo allora indagarla attraverso una nuova scienza, la psychogeographie, perdendosi tra i suoi meandri attraverso la dérive e rappresentarla con le mappe influenzali. Queste ultime sono in realtà tutte parole create dai Lettristi all’inizio degli anni Cinquanta, ma si deve dire che anche Breton era consapevole dell’importanza del perdersi e ragionava sulla possibilità di disegnare mappe sulla base dei sentimenti e dove i posti che amiamo frequentare sono colorati in bianco, quelli che vogliamo evitare in nero, mentre il resto, di colore grigio erano le zone in cui si alternano sensazioni di attrazione e repulsione. Queste sensazioni rispetto ad alcuni ambienti potevano essere percepite per esempio percorrendo una strada abituale in cui "se prestiamo un minimo di attenzione, potremmo riconoscervi zone di benessere e di malessere che si alternano, e di cui potremmo arrivare a stabilire le rispettive lunghezze". [24] Esiste dunque un legame tra la visita al terrain vague di Saint-Julien-le-Pauvre, la scoperta surrealista dell’inconscio della città e il lungo filo rosso che attraverserà tutto il secolo. La visita di Dada porta già in grembo la “situazione”.[25]

La noia

Tornando alla visita, sembra che sia finita dopo un’ora e mezza e che sia stata piuttosto noiosa: "La folla già diradata, bagnata dalla pioggia e annoiata dai discorsi, tornò a casa".[26] Neanche un mese dopo, l’11 maggio, Francis Picabia aveva deciso di chiudere con Dada, proprio per la noia. In una dichiarazione dal titolo "M. Picabia si separa dai Dada", scrive: “tutto è noioso, non è vero? Le foglie che cadono sono noiose, le foglie che crescono sono noiose, il caldo è noioso, il freddo è noioso. Gli orologi che non suonano sono noiosi, quelli che suonano sono noiosi. Avere un telefono è noioso, non avere un telefono è noioso. Le persone che muoiono sono noiose, così come quelle che non muoiono.[27] Questo aveva prodotto il 12 maggio il citato testo Enfer Artificiel, dove Breton afferma che il gruppo parigino di Littérature aveva ben accolto l’arrivo di Dada a Parigi perché in definitiva si stavano annoiando molto. Sembra quindi che la noia sia stata la causa sia dell’inizio che della fine di Dada a Parigi. Non è un caso quindi che molti studiosi si siano recentemente concentrati sulla lettura di questa azione a partire dai ragionamenti di Walter Benjamin sulla noia: "È questo filone pre-surrealista del Dada parigino che Benjamin descrive nel 1929 come "una misera corrente [dell'intellighenzia europea, che] è sorta nel 1919 in Francia [e] si è nutrita dell'umida noia dell'Europa del dopoguerra". Nella mia lettura – afferma Cheng - ha fatto di più: ha sviluppato un gusto per la noia".[28] Per Haladyn “Il fallimento di questa escursione è la base del suo grande successo: è l'esperienza della noia da parte dei visitatori, che si aspettavano le spettacolari buffonate di Dada e invece si sono trovati faccia a faccia con un incontro banale e senza senso con una dimenticata casa di Dio, che evidenzia il più grande fallimento del mondo come rappresentazione utile a colmare il divario tra sé e il mondo. (…) Il mio interesse primario nell'esaminare questa escursione è il modo in cui incapsula l'esperienza della noia come una questione di volontà. I visitatori si confrontavano direttamente con una visione del quotidiano che manifestava la moderna crisi di significato, che potevano accettare come un dato di fatto e rifiutarsi di andare oltre la noia dell'incontro - come ha fatto la maggior parte delle persone che hanno partecipato - o usare come un'opportunità per andare creativamente oltre i limiti percepiti dell'esperienza. (…) In questo modo, Breton invita i visitatori a diventare flâneurs che, come scrive Baudelaire,[29] si sentono "ovunque a casa" mentre sono lontani da casa, che "vedono il mondo" e sono "al centro del mondo" anche se rimangono "nascosti dal mondo" - in breve, a sperimentare le passioni dei propri affetti come definizione della realtà del mondo in cui ci si trova. Questa noia lascia così spazio alla possibilità di un'illuminazione profana: trovare un senso (personale) nella realtà intrinsecamente senza senso della vita quotidiana. "Più che una semplice antimistificazione", l'escursione a Saint-Julien-le-Pauvre "implicava, attraverso la sua stessa gratuità, l'adozione di un atteggiamento sperimentale e interrogativo nei confronti della natura degli eventi stessi." [30] La gratuità di questa escursione a Saint-Julien-le-Pauvre rappresenta il potenziale illuminante del quotidiano come un evento senza significato intrinseco, ma un evento perpetuo in cui il significato individuale deve essere creato volontariamente dalle banalità e dalle noie dell'esistenza vissuta nel mondo.” [31] Non sono sicuro che sia la noia la lente con cui si debba leggere l’azione di Dada. Ma è indubbio che l'adozione di un atteggiamento sperimentale e interrogativo nei confronti della natura degli eventi stessi sarebbe stato un ottima chiave con trasformare positivamente la noia in quell’atteggiamento sperimentale che consiste più semplicemente in un consapevole “esser presenti”.

Presente Inoperativo

Malgrado la noia e il fallimento dichiarato da tutti i suoi partecipanti, siamo in tanti a considerare questa prima ed unica “visita-escursione” di Dada, come il primo passo che fa da apripista al cammino delle avanguardie successive: la “deambulazione” in aperta campagna organizzata dai dada-surrealisti nel 1924, le “derive urbane” dell’Internazionale Lettrista negli anni cinquanta, le “situazioni costruite” e l’“urbanismo unitario” dell’Internazionale Situazionista negli anni sessanta, i progetti di città nomadi e di megastrutture ludiche degli anni settanta, le comunità hippies, il punk, le Temporary Autonomous Zones, le street parade, le “transurbanze” suburbane, gli squat, i centri sociali, le attuali occupazioni abitative della città meticcia.

La critica artistica e sociale allo spazio urbano, la sperimentazione di comportamenti ludico-costruttivi, la realizzazione di ambienti unitari e di tempi sottratti al sistema, cominciano da quel primo passo. Dada porta l’arte nel vivo della vita vissuta, fuori dalla rappresentazione, nel presente della città. Pierre Restany a proposito delle correnti artistiche del dopoguerra, evidenzia la relazione tra urbano, riappropriazione del reale e presentazione: “Lo statuto platonico dell’immagine non è stato veramente messo in discussione fino a quando l’espansione della cultura urbana ci ha portato da un’arte della rappresentazione a un’arte dell’appropriazione del reale, vale a dire della presentazione.”[32] Ma nel nostro caso l’azione non viene solo presentata, è vissuta, ne viene fatta esperienza dagli artisti e viene proposta l’esperienza al pubblico. Non è un ready-made in cui un oggetto viene decontestualizzato e presentato in un museo. A Saint-Julien-le Pauvre nasce un ready made urbano che attribuisce valore estetico non ad un oggetto bensì a un luogo, e lo aziona portando l'arte - impersonata nei corpi degli artisti Dada - in un luogo banale della città. La presentazione di un luogo urbano avverrà d’ora in poi attraverso la presenza significante degli artisti in quel luogo. Prima della visita di Dada un artista che avesse voluto sottoporre all'attenzione del pubblico un luogo, avrebbe dovuto spostare il luogo reale in un luogo deputato per mezzo della rappresentazione attraverso la propria interpretazione: poteva andare in un luogo particolare, dipingerlo e portarlo in un museo, oppure scolpire un oggetto e installarlo in una piazza o in un parco. L'operazione di Dada offre una nuova possibilità: andare semplicemente lì e rimanere fuori dalla rappresentazione. In questo senso è veramente la prima di una lunga serie di azioni urbane, artistiche e politiche, che continuano tutt’oggi come interventi diretti di critica e di trasformazione dello spazio urbano, come progetti di anti-arte. Azioni concepite come opere immateriali che non producono oggetti ma esperienze, che non sono vendibili nel mercato dell’arte e che mirano al superamento della rappresentazione in favore non soltanto della presentazione, ma della presenza stessa. Quella "nuova interpretazione della natura applicata questa volta non all'arte, ma alla vita" annunciata nel comunicato stampa, è un rivoluzionario appello della vita contro l'arte, del quotidiano contro l'estetico, del presente contro il futuro.

"Dada è contro il futuro". Lo aveva scritto Tristan Tzara nel manifesto del 1918, era divenuto uno slogan negli anni successivi[33] e lo si era riaffermato un mese prima della visita a Saint Julien le-Pauvre nel volantino che accoglieva l’arrivo dei futuristi a Parigi nel 1921. Marinetti presentava la sua ultima creazione, il “tattilismo”, immaginando di trovare adepti nella nuova generazione di poeti parigini.[34] Ma Dada si scrolla di dosso l'ingombrante eredità dei suoi fratelli maggiori, ne prende le distanze dai contenuti politici guerrafondai e durante la conferenza di Marinetti, diffonde un bellissimo volantino dove afferma: "Il futurismo è morto. Di che? Di DADA". Il gruppo parigino è lontano dai proclami futuristi. La città dadaista è una città del banale e del quotidiano lontanissima dalle speranze ipertecnologiche del futurismo. La visita ai luoghi insulsi è per i dadaisti una forma concreta di dissacrazione di ogni progetto per il futuro. L’azione si compie direttamente nella realtà banale della vita quotidiana, attraverso la sola presenza consapevole nel presente. Rifiutare di proiettarsi nel futuro per vivere il presente è l’abbandono di ogni idea di progetto operativo. Dada apre la strada al progetto inoperativo.

Nel suo proposito di superamento dell’arte portato nel vivo dello spazio urbano, possiamo leggere a questo punto un più ampio proposito di superamento dell’urbanistica e dell’architettura e forse più in generale, di superamento del progetto stesso. La foto di Dada presenta il gruppo in una postura inoperante, in un vago e ozioso perder tempo, in una sorta di flânerie statica. Dada è lì e si fa una foto per mostrare quello che sta facendo, cioè nulla… Eppure non sono lì per caso, nei loro propositi il progetto è svelare qualcosa, il banale terrain vauge, il luogo che non ha nessuna ragione di esistere, il nulla stesso di ogni progetto possibile. Questa è sempre stata la lettura in negativo del nichilismo di Dada.

Ma forse in quel nulla possiamo cominciare a leggere anche qualcosa in positivo e considerare questa azione di Dada come l’inizio di un progetto inoperativo. Camillo Boano, da urbanista e architetto, scrive delle potenzialità della postura inoperante, un atteggiamento e un’attitudine capaci di neutralizzare il potere e di renderlo inoperativo. Citando Agamben afferma che una postura che restituisce la “potenzialità sotto forma di inoperatività e inefficacia […] non è la distruzione ma la disattivazione della legge, rende la legge ineseguibile”.[35] Agamben a questo proposito cita a sua volta Benjamin: “Sull’interruzione di questo circolo, che si svolge nell’ambito delle forme mitiche del diritto, nella destituzione del diritto assieme a tutte le forze alle quali si appoggia, in definitiva quindi nell’abolizione del potere dello Stato, un nuova epoca storica è fondata”[36]. E poi ancora Agamben: “Mentre un potere costituente distrugge il diritto solo per ricrearlo in una nuova forma, il potere destituente, nella misura in cui depone una volta per tutte il diritto, può aprire veramente una nuova epoca storica”.[37] Alla ricerca di un progetto inoperativo urbano ed architettonico, Boano evoca quindi una voce minore, atta a “contrastare la natura del progetto in quanto operativa, pratica, patriarcale, concreta, tangibile ed orientata alla risoluzione dei problemi. (….) Non un progetto contro-egemonico – una altra lingua maggiore – un altro progetto storico o un rinnovato discorso umanistico o un nuovo manifesto d’azione, piuttosto la potente voce di Bartleby che, oltre a cessare la sua azione di scrittura, «prefer not to».[38] (…) Un progetto inoperante è un superamento del progetto stesso che tocca l’ineffabile qualità del suo di più. (…) il progetto inoperativo non si esaurisce, rimane in potenza, una potenzialità che, invece di passare all’attualità, rimane pura potenzialità.”[39] Il progetto come qui inteso non si pone su un piano temporale. “Progettare non significa ‘gettare avanti’ nel tempo, ma piuttosto ‘pensare’ la profondità dello spazio. Non si pone come mezzo in vista di un fine futuro, ma come tecnica in grado di attraversare la trama del reale”.[40]





[1] Georges Hugnet, L’aventure Dada (1916-1922), Galerie de l’Institut, Paris 1957.

[2] Il programma della Grande Saison Dada è stampato a febbraio sull’altro lato dell’invito della mostra di Max Ernst e propone: «Visites, salon dada, congrès, commémorations, opéras, plébiscites, réquisitions, mises en accusation et jugements».

[3] Georges Hugnet, L’aventure Dada (1916-1922), Galerie de l’Institut, Paris 1957, p. 81.

[4] “A garbage dump for the local residents” in Mark Polizzotti, Revolution of the Mind: The Life of André Breton, Farrar Straus and Giroux, New York 1995, p. 152.

[5] Michel Sanouillet, Dada a Paris, (1965) Cnrs Editions 2005, p. 214. Nota 12.

[6] Michel Sanouillet, Dada a Paris, (1965) Cnrs Editions 2005, p. 213. Nella nota 8 si riporta a questo proposito il Post Scriptum di Picabia che prende le distanze dall’operazione: “Essendo malato da sei settimane, io non faccio assolutamente parte dell’organizzazione di questa manifestazione. Quello che spero è che non vi sia presente nessun carattere politico, clericale o anticlericale, perché mi asterrò sempre dal partecipare a un’azione di questo tipo, considerando Dada come un personaggio che non ha a che fare con il credere, qualsiasi esso sia”. Asté d’Eparab, Le Dadas visitent Paris, "Comœdia" del 14 aprile 1921.

[7] Il riferimento è in risposta all’articolo Faut-il fuciler les Dadaistes? pubblicato ne “La Revue de l’Epoque” di febbraio 1921.

[8] Asté d’Eparab, Le Dadas visitent Paris, "Comœdia" del 14 aprile 1921. L'operazione di Dada a Saint-Julien-le Pauvre era stata annunciata anche nella rivista "Litterature" n°19.

[9] Lettera di Eluard A Tzara del 4 marzo. TZR.C.1321, citata in Sanouillet, op. cit. p. 215 nota 15. Vedi anche Tristan Tzara, Some Memoirs of Dadaism, Vanity Fair, 1922 p. 70, 92. Ripubblicato in Tristan Tzara, Quelques Souvenirs in: Tzara, Œuvres Complètes, Vol. 1, Flammarion, Paris 1975, p. 596.

[10] I testi vengono riportati in "Comœdia" del 15 aprile con un articolo dal titolo Les disciples de DADA à l'Eglise Saint-Julien-le Pauvre, e sono ripubblicti in Michel Sanouillet, Dada a Paris, (1965) Cnrs Editions 2005, pp. 215. Sulla stampa del giorno dopo esce anche un articolo di P. Souday, Dadaisme, “Le Temps” del 15 aprile.

[11] Testimonianza di Georges Ribbemont-Dessaignes, Déjà jadis, ou du mouvement Dada à l’espace abstrait René Juillard, Parigi, 1958 p. 94. Vedi anche Georges Ribemont-Dessaignes, History of Dada, in Robert Motherwell (ed.) “The Dada Painters and Poets: An Anthology”, G. K. Hall, Boston 1951.

[12] Lettera di Eluard a Tzara del 12 aprile, TZR.C.1324, citata in Sanouillet, op. cit. p. 216, nota 20.

[13] André Breton, Les ‘Enfers artificiels.’ Ouverture de la ‘Saison Dada 1921’, Manoscritto originale nella collezione della Bibliothèque Littéraire Jacques Doucet, Paris, inv. 7210–85; pubblicato in André Breton, Œuvres complètes, ed. Marguerite Bonnet, vol. 1 (Gallimard, Paris 1988), pp. 623–30; vedi anche Matthew S. Witkovsky, Artificial Hells, Inauguration of the “1921 Dada Season”, October 105, Summer 2003, pp. 137–44 e 137–38.

[14] André Breton in: André Parinaud, André Breton - Entretiens, 1952, p. 48.

[15] Questo tema è ampliamente sviluppato in Claire Bishop, Artificial Hells: Participatory Art and the Politics of spectatorship, Verso, 2012, pp. 67-71. (trd. It. Inferni Artificiali. La politica della spettatorialità nell'arte partecipativa, Luca Sossella Editore, 2015). Vedi anche T. J. Demos, Dada’s Event: Paris, 1921, in: Beth Hinderliter, Vered Maimon, Jaleh Mansoor and Seth McCormick (editors), Communities of Sense. Rethinking Aesthetics and Politics, Duke University Press, London 2009, p 135-152.

[16] La foto di gruppo di fronte alla chiesa è della Collection Timothy Baum New York, quella con Tristan Tzara che legge i fogli e le due di gruppo, con e senza sfondo, sono nel fondo Breton della Collezione del Centre Pompidou, Mnam, BK, Parigi. Le foto e i volantini sono pubblicati in: Xavier Rey, Saint-Julien-le-Pauvre, in: “Dada”, catalogo del Centre Georges Pompidou, Paris, 2005, pp. 696 e 856-59.

[17] “Hidden away in the earth of the city”, in: Jetta Sophia Wolff, The story of Paris churches, guidebook 1918.

[18] Del volantino esistono diversi esemplari, uno si trova nel fondo André Breton del Centre George Pompidou, Mnam BK, un altro nella Gilbert and Lila Silverman Fluxus Collection. Il disegno preparatorio a mano è custodito presso la Gilbert and Lila Silverman Fluxus Collection. La prova tipografica è nella collezione Timothy Baum New York. Esiste poi un disegno di Theodore Frankael, con DADA inscritto in una croce greca e un pope dadaista, forse disegnato in fase preparatoria, forse in situ, forse dopo.

[19] Gabrielle Buffet, Some Memories of Pre-Dada: Picabia and Duchamp, in Robert Motherwell e George Wittenborn, The Dada Painters and Poets: An Anthology, edited by Inc., New York 1951, pp. 255-267. Sulla vita di Gabrielle Bouffet vedi anche: Kamenish, Paula K., Mamas of Dada: Women of the European Avant-Garde. University of South Carolina Press, 2015; e il libro recentemente scritto dalle sue pronipoti Claire et Anne Berest, Gabriële, Stock, Paris 2017.

[20] Mirella Bandini, La vertigine del moderno - percorsi surrealisti, Officina Edizioni, Roma, 1986

[21] Rolf Tiedemann, (ed. it. a cura di Enrico Ganni), Walter Benjamin opere complete, vol IX, I “passages” di Parigi, Torino, Einaudi, 2007, p. 583. Benjamin ne Le strade di Parigi cita Lucien Dubech et Pierre d’Espezel, Histoire de Paris, 1926, p. 337, (P 2,7).

[22] Robert Sears, Scenes and sketches in continental Europe, 1847.

[23] Louis Aragon, Le paysan de Paris, Gallimard, Paris, 1926, p. 155.

[24] Andrè Breton, Pont Neuf, in "La clé des Champs", Paris, 1953, citato in Mirella Bandini, Référentes Surrealistas en las nocionas de deriva y psicogeografia del entorno urbano situacionista, in Libero Andreotti e Xavier Costa (ed.), Situacionistas: arte, polìtica, urbanismo, Museu d'Art Contemporani de Barcelona, ACTAR, Barcelona, 1996.

[25] Su questi temi esiste una vasta bibliografia, solo per citarne alcuni: Mirella Bandini, L'estetico, il politico: Da Cobra all'Internazionale Situazionista, 1948-1957, Officina Edizioni, Roma, 1977; Christel Hollevoet, Quand l'objet de l'art est la démarche, flânerie, dérive et autres déambulations, "Exposé" 2, Orléans, 1995; Christel Hollevoet, Déambulation dans la ville, de la  flânerie et la dérive a l'apprehnsion de l'espace urbain dans Fluxus et l'art conceptuel, "Parachute" 68, 1992; Raul Vaneigem (Jules-Françoise Dupuis), Histoire désinvolte du Surréalisme, (1977) trad. it. Storia disinvolta del Surrealismo, AAA, Udine, 1996; Jean Hubert Martin, Itinéraires surréalistes, dérives et autres parcours, in : Cartes et figures de la Terre, catalogue du Centre Georges Pompidou, Paris, 1980, pp. 197-202 ; Achille Bonito Oliva, Le tribù dell’Arte, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Roma, 2001; Rebecca Solnit, L’art de marcher, Actes Sud, 2002; Thiery Davila, Marcher, créer, Regard, Paris, 2002.

[26] Polizzotti, Mark 1995, Revolution of the Mind: The Life of André Breton, New York: Farrar, Straus and Giroux, p.153.

[27] Francis Picabia, M. Picabia Separates from the Dadas, “Comoedia”, 11 maggio 1921. Ripubblicato in: Francis Picabia. I Am A Beautiful Monster: Poetry, Prose, and Provocation, MIT Press, Cambridge, 2007, pp. 263–64.

[28] Joyce Suechun Cheng, Paris Dada and the Transfiguration of Boredom, Modernism/modernity, Volume 24, Number 3, September 2017, p. 622.

[29] Sulla flânerie e Baudelaire vedi Walter Benjamin, Die Widerkehr des flâneurs, in F. Hessel, Spazieren in Berlin, 1929; Walter Benjamin, Le flâneur. Le Paris du Second Empire chez Baudelaire, in: Charles Baudelaire un poète lyrique à l’apogée du capitalisme, Payot, Paris 1974.

[30] La citazione è tratta da Sheringham, Everyday Life: Theories and Practices from Surrealism to the Present, p. 65.

[31] Julian Jason Haladyn, Everyday Boredoms or Breton’s Dadaist Excursion to Saint-Julien-le-Pauvre in: Justin Derry and Martin Parrot (eds.): The Everyday: Experiences, Concepts and Narratives, London 2013, pages 20-33. Su questi temi vedi anche: Julian Jason Haladyn, Boredom and Art: Passions Of The Will To Boredom.

[32] Pierre Restany, Cette culture qui vient de la rue, Vitry-sur-Seine, 2000.

[33] A questo proposito vedi il poster disegnato nel 1922 da Kurt Schwitters e Theo van Doesburg per la Kleine Dada Soirée (Piccola serata Dada), una composizione di parole e frasi che cambiano direzione, in cui la parola "Dada" è ripetuta in lettere rosse e slogan in varie lingue proclamano: " Dada non è una scuola letteraria! Dada è contro il futuro, Dada è morto, Dada è idiota, Viva Dada! (Litografia di Kurt Schwitters e Theo van Doesburg, Kleine Dada Soirée, 1922, Moma New York)

[34] André Rigaud, M. Marinetti nous révéle le “tactilisme”, "Comoedia", 15.01.1921

[35] Giorgio Agamben, Il Tempo che resta. Un commento alla Lettera dei Romani, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p. 97. Dello stesso autore vedi anche: Giorgio Agamben, Creazione e anarchia. L’opera d’arte nell’età della religione capitalista, Neri Pozza, Verona 2017.

[36] Walter Benjamin, Per la critica della violenza (1920-1921?) pubblicato da www.filosofia.it, rivista on-line registrata issn 1722-9782, tratto da: Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, vol. II.1, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1999, pp. 179-204.

[37] Giorgio Agamben, Per una teoria del potere destituente, Conferenza pubblica (Atene, 16 novembre 2013), https://www.sinistrainrete.info/societa/3401-giorgio-agamben-per-una-teoria-del-potere-destituente-.html, pubblicata in What is a Destituent Power?, in “Environment and Planning. Society and Space”, 32.1, 2014, pp. 65-74.

[38] Il riferimento è al famoso libro di Herman Melville, Bartleby the Scrivener: A Story of Wall Street, 1853. Per approfondire vedi Gilles Deleuze, Giorgio Agamben, Bartleby, la formula della creazione, Quodlibet, Macerata 1993.

[39] Camillo Boano, Progetto Minore, Alla ricerca della minorità nel progetto urbanistico e architettonico, Lettera Ventidue, Siracusa 2020. Vedi anche: Camillo Boano, The Ethics of a Potential Urbanism. Critical Encounters between Giorgio Agamben and Architecture, Routledge, London, 2017.

[40] Edoardo Fabbri e Maria Pone, Spostamenti. Il progetto minore di Camillo Boano, Laboratorio Archeologia Filosofica, 7 maggio 2021 https://www.archeologiafilosofica.it/spostamenti-il-progetto-minore-di-camillo-boano/?fbclid=IwAR3wRaB8C-PvB9_Y7EmP-HJVULjY86-_lYo1KFfeEsdO6fy98mzVDjzytwk

 


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