di Francesco
Careri e Serena Olcuire
per il Master Studi del Territorio / Environmental
Humanities
pubblicato in U3 #02 UrbanisticaTre, 2019, pp. 5-7
Sulla pagina del sito del Master il primo anno galleggiavano due astronauti: sotto di loro il mondo, molto vicino, che offriva paesaggi di urbanità informali, di tessuti urbani vernacolari e territori esotico-industriali. Gli astronauti ci raccontavano di uno sguardo strabico, che riusciva per un lato ad osservare il territorio urbano planandovi ed esplorandolo direttamente, calpestandone il suolo ed esperendone l’atmosfera; dall’altro, a conservare le migliaia di chilometri utili per orbitarvi intorno ed osservarlo da lontano (distanza necessaria, a volte, sia per una analisi critica che per scatenare gli immaginari dei luoghi che non conosciamo).
Il secondo anno da
Pompei è arrivata la tuffatrice, un brulicare di tuffatrici e tuffatori color
rosso pompeiano, che si lanciano e riemergono da uno specchio d’acqua sullo
sfondo della Città dello Sport, capolavoro dell’incompiuto romano dell’archistar
Santiago Calatrava. Le tuffatrici ci sollecitavano sullo sprofondare,
sull’immergersi, e poi, appunto, sull’emergere: l’emergenza, nel doppio significato della parola, e dunque
l’allarme per il pericolo repentino di un fenomeno in atto, ma anche
l’emersione di circostanze, dinamiche e spazi che da quel pericolo possono
salvarci.
Quando ci chiedono
che cos'è questo master spesso rispondiamo “è un master che si occupa di
territorio dal punto di vista umanistico e scientifico, non tecnoscientifico”.
È un master che non intende produrre professionalità intenzionate ad inserirsi
nel mondo lavorativo entrando ciecamente nel sistema di controllo e produzione
del territorio neoliberista, ma persone capaci di osservarlo elaborando
critiche utili alla decostruzione e al superamento di quel sistema. È un master
che prende posizione, perché afferma che il territorio lo si deve studiare e
governare attraverso uno sguardo multidisciplinare: specificità dell’offerta
formativa del master è infatti l’impegno a integrare i diversi saperi e la
pluralità di competenze necessarie quando si affrontano i temi sollevati
dall’abitare, e operare in una dimensione territoriale, urbana, ambientale.
L’obiettivo è infatti sviluppare le conoscenze necessarie per leggere e
comprendere il contesto territoriale e urbano da differenti prospettive
all’interno dell’ambito umanistico, coinvolgendo saperi quali l’architettura,
l’urbanistica, la geografia, l’economia, la filosofia politica, la storia
dell’arte e l’estetica. I diversi sguardi si compenetrano, talvolta in forma
complementare e talvolta in modalità oppositive, scatenando
micro-conflittualità che esprimono il portato della messa in gioco di ogni
ambito disciplinare.
Per far ciò,
sembra importante sottolineare il ruolo della dimensione collettiva: in questo
senso, il master si rivela utile non solo come laboratorio di formazione
condivisa, ma anche come collettivo di elaborazione di saperi inediti e
critici. Le environmental humanities
sono una forma innovativa di ricerca che fa tesoro della crescente
consapevolezza in merito alla crisi climatica e alle trasformazioni ecologiche,
e intendono costruire e offrire strumenti analitici e operativi per il
dibattito pubblico e per gli interventi sul territorio.
Impegno sempre più
gravoso, dunque, in quanto richiede di addentrarci in una selva dalla doppia
accezione, quella dell’intreccio di saperi che emergono dalla
transdisciplinarità e quella degli spazi attuali, delle dinamiche che li attraversano
e della loro governance.
Una selva che ci
si propone nel suo carattere di territorio inesplorato, complesso e in continua
trasformazione; talvolta, invece, come territorio conosciuto che necessita di
una rilettura, di un affondo, di un allunaggio, di un’immersione.
In entrambi i
casi, la selva con cui ci confrontiamo negli studi del territorio evidenzia la
necessità di strumenti analitici complessi, e la rimessa in discussione di
molte delle categorie di lettura che ci ostiniamo ad utilizzare (e dei relativi
lemmi), accettando di sfumarne ulteriormente i confini affinché dalla sfocatura
possano emergere nuove immagini. È il caso della selva stessa, limite che segna
le diverse concezioni e i differenti approcci disciplinari al territorio, ma
che diventa luogo di passaggio, di transizione, di trasformazione. Un terrain vague, terreno neutro tra
comunità e ambienti differenti in cui collocare incontri e scambi. Una soglia
di compresenze, dove l’incontro tra i saperi tenta una faticosa (ma entusiasta)
ibridazione. Un limen che si rivela limes, confine vissuto, grazie alla
dimensione dello spazio, che coinvolge e accomuna tutte le forze in campo. Uno
spazio che non si limita alla sua dimensione euclidea, ma si estende a quella
politica, estetica, comunicativa, sociale: uno spazio che chiede di essere
confrontato con il nomos che lo
regola. La selva attuale testimonia la compresenza tra spazio naturale e
civile, dove le norme stabilite e scritte inselvatichiscono, ma la pratica
dell’attraversamento ne rivela di inedite e informali. La mancanza di regole
rende la selva, paradigma disciplinare e spaziale, un luogo di libertà dalle
potenzialità inespresse, ma anche spazio della in-civiltà, in cui il più forte
ha la meglio sul più debole, in termini giuridici e in termini economici. E qui
il saper scrivere nuove regole per la convivenza, con un’attitudine democratica
e non tecnoscientifica è la sfida che si pone il master. Il lavoro portato
avanti durante il modulo “Studi Urbani” è andato in questa direzione, affrontando
le diverse modalità con cui alcuni meccanismi economico finanziari determinano
la produzione di rendita urbana, e individuando mezzi e soggetti che hanno
controllato il suo intercettamento, la sua appropriazione e la conseguente
mancata redistribuzione per la collettività.
In che modo lo
spazio urbano è prodotto da tali dinamiche, e in che modo contribuisce a
ri-produrle? L’attitudine che proponiamo per capirlo è esercitarci a diventare
astronauti e tuffatrici, a immergerci nella selva conservando la nostra
capacità di osservare da dentro e da sopra, e di riconoscere chi o cosa ha
creato l’emergenza e chi o cosa può salvarci (o ci sta già salvando) dal
soccombere, elaborando nuove direzioni di intervento per la gestione e la cura
del territorio.
Francesco Careri è membro fondatore di
Stalker e Professore Associato del Dipartimento di Architettura di Roma Tre,
dove svolge il Corso di Arti Civiche, un corso a struttura peripatetica che si
svolge interamente interagendo in situ con i fenomeni urbani emergenti. Dal
2015 è Direttore del Master Studi del Territorio / Environmental Humanities.
Serena Olcuire consegue la laurea in
progettazione architettonica all’Università di Roma Tre e il dottorato in studi
urbani presso il DICEA - Sapienza Università di Roma. Oltre a collaborare con
il Master Studi del Territorio / Environmental Humanities è parte del
collettivo artistico ATIsuffix, dell’Atelier Città di IAPh Italia, del
Laboratorio CIRCO e del collettivo di ricerca Emidio di Treviri.
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