18/03/20

L’astronauta e la tuffatrice. Verso un approccio non tecnoscientifico alla selva dei saperi



di Francesco Careri e Serena Olcuire
per il Master Studi del Territorio / Environmental Humanities 
pubblicato in U3 #02 UrbanisticaTre, 2019, pp. 5-7

Sulla pagina del sito del Master il primo anno galleggiavano due astronauti: sotto di loro il mondo, molto vicino, che offriva paesaggi di urbanità informali, di tessuti urbani vernacolari e territori esotico-industriali. Gli astronauti ci raccontavano di uno sguardo strabico, che riusciva per un lato ad osservare il territorio urbano planandovi ed esplorandolo direttamente, calpestandone il suolo ed esperendone l’atmosfera; dall’altro, a conservare le migliaia di chilometri utili per orbitarvi intorno ed osservarlo da lontano (distanza necessaria, a volte, sia per una analisi critica che per scatenare gli immaginari dei luoghi che non conosciamo).
Il secondo anno da Pompei è arrivata la tuffatrice, un brulicare di tuffatrici e tuffatori color rosso pompeiano, che si lanciano e riemergono da uno specchio d’acqua sullo sfondo della Città dello Sport, capolavoro dell’incompiuto romano dell’archistar Santiago Calatrava. Le tuffatrici ci sollecitavano sullo sprofondare, sull’immergersi, e poi, appunto, sull’emergere: l’emergenza, nel doppio significato della parola, e dunque l’allarme per il pericolo repentino di un fenomeno in atto, ma anche l’emersione di circostanze, dinamiche e spazi che da quel pericolo possono salvarci.

Quando ci chiedono che cos'è questo master spesso rispondiamo “è un master che si occupa di territorio dal punto di vista umanistico e scientifico, non tecnoscientifico”. È un master che non intende produrre professionalità intenzionate ad inserirsi nel mondo lavorativo entrando ciecamente nel sistema di controllo e produzione del territorio neoliberista, ma persone capaci di osservarlo elaborando critiche utili alla decostruzione e al superamento di quel sistema. È un master che prende posizione, perché afferma che il territorio lo si deve studiare e governare attraverso uno sguardo multidisciplinare: specificità dell’offerta formativa del master è infatti l’impegno a integrare i diversi saperi e la pluralità di competenze necessarie quando si affrontano i temi sollevati dall’abitare, e operare in una dimensione territoriale, urbana, ambientale. L’obiettivo è infatti sviluppare le conoscenze necessarie per leggere e comprendere il contesto territoriale e urbano da differenti prospettive all’interno dell’ambito umanistico, coinvolgendo saperi quali l’architettura, l’urbanistica, la geografia, l’economia, la filosofia politica, la storia dell’arte e l’estetica. I diversi sguardi si compenetrano, talvolta in forma complementare e talvolta in modalità oppositive, scatenando micro-conflittualità che esprimono il portato della messa in gioco di ogni ambito disciplinare.
Per far ciò, sembra importante sottolineare il ruolo della dimensione collettiva: in questo senso, il master si rivela utile non solo come laboratorio di formazione condivisa, ma anche come collettivo di elaborazione di saperi inediti e critici. Le environmental humanities sono una forma innovativa di ricerca che fa tesoro della crescente consapevolezza in merito alla crisi climatica e alle trasformazioni ecologiche, e intendono costruire e offrire strumenti analitici e operativi per il dibattito pubblico e per gli interventi sul territorio.
Impegno sempre più gravoso, dunque, in quanto richiede di addentrarci in una selva dalla doppia accezione, quella dell’intreccio di saperi che emergono dalla transdisciplinarità e quella degli spazi attuali, delle dinamiche che li attraversano e della loro governance. 
Una selva che ci si propone nel suo carattere di territorio inesplorato, complesso e in continua trasformazione; talvolta, invece, come territorio conosciuto che necessita di una rilettura, di un affondo, di un allunaggio, di un’immersione.
In entrambi i casi, la selva con cui ci confrontiamo negli studi del territorio evidenzia la necessità di strumenti analitici complessi, e la rimessa in discussione di molte delle categorie di lettura che ci ostiniamo ad utilizzare (e dei relativi lemmi), accettando di sfumarne ulteriormente i confini affinché dalla sfocatura possano emergere nuove immagini. È il caso della selva stessa, limite che segna le diverse concezioni e i differenti approcci disciplinari al territorio, ma che diventa luogo di passaggio, di transizione, di trasformazione. Un terrain vague, terreno neutro tra comunità e ambienti differenti in cui collocare incontri e scambi. Una soglia di compresenze, dove l’incontro tra i saperi tenta una faticosa (ma entusiasta) ibridazione. Un limen che si rivela limes, confine vissuto, grazie alla dimensione dello spazio, che coinvolge e accomuna tutte le forze in campo. Uno spazio che non si limita alla sua dimensione euclidea, ma si estende a quella politica, estetica, comunicativa, sociale: uno spazio che chiede di essere confrontato con il nomos che lo regola. La selva attuale testimonia la compresenza tra spazio naturale e civile, dove le norme stabilite e scritte inselvatichiscono, ma la pratica dell’attraversamento ne rivela di inedite e informali. La mancanza di regole rende la selva, paradigma disciplinare e spaziale, un luogo di libertà dalle potenzialità inespresse, ma anche spazio della in-civiltà, in cui il più forte ha la meglio sul più debole, in termini giuridici e in termini economici. E qui il saper scrivere nuove regole per la convivenza, con un’attitudine democratica e non tecnoscientifica è la sfida che si pone il master. Il lavoro portato avanti durante il modulo “Studi Urbani” è andato in questa direzione, affrontando le diverse modalità con cui alcuni meccanismi economico finanziari determinano la produzione di rendita urbana, e individuando mezzi e soggetti che hanno controllato il suo intercettamento, la sua appropriazione e la conseguente mancata redistribuzione per la collettività.
In che modo lo spazio urbano è prodotto da tali dinamiche, e in che modo contribuisce a ri-produrle? L’attitudine che proponiamo per capirlo è esercitarci a diventare astronauti e tuffatrici, a immergerci nella selva conservando la nostra capacità di osservare da dentro e da sopra, e di riconoscere chi o cosa ha creato l’emergenza e chi o cosa può salvarci (o ci sta già salvando) dal soccombere, elaborando nuove direzioni di intervento per la gestione e la cura del territorio.


Francesco Careri è membro fondatore di Stalker e Professore Associato del Dipartimento di Architettura di Roma Tre, dove svolge il Corso di Arti Civiche, un corso a struttura peripatetica che si svolge interamente interagendo in situ con i fenomeni urbani emergenti. Dal 2015 è Direttore del Master Studi del Territorio / Environmental Humanities.
Serena Olcuire consegue la laurea in progettazione architettonica all’Università di Roma Tre e il dottorato in studi urbani presso il DICEA - Sapienza Università di Roma. Oltre a collaborare con il Master Studi del Territorio / Environmental Humanities è parte del collettivo artistico ATIsuffix, dell’Atelier Città di IAPh Italia, del Laboratorio CIRCO e del collettivo di ricerca Emidio di Treviri.

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