Lapide realizzata dallo scultore Samuel Ramon nel 1972
contenente le parole di Salvador Allende
pronunciate in occasione dell'inaugurazione
dell'edificio UNCTAD III. L'opera è desaparecida.
|
di Francesco Careri
in corso di pubblicazione nella rivista
Opere 30_Città Clandestine
Santiago del Cile, 9 marzo 2012.
Sono a la Facultad de Arquitectura y Urbanismo de la Universidad de Chile. Tra le immagini che mostro alla conferenza c’è quella presa da Google Earth, del Campo Rom di Castel Romano a Roma. Fa sempre un grande effetto, ricorda quella di Auschwitz presa dagli aerei alleati. È l’immagine archetipa del “campo”, con i padiglioni tutti in fila e le vite ridotte a numeri.
Lo ha progettato il gabinetto dell’ex sindaco Walter Veltroni, che ha avuto il coraggio di chiamarlo Villaggio della Solidarietà, ma di solidarietà non c’è nemmeno l’ombra, è una sorta di carcere preventivo di container sovraffollati dove si concentrano persone tutte di una stessa etnia. Al nuovo sindaco Gianni Alemanno è piaciuto così tanto, che ora lo sta perfezionando con recinzioni, telecamere a circuito chiuso, guardiania armata h24. Come in altri campi di Roma anche qui sta per arrivare il DAST - Documento di Autorizzazione allo Stanziamento Temporaneo: è un tesserino simile alla patente di guida, con numero, nome, cognome, fotografia, durata di validità, nome del campo e un codice a barre con ulteriori informazioni utili quali il numero dei figli, la loro scolarizzazione, i precedenti penali etc. Il DAST non ha nessun valore giuridico mentre ai Rom viene fatto credere che si tratti di un vero documento di identità che li possa togliere dall’eterno limbo dei permessi di soggiorno. L’Assessore Sveva Belviso nella conferenza stampa di presentazione del DAST lo promuoveva come “una sorta di carta d'identità comunale". Oggi è diventato un numero da gridare alla guardiania per poter entrare e uscire dal proprio campo in un orario tra le 6 e le 22: se torni dopo dormi in macchina. Unica cosa positiva del DAST è che evita ai Rom privi di permesso di soggiorno di essere rinchiusi in un CIE - Centro di Identificazione ed Espulsione, come gli altri clandestini di questo Paese. Ma non è di questo che ora volevo parlare, ne ho già scritto abbastanza tutte le volte che ne ho avuto occasione. Sono sempre troppo pochi quelli che sanno che in Europa esistono queste città clandestine. Neanche qui a Santiago se lo immaginavano.
La mattina dopo, con tutta la famiglia prendo un taxi per andare in centro a fare una passeggiata, e il tassista invece di lasciarci alla Moneda come avevamo chiesto, decide di lasciarci al CGM, Centro Gabriela Mistral. Una sorta di nuova cattedrale della cultura, rivestita interamente di lamiera corten forata e disegnato in un corretto e anche raffinato International Style dell’era della globalizzazione. Nel 2004 avevo visto lo stesso edificio prima del restyling e nel 2006 lo avevo visto bruciato da un incendio. Si chiamava ancora Edificio Diego Portales nome preso dopo l’11 settembre 1973 quando l’edificio della Moneda, sede del governo della Unidad Popular di Salvador Allende - governo democraticamente e legalmente eletto - veniva bombardata da un golpe clandestinamente organizzato dagli Stati Uniti. Durante tutta la dittatura l’edificio Diego Portales ha funzionato come comando della giunta militare di Augusto Pinochet, fino quando la democrazia è lentamente rientrata nella vecchia Moneda restaurata.
Il Centro Gabriela Mistral è quindi una sorta di alter ego della Moneda. Molti cileni che non conoscono la sua vera storia lo chiamano ancora Edificio Diego Portales, per loro è il simbolo della giunta militare. Il tassista invece ci ha lasciato qui sapendo molto bene quello che faceva, non ha scambiato per caso la Moneda con il CGM. In taxi ci ha raccontato di come lo aveva vissuto da ragazzo, dei concerti di Victor Jara e Inti Illimani, della mensa popolare che faceva due turni di 600 pasti al giorno, degli spazi colorati e psichedelici anni 70, delle opere degli artisti e della ciminiera-scultura da cui uscivano i fumi della mensa. Questo ledificio era in termini architettonici il simbolo più importante del governo di Allende. Era stato costruito nel 1972 per la III Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo, nota come UNCTAD III per mostrare il Cile della Unidad Popular ai tremila delegati provenienti da tutto il mondo. Ha vissuto solo 15 mesi prima del golpe militare, ma ha lasciato in una generazione il ricordo indelebile di un Cile democratico e socialista che si presentava come modello per tutti i paesi in via di sviluppo.
Quando scendiamo dal taxi ci ritroviamo nella hall di una megastruttura anni ’70, sembra di stare nei disegni del Fun Palace di Cederic Price, tra le travi reticolari del Centre Pompidou di Piano e Rogers. Quello che turba qui sono i negozi, accanto alle mostre e ai concerti non c’è solo il classico bookshop che vende gadget per turisti, qui si vendono addirittura scarpe e vestiti di lusso. Fa riflettere la sigla: l’ex CCGM - Centro Culturale Gabriela Mistral, oggi si chiama solo CGM proprio perché ha perso la C di Culturale. Forse potrebbe riprenderla come Commerciale. Cerchiamo tracce del vecchio edificio ma a parte un pezzo di copertura di vetri colorati, non ne troviamo molte. Poi una placca in ferro ci invita a seguire un progetto di arte pubblica disperso nell’edificio. Sono “filtracioes”, interventi sulla memoria, infiltrazioni: uno è un lungo corrimano su cui è stampato in alfabeto braille il discorso di inaugurazione di Allende, un altro è disperso in scatole di vetro che contengono gli aliti di quello che era stato l’edificio, un altro ancora si chiama “Espacio de Reactivacion de la Memoria del Edificio”, un grande pannello installato nella biblioteca, che ricostruisce la genealogia culturale e istituzionale di questo monumento cileno. Quando chiedo in biblioteca se c’è un libro che racconta la storia di questo luogo, mi portano una serie di articoli di riviste di architettura sul nuovo edificio di corten. Mi dicono che non ci sono né piante, né foto né articoli di com’era l’edificio di Allende, sembrano non saperne niente. Strano che non sia stato fatto un libro sulla storia del CGM una volta che lo si è restaurato.
Poche ore dopo mi trovo con Patricio Castro del collettivo TUP - Trabajos de Utilidad Publica, che ha partecipato con le installazioni Halitos al progetto di arte pubblica per il nuovo CGM curato da Paulina Varas e Jose Llano. Ha un libro con un titolo grande “275 dìas” e un sottotitolo “Sitio, Tiempo, Contexto y Affeciones Especificas”. È il libro che cercavo e che doveva pur esistere: è il catalogo della mostra ma anche un archivio della memoria. Un libro stampato in migliaia di copie che oggi sono chiuse in un deposito del ministero dei Lavori Pubblici del nuovo governo di destra formato dagli ex delfini di Pinochet. Patricio mi spiega che è stato stampato nel giugno 2011 ma che non verrà mai distribuito perché ci sono un logo e una scritta sbagliati, una scusa per censurarlo. La versione che ho io ora in mano ha due adesivi a coprire questi “errori”, e fa parte di un numero ristretto di copie date agli autori del progetto di arte pubblica “275 dìas”. Il libro si trova comunque su http://www.275dias.cl/publicacion/ e riporta alla storia con interviste, piante, foto, documenti inediti, opere d’arte dell’epoca e interventi attuali, il lavoro collettivo che era stato alla base di questa architettura/manifesto di Salvador Allende, costruita in soli 275 giorni, otto mesi! È un libro clandestino? Chi è clandestino in questa storia? Il nuovo centro culturale immemore o gli artisti che ci disseminano dentro tracce di memoria semi-invisibili? L’ edificio di Allende che ci vive ancora dentro o la pelle che ne ricopre le spoglie?
Quando torno a casa una mail mi dice che a Roma l’occupazione abitativa del Metropoliz è accerchiata da camionette di polizia e che Paolo di Vella dei BPM, il gruppo che coordina l’occupazione, è agli arresti domiciliari. Il Metropoliz da tre anni ospita illegalmente cittadini da tutto il mondo e con l’università ne stiamo seguendo le vicende perché ci abbiamo visto un interessantissimo laboratorio di città intercultuale. Sono persone che provengono dal Perù, dal Marocco, dall’Ucraina, e dalle più diverse parti del mondo, e sono persone che hanno voluto includere nel loro progetto di Città Meticcia anche una grande comunità Rom proveniente dalla Romania. Com’è possibile che una esperienza così importante possa rischiare di essere cancellata in quanto illegale? Com’è possibile che tutte queste persone siano costrette a vivere perennemente in una città clandestina e che quando vengono in piazza per rivendicare i loro diritti e modi alternativi di vivere la città gli si risponda con le camionette? Le baraccopoli, i centri sociali, le occupazioni abitative, gli accampamenti dei Rom, sono forse loro le Città Clandestine? O non sono forse la risposta a chi legalmente e con tutte le care in regola fa crescere le rendite fondiarie, raddoppia le cubature, trasforma enormi porzioni di campagna in palazzine, si appropria di riserve naturali incontaminate con il solo fine di produrre profitto per le loro tasche? Non sono forse queste le oligarchie che illegalmente hanno messo fine al Governo Allende? È per questo che clandestinamente ne occultano la memoria? Clandestino chi?
Nessun commento:
Posta un commento