Rom, o dell'impossibiltà di essere un figurante
di Francesco Careri
(publicato in francese in: “de(s)générations” n°13, Saint-Eienne, 2011, pp. 35-42)
Texte en français au fond
“I figuranti sono la notte del cinema, quando il cinema
vuole essere un arte per far brillare le stelle”- scrive Didi-Huberman nel
numero 09 di questa rivista dedicato ai figuranti, e continua – “sono i non-attori per eccellenza (…) stanno
alla storia che si racconta come una tela di fondo costituita di volti, di
corpi, di gesta”[1]. Ho cominciato a ragionare
a partire da questa frase per capire se i Rom possono rientrare nella categoria
dei figuranti[2]. Sicuramente i Rom non
sono mai stati protagonisti ma sempre sfondo della Storia. Una Storia loro non
l’hanno mai scritta e quella scritta da noi, si sa, non ha mai incluso i vinti,
le masse e i derelitti. Ma nella storia del cinema e forse in generale nella
storia delle immagini - a parte i film di genere come in Emir Kusturica e Tony
Gatlif, dove i Rom sono sia protagonisti che figuranti - non ricordo mai di Rom
che passano sullo sfondo. La stessa cosa succede nella realtà della vita
quotidiana: quando i Rom compaiono alla nostra vista non sono mai sfondo, sono
sempre protagonisti. Se ci si riflette i Rom che passano sul marciapiede non
sono mai dei semplici passanti, figuranti o sfondo neutro, perché non passano
inosservati, attirano gli sguardi. Gli occhi li seguono fin quando non escono
dalla scena, fino al cessato pericolo. Ritornando al cinema, se una camera da
presa li inquadrasse mentre passano, non potrebbe fare a meno di continuare a
seguirli fin quando non scompaiono, la camera non potrebbe andare su un altro
soggetto come se niente fosse. La telecamera passando sullo sfondo avrebbe
trovato qualcosa che per sua natura attirerebbe uno zoom, un commento, un
apprezzamento, un’interpretazione. Allo stesso modo, se il pennello di un
pittore o un obiettivo fotografico li dovesse ritrarre, quella presenza sarebbe
sicuramente significante, non potrebbe mai essere una figura anonima.