E’ qui New Babylon?
di Francesco Careri
(articolo pubblicato su "lo squaderno n°18" “lo squaderno” n° 18, The value of places / Il valore dei luoghi, December 2010, pp. 61-65, traduzione inglese dal link)
La prima volta che incontro Constant è nel suo studio ad Amsterdam nel gennaio 2000. Parliamo di New Babylon ville nomade, del rapporto che lui aveva con i gitani (parlavamo in francese), del terrain vague come spazio neobabilonese. Per tutta risposta mi indica una grande finestra tappata, e mi racconta che dietro c’era un terrain vague in cui fino a dieci anni prima si accampava un gruppo di Sinti, facevano fuochi, feste e musica e lui ogni tanto andava a trovarli. Era diventato amico di alcuni musicisti gitani con cui facevano delle serate e suonavano nelle feste degli amici. Finchè i Sinti se ne erano dovuti andare per far posto al nuovo quartiere, e lui aveva deciso di chiudere la finestra con un cartone: non si vedeva più niente di interessante, New Babylon non c’era più, si era spostata in qualche altro terrain vague della Terra. È da allora che mi chiedo se il terrain vague debba essere l’unico luogo disponibile all’abitare dei Rom o se non si possano immaginare luoghi dove sperimentare New Babylon più stabilmente. Se il popolo Rom porta veramente con sé i semi di New Babylon, e se nei loro accampamenti ci sia veramente una New Babylon in nuce. Soprattutto se non sia possibile cominciare a lavorare con loro per costruire una New Babylon che non sia né una baraccopoli infestata di ratti né una megastruttura ipertecnologica.
Nell’agosto del 2005 Constant è morto. Ho il rimpianto di non essere mai riuscito ad organizzare un suo viaggio a Roma a trovare Stalker che in quegli anni lavorava al Campo Boario insieme a tante comunità straniere, tra cui i Rom Kalderasha. Pochi giorni dopo la notizia decido di partire per un pellegrinaggio ad Alba a cercare l’accampamento dei Sinti Piemontesi dove tutto era cominciato. Insieme ad Armin Linke e Luca Vitone andiamo a Torino ad incontrare la figlia Martha che ci mostra le foto di famiglia, e poi ad Alba a vedere se esistono ancora i Sinti che nell’autunno del 1956, Constant aveva incontrato accampati nel terreno di Pinot Gallizio . Li troviamo là, ancora accampati sulle rive del Tanaro, non più con i carri e i cavalli delle foto in bianco e nero, ma in casette di muratura con portici e tettoie per le roulotte, un piccolo quartiere di casette con giardino costruito abusivamente sotto la continua minaccia di un esondazione del fiume o di uno sgombero delle forze dell’ordine. Per loro Constant aveva elaborato il suo primo progetto architettonico, l’Accampamento degli Zingari di Alba, l’inizio di quella utopia concreta sviluppata nei venti anni successivi come New Babylon: la città nomade che dopo la rivoluzione situazionista avrebbe abolito il lavoro, la necessità di una dimora stabile e di che avrebbe abitato una terra senza frontiere ramificandosi in una deriva continua, realizzando una nuova umanità itinerante e multiculturale: il popolo errante dei neobabilonesi. Ripartiti dall’accampamento di Alba comincio a pensare che i situazionisti in realtà non avevano saputo sfruttare appieno l’occasione che gli si presentava. Invece di misurarsi con le reali necessità dell’accampamento sinto, si erano rifugiati nella teoria, nella politica e nell’utopia architettonica . Il campo dei Sinti avrebbe potuto essere un terreno comune in cui mettere in campo le loro capacità creative e relazionali, in cui sperimentare l’autocostruzione di una città multiculturale da progettare e realizzare in forma ludica, interdisciplinare e partecipante, in cui insomma verificare quella nuova disciplina estetica e politica di trasformazione dello spazio che avevano chiamato urbanismo unitario.
Ad Alba non vedo la New Babylon nomade che idealizzavo, ma un modo di vivere più stabile e comprendo anche che se lasciati vivere in pace i cosiddetti “nomadi” sanno dare forma stabile ai loro desideri abitativi. I Sinti di Alba saranno spostati in campo nomadi tra il canile municipale ed il carcere dove non saranno più liberi di costruirsi le loro case e il loro habitat, come tutti gli altri “nomadi” di questo paese. Anche per loro sarà attivata quell’urbanistica del disprezzo che li confina tra le discariche in attesa che il valore dei terreni salga per essere poi ciclicamente spostati . Nel loro futuro non c’è nessuna New Babylon.
Dopo la visita di Alba mi rendo conto che bisogna andare là dove i situazionisti si sono fermati, nella concretezza spietata dei campi nomadi, e comprendo anche quanto idealizzare il nomadismo non fa che aumenti la nostra distanza e l’ignoranza riguardo al mondo dei Rom. Forse bisogna capire che cosa di New Babylon può essere utilizzato per cercare una risposta alternativa concreta ai campi nomadi. Forse di deve trovare insieme a loro un terreno comune dove sperimentare l’Urbanismo Unitario nelle nostre condizioni storiche, senza l’abolizione del lavoro e senza che si sia mai realizzata la rivoluzione situazionista. Dal 2006 con Stalker ci immergiamo con tutto il corpo nelle molteplici forme di abitare forzato dell’universo nomade . Visitiamo decine di insediamenti, baraccopoli, case di lamiera di cartone e di mattoni, tende, casali occupati, villaggi dentro fabbriche dismesse, aree di transito, campi autorizzati a diventare bidonville senza acqua né luce né fogne, campi attrezzati con container dove crescono sovraffollandosi intere generazioni senza documenti né identità e infine la risposta tecnicamente più avanzata ideata dalle istituzioni per fronteggiare l’“emergenza nomadi”, i famigerati “villaggi della solidarietà”.
Sono le nuove “città per i nomadi” che saranno esportate nel resto di Italia e forse in Europa, la loro “città a parte”, il loro apartheid: stati di eccezione segreganti, fuorilegge perché creati con legislazioni di emergenza e in deroga alle leggi e agli standard abitativi, lontani e invisibili dalla città, disegnati come stretti filari di container sovraffollati, con reti metalliche tutto intorno, telecamere di videosorveglianza a circuito chiuso, ingresso vigilato 24 ore su 24, impossibilità di entrare anche per i parenti stretti. Gli abitanti di questi nuovi campi di concentramento non portano un numero stampato sul braccio ma, dopo essere stati fotosegnalati e schedati, gli viene distribuito il DAST , un documento che serve a entrare e uscire dai campi con orari stabiliti, non oltre le dieci di sera, non prima delle sei di mattina. Chi rifiuta i campi o sfugge alla schedatura cercando una sua strada alternativa si trasforma definitivamente in “clandestino”, e potrà essere rinchiuso, senza processo e senza aver commesso reato, in un C.I.E (Centro di Identificazione ed Espulsione). e forse rimpatriato in una patria che non ha mai conosciuto (la maggioranza di loro sono nati e cresciuti in Italia). Entrando in questo mondo capisco quanto siano equivoche le parole campo e nomadi, un alibi per inchiodare nei campi sosta chi avrebbe voluto continuare ad essere nomade o seminmede come i Sinti e i Rom Kalderacha, e per nomadizzare in una vita costantemente precaria chi nomade non era mai stato e invece aveva una casa come molti profughi delle guerre dei Balcani, a cui per sempre sarà negato il diritto a una casa.
Inutile dire che New Babylon non è in nessuno di questi campi.
In alternativa ai campi di container dell’apartheid della solidarietà, nel luglio del 2008 insieme ai Rom del Casilino 900 costruiamo Savorengo Ker , che in lingua romanés significa “la casa di tutti”, una piccola casetta in legno costata un terzo di un container, ideata, progettata e realizzata direttamente da chi avrebbe voluto andarci ad abitare. Una casa manifesto che intende dire che i Rom non sono più nomadi, che vogliono una casa e che sanno organizzarsi tra loro e lavorare per costruirla. Una casa non solo per i Rom ma per tutte quelle persone che oggi si trovano in emergenza abitativa e a cui è negata la possibilità di una terra su cui costruire in modo stabile la propria vita. La costruzione della casa è uno dei momenti più alti di condivisione tra le nostre culture, un momento di convivialità di gioco e di partecipazione, un mese di utopia collettiva vissuta e abitata profondamente da tutti. La cosa più importante che tutti impariamo è che lo spazio dell’integrazione si produce attraverso un atto di creazione collettiva, in cantiere, costruendo insieme la propria casa, mangiando la sera di fronte al fuoco, ragionando insieme su cosa costruire il giorno successivo mettendo in comune le proprie competenze e le proprie aspirazioni. Sperimentiamo e dimostriamo nei fatti che le buone relazioni di vicinato, di pianerottolo, di condominio si possono costruire lavorando gomito a gomito, che la città si può costruire passandosi il martello e i chiodi. New Babylon si può realizzare inchiodando insieme le tavole di un tetto.
Qualche tempo dopo dalla prefettura di Latina arriva l’invito a partecipare alla realizzazione di un campo nomadi utilizzando il nostro modello di casa. Rispondiamo che Savorengo Ker era un simbolo che intendeva annullare l’idea stessa di campo, era l’inizio di un processo che avrebbe fatto evolvere il Casilino in un quartiere interculturale e quel quartiere in una città. Non un campo fatto di cloni di Savorengo Ker al posto dei container, ma case tutte diverse nate dalle relazioni con gli abitanti, una New Babylon di desideri abitativi che bisogna fare emergere insieme ai Rom in un processo di ascolto e trasformazione reciproca. Savorengo Ker è stata bruciata da ignoti nel dicembre del 2008, il Casilino 900 è stato sgomberato nel gennaio 2010, i suoi abitanti abitano oggi nei villaggi della solidarietà. Ma Savorengo Ker è stata una straordinaria avventura neobabilonese.
Dopo il rogo di Savorengo Ker la sfida è rilanciare a una scala più grande, non una casa ma un insieme di case, una sorta di condominio in autocostruzione non solo con i rom ma anche con gli italiani e includendo anche altri migranti. Bisogna dimostrare che non solo i Rom sanno organizzarsi per lavorare e che sono abili costruttori, ma che possono costruire la propria casa insieme ad altre culture e che possono essere ottimi vicini di casa per tutti. In attesa che questo semplice concetto venga compreso dalle amministrazioni e dai politici (si sa che ogni politica in favore dei rom non fa guadagnare consensi ma fa perdere voti) abbiamo cominciato a lavorare dove questo sta già succedendo. Da qualche settimana abbiamo cominciato a lavorare al Metropoliz, una ex fabbrica dismessa sulla via Prenestina, poco prima del grande Raccordo Anulare, in cui coabitano circa duecento persone provenienti da Perù, Santo Domingo, Marocco, Tunisia, Eritrea, Sudan, Ucraina, Polonia, Romania e Italia . A differenza di tutte le altre occupazioni a scopo abitativo di Roma, a Metropoliz sono stati inclusi i Rom. Sono cento Rom provenienti dalla Romania, che hanno rifiutato i DAST, i campi nomadi e i villaggi della solidarietà. A Metropoliz sta nascendo uno spazio meticcio inclusivo, non un luogo etnico per soli Rom, ma un processo di autocostruzione multiculturale che mette in gioco più culture abitative, valorizza le competenze e le capacità costruttive e stimola la convivenza degli abitanti. Una donna peruviana mi ha detto che gli altri occupanti quando avevano saputo che ci sarebbero stati i Rom si erano disperati, pensavano che non avrebbero fatto uscire i bambini e che si sarebbero tappati in casa, ma invece dopo le prime settimane di convivenza hanno realizzato che il problema era infinitamente più piccolo di come se lo erano figurato, che adesso c’è qualche problema ma come in ogni normale relazione di condominio. Suo marito, anche lui peruviano, è il coordinatore della squadra edilizia di questa città in trasformazione permanente. Mi ha raccontato che tra lui, l’elettricista marocchino, i muratori africani, i camionisti rom e l’idraulico e il vetraio italiani, parlano una lingua mista di arabo, rumeno, italiano ed eritreo, con parole che anche se pronunciate male o addirittura trasformate in altre, sono ormai comprensibili a tutti. La settimana scorsa con gli studenti abbiamo recuperato una grande sala dove venivano essiccati i salumi e l’abbiamo trasformata in aula, il suo nome è Pidgin Makam .
Pidgin è una lingua semplificata che si sviluppa come mezzo di comunicazione tra due o più gruppi venuti a contatto a seguito di migrazioni o colonizzazioni e che non hanno un linguaggio in comune . La parola Pidgin deriva dalla scorretta pronuncia cinese dell'inglese busines, ed è una lingua costruita con parole sbagliate o mal pronunciate, che permette di costruire una prima comunicazione tra diversi.
Makam in arabo vuol dire “luogo” ma è anche un vocabolo musicale che indica un sistema di melodie aperto a composizioni e improvvisazioni dove la componente ritmica temporale non è soggetta a organizzazioni predefinite.
Pidgin Makam è lo spazio del reciproco apprendimento di questo nuovo condominio neobabilonese.
note:
1 L’episodio è raccontato in Francesco Careri, Constant. New Babylon, una città nomade, Testo & Immagine, Torino 2001.
2 Solo per brevità, userò in seguito il solo sostantivo “Rom”, consapevole del fatto che per esprimere le diversità culturali del popolo europeo che parla lingue di radice Romanés, sarebbe più corretto scrivere sempre “Rom, Sinti, Kalè, Manouches e Romanichel”.
3 Cfr. Francesco Careri, Armin Linke e Luca Vitone, Pellegrinaggio ad Alba. Constant e le radici di New Babylon, “Domus” n° 885/2005, pp. 100-113.
4 Fa eccezione a questa critica l’impegno civile e politico di Pinot Gallizio, che aveva difeso più volte i Sinti in consiglio comunale, aveva tappezzato i muri di Alba con manifesti progitani, e che infine aveva regalato un appezzamento di terreno ai Sinti perché ci potessero costruire la loro città.
5 Cfr. Piero Brunello (a cura di), L'urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana, Manifestolibri, Roma 1996; Leonardo Piasere, I Popoli delle discariche, Cisu, Roma 1991; Krzysztof Wiernicki, Nomadi per forza. Storia degli zingari, Rusconi, Milano 1997.
6 Stalker, insieme al Dipartimento di Sturi Urbani dell’Università di Roma TRE e ad altre università straniere hanno editato su queste esperienze una serie di giornali di bordo dal titolo “Roma Time”, che sono interamente scaricabili in PDF su: http://parking900.blogspot.com/2010/02/download_01.html.
7 Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare i “Villaggi della Solidarietà” sono una invenzione del governo di centrosinistra del governo Prodi, per tramite del ministro degli Interni Amato e sottoscritti dal sindaco Veltroni insieme al Prefetto Serra (eletto senatore del PD e già passato all’UDC). Il nuovo sindaco Alemanno ne ha apprezzato il modello e intende solo perfezionarlo.
8 Il DAST (Documento di Autorizzazione allo Stanziamento Temporaneo) è un tesserino simile alla patente di guida, con un numero, nome, cognome, fotografia, durata di validità, nome del campo e un codice a barre con ulteriore informazioni utili come il numero dei figli e la loro scolarizzazione. Non ha nessun valore giuridico mentre dai Rom viene fatto credere che si tratta di veri documenti di identità. È la carta su cui si sta giocando il Piano Nomadi di Roma.
9 Savorengo Ker / la casa di tutti è una casa sperimentale in autocostruzione, che i Rom del campo Casilino 900, Stalker, il Dipartimeno di Studi Urbani dell’Università di Roma Tre e studenti di diverse università, hanno realizzato con i fondi della ricerca di dipartimento “Nomadismo e città. Abitare informale, campi rom e ricoveri occasionali, letti attraverso le pratiche e le esperienze dell’arte pubblica”, il sostegno della Triennale di Milano e della Biennale di Venezia, il patrocinio del VII Municipio del Comune di Roma. Responsabile Francesco Careri, coordinatori Ilaria Vasdeki e Azzurra Muzzonigro, direttori dei lavori Mirsad Sedjovic, Hakja Husovic, Bayram Hasimi, Nenad Sedjovic, Klej Salkanovic, Najo Adzovic. La casa inaugurata il 28 giugno, è stata bruciata da ignoti l’11 dicembre. (http://www.wikirom.org)
10 Metropoliz è stato occupato nel marzo del 2009 dai Blocchi Precari Metropolitani e da Popica Onlus.
11 http://espaciopidgin.blogspot.com. Pidgin Makam è un Workshop di Architettura e Società del Laboratorio di Progettazione Architettonica 1MPU, della Facoltà di Architettura di Roma Tre, promosso da Stalker e in collaborazione con gli abitanti di Metropoliz, BPM, Popica Onlus, Laboratorio Tipus, Atelier Danza Montevideo, Cantieri Comuni, Cooperativa Energetica.
12 http://en.wikipedia.org/wiki/Pidgin
13 http://en.wikipedia.org/wiki/Arabic_maqam
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