Tano, Blu e il Porto Fluviale
di Francesco Careri
(Stalker/LAC)
Domenica 1 febbraio 2015, via Ostiense, Roma. Seguo il
corteo tra i fumogeni rossi e le famiglie dei migranti con le carrozzine. All'angolo con via del Porto Fluviale due figure amiche
sembrano il gatto e la volpe del film di Pinocchio. Sono Tano D’Amico[1] e Stefano Montesi, gli
strumenti di lavoro appesi al collo, ridono e scherzano accarezzando le loro
macchine fotografiche. Sono anni che vedo questa scena, nelle manifestazioni,
durante gli sgomberi dei rom, gli sfratti, le occupazioni. Mi mette a mio agio
sapere che ci sono anche loro, mi avvicino salutando e capisco che stanno ammirando
l’ultimo capolavoro di Blu[2] davanti ai loro occhi: la
grande nave degli speculatori edilizi attaccata dalle barchette dei pirati del
movimento. È il nuovo dipinto sulla facciata del Porto Fluviale, la vecchia
caserma dell’aeronautica militare, occupata dal Coordinamento Cittadino Lotta
per la Casa più di dieci anni fa[3].
Stefano si stacca per
seguire la testa del corteo, Tano invece ha voglia di chiacchierare. Non mi
pare vero. Un paio di anni fa nella stessa circostanza mi aveva fatto una
lezione di storia dell’arte indimenticabile. Eravamo a Piazza Vittorio in una
manifestazione dove insieme ai movimenti scendevano in piazza anche i Rom di
Metropoliz con lo striscione “Siamo Rom, non siamo nomadi, vogliamo la casa!”,
e i Rom dell’ex Casilino 900 con cartelli che ricordavano le promesse non
mantenute del sindaco Alemanno. A me sembrava importante che i Rom si fossero organizzati
con tanto di cartelli e striscioni. Ma Tano guardava tutto questo con costernazione.
Non sopportava il fatto che i Rom si autorappresentassero attraverso la parola scritta.
Più o meno mi ha detto: “Che c’entrano le scritte con i Rom? Perché non attingono
alla loro cultura? I loro linguaggi non sono la scrittura e neanche la parola, hanno
la musica, le immagini, la pittura! Stanno rinunciando, si stanno omologando ai
nostri linguaggi, ai linguaggi codificati dei movimenti.” Non capivo bene cosa mi
stesse dicendo e mi dispiaceva vederlo così in un momento per me importante perché
sanciva l’inclusione dei Rom nel movimento della lotta per la casa.
Allora ha
cominciato a spiegarmi il ruolo dei Rom nella pittura italiana del cinquecento,
e non come soggetti dei quadri ma come pittori: la storia di Antonio Solaro che
si firmava Pittore Zingaro, che aveva
raccontato a Giorgione quella storia terribile della gara di tiro con l’arco che
aveva avuto come bersaglio il petto di una zingara (la cigana): la storia della
Tempesta, quel quadro su cui le
interpretazioni degli storici dell’arte non hanno mai smesso di moltiplicarsi. Ecco
la versione di Tano: “a proposito del quadro di Giorgione, venti anni dopo la
sua realizzazione, nel 1530 Marcantonio Michiel aveva appuntato nel suo taccuino: paesetto in tela con la tempesta con la
cigana e il soldato. La gitana e il soldato quindi era una storia
nota, una madre fuggiasca che ha una pezza in testa, il corpo nudo e anche lei
(come tutte le donne rom prima di entrare nelle camere a gas) allatta
accosciata e capiamo che è l’ultima volta. È all'aperto, in mezzo agli alberi,
sulla riva di un corso d’acqua. Compaiono i colori forti dei cacciatori, si
sentono le grida dei battitori che frugano la macchia; si intuisce l’affanno di
lei che corre con il suo bambino al petto, arriva al fiume e capisce che non ce
la farà a passarlo. (…) Il battitore ha trovato la zingara e la piantona, sta aspettando
il principe e gli ospiti. Non ha un
aspetto feroce, tiene d’occhio la scena senza animosità. Ha lo sguardo di
coloro che in ogni tempo svolgono quel tipo di dovere.[4]”
Ma ritorniamo all'angolo tra via Ostiense e via del Porto
Fluviale. Tano mi dice che mesi fa passando in autobus ha visto Blu appeso alle
funi mentre dipingeva. È sceso per fargli delle foto e una signora e i bambini che
uscivano dal portone, gli hanno raccontato fieri chi era Blu. Poi quando Blu è
sceso hanno avuto un rapido scambio, ma Blu era dovuto scappare via. Ma pochi
giorni dopo Tano ha trovato un lungo articolo su di lui su Art & Dossier[5] ed era riuscito a capire
meglio il suo lavoro. Dalle parole di Tano capisco che è molto ammirato e
incuriosito, anche perché è da qualche tempo che ha cominciato a fotografare le
nuove occupazioni romane. Gli racconto che io abito proprio lì dietro e che ho osservato
ed osservo l’evolversi dell’occupazione fin dall’inizio. Dodici anni fa, pochi
giorni dopo che erano entrati nella caserma ero andato a parlarci, perché con
Stalker stavamo lavorando lì vicino, al Campo Boario[6], con il Villaggio Globale,
i Curdi di Ararat e i Rom Calderasha. Pensavamo anche a una collaborazione con
il Porto, ma evidentemente non era il momento. È difficile che le occupazioni
nei primi periodi di vita si aprano all’arte come strumento di comunicazione.
All’inizio sono chiuse e concentrate su loro stesse, è un mondo appena nato e
introverso, un nuovo gruppo di persone che si conosce appena e pensa a consolidare
le relazioni interne, ad allontanare quei soggetti che occupano solo per
interesse individuale o che creano troppi problemi. I problemi sono tanti e
l’impegno è a tempo pieno. I primi anni così, per le 163 famiglie iniziali, sono
passati a consolidare la propria coscienza politica, a sperimentare un agire
condiviso facendo picchetti notturni e discutendo in assemblee interminabili. Per
anni il portone è stato chiuso, dalla piccola finestrella non si intravedeva molto,
mentre la facciata con le sue serrande sbarrate diventava sempre più grigia per
lo smog delle macchine.
Nel 2010 Margherita che
ci abitava di fronte, era venuta in contatto con Gregorio che ci abitava dentro,
e lui gli aveva aperto il portone per aiutarla a progettare insieme a Giacomo un
pannello solare-termico in autocostruzione[7]. Attraverso questo
contatto, il primo giorno di Primaveraromana[8], dopo una lunga camminata al
seguito di Lorenzo e Giulia, entriamo nel Porto in una decina di persone e siamo
accolti da un nutrito gruppo di donne, con grande ospitalità e curiosità
reciproca. Margherita comincia a lavorare insieme a Gaetano al film Good Buy Roma[9],
un film sul Porto Fluviale che non è solo un documentario ma una delicata azione
di arte relazionale: “Quando
iniziammo a girovagare impacciati in questo spazio, con cavalletto, telecamera,
microfoni, registratore e cuffie, sotto gli occhi attenti e impazienti di
tutti, non avevamo tutto chiaro. (…) Quello che sapevamo era solo che non
volevamo dire qualcosa servendoci di questa storia, bensì costruire qualcosa
che potesse servire alla stessa storia per andare avanti, evolversi,
contaminarsi. Non volevamo raccontare “una storia SU”, ma “una storia CON”, “una
storia ATTRAVERSO”, “non servirci di, ma farlo con”. Dopo un lungo, sottile e attento
processo di avvicinamento riescono ad entrare nell'intimità degli occupanti e a
dargli la parola o meglio, come esprimono gli stessi autori, “più che dar
parola, porsi in ascolto, prendere e essere presi"[10]. Nel racconto ci si sente
sempre più partecipi e vicini alle ragioni di queste 100 famiglie che, a causa
di un diritto negato, riescono ad inventare e costruire un mondo loro, capace
di competere con il mondo nostro che gli scorre accanto. Una sorta di utopia
concreta che sperimenta continuamente altri mondi di abitare, di confrontarsi e
di convivere tra diversi. È questo il primo momento in cui l’arte entra nel
Porto. Margherita e Gaetano sono i primi sguardi stranieri da cui il Porto si
lascia raccontare. Nella sua tesi di dottorato[11] Margherita ripercorre i passi di questo loro
“radicamento temporaneo.” Prima le difficoltà intrinseche di interpretarlo, descriverlo
e raccontarlo, poi la scoperta di essere “invitati a fare esperienza della
possibilità di trasformare lo spazio in cui viviamo”. Comprendere come la lotta
per la casa non sia solo la ricerca di un tetto ma un “atto di cittadinanza che
opera una rottura su cosa significa essere
cittadino (…), e un atto di resistenza: resistenza ai meccanismi della
trasformazione speculativa delle città; resistenza alla povertà, perché offre
una protezione al finire per la strada; resistenza alla segregazione, quando
persone che si volevano tenere ai margini riconquistano il centro; resistenza
alla discriminazione, quando si sperimenta una coabitazione tra persone
diverse; (…) resistenza creativa che produce dei cambiamenti nel momento in cui
si propone come attivatore di un contesto territoriale più ampio.” La presenza creativa di
Margherita e Gaetano sprigiona i desideri e i progetti di molti, soprattutto
donne, grazie alle quali, una saracinesca si apre per offrire al quartiere la
Sala da tè: il Fronte del Porto. Una soglia ospitale ed invitante, aperta al
quartiere con colori accoglienti, un’architettura che parla con linguaggi nuovi
rispetto a quelli dei centri sociali e delle occupazioni. Mi dice Margherita:
“È stata veramente un'opera d'arte collettiva capace di scardinare i ruoli
di ideatori ed esecutori, che nasce da una battuta dopo un' assemblea e si
realizza in poco tempo perché era già nell'aria, perché si erano create delle
condizioni creative”.
In qualità di vicino di
casa, attraverso il contato con Margherita e Gaetano, comincio a frequentare il
cortile dove bambini nati e cresciuti al Porto, da genitori marocchini
peruviani e equadoregni, danno lezioni di calcio acrobatico ai miei figli. Quel
cortile è proprio lo spazio che a una famiglia come la mia manca di più, uno
spazio dove i bambini sono controllati da tutti gli zii e zie del vicinato,
dove gli adulti si sentono parte di una storia comune, condominiale e cittadina.
La condizione di vicino e genitore dei tre bambini è un ottimo ruolo che mi
permette di non essere visto come professore, come artista o come architetto.
Preferisco non creare aspettative e non propormi come specialista, né come
tecnico o peggio come mediatore, come mi è successo in altre occasioni. In
seguito con il LAC[12] invitiamo alcuni abitanti
dei diversi movimenti per l’abitare - Coordinamento Cittadini Lotta per la
Casa, Action e Blocchi Precari Metropolitani - a partecipare alla Biennale
dello spazio Pubblico per ragionare sul tema della Città Meticcia[13]. In quell’occasione Fabrizio
Boni e Giorgio De Finis annunciano il progetto di girare il film “Space
Metropoliz” da cui presto nascerà il MAAM[14]. Sono tante le domande
che maturano: Che tipi di spazio pubblico si produce nelle occupazioni? Che
ricchezza potrebbero offrire ai quartieri intorno? Come vivono gli occupanti
gli spazi pubblici della città? Come rendere permeabili i confini e contaminare
il dentro con il fuori e viceversa? Come può entrare la città preservando le
caratteristiche di città altra di
questi luoghi?
Le risposte cominciano ad arrivare nei fatti. Il portone del
Porto si apre veramente alla città nel maggio 2012 con Roma Skill Share, quando
centinaia di persone entrano nel cortile pronte a condividere i propri saperi[15]. Per gli abitanti è una
prova generale di quello che potrebbe voler dire “aprirsi alla città”, il tema
è ormai nell’aria e nelle assemblee alcuni propendono verso l’apertura totale
del cortile, altri temono di perdere l’intimità e la condivisione di quello
spazio che lentamente sono riusciti a costruire, altri che entri la vita
notturna dei locali intorno ma anche che si trasformi in un centro sociale. Ne
nascono riflessioni profonde su quale debba essere lo statuto della piazza: né
un semplice spazio comune in cui solo
la comunità degli abitanti e dei suoi ospiti si riconosce, né uno spazio pubblico, che significherebbe
semplicemente lasciare entrare la città del mercato e del capitale che sta lì
fuori senza marcare una differenza. Ma dall’esempio di Roma Skill Share si
capisce che questa piazza deve saper rilanciare la stessa idea di Piazza Civica,
come luogo politico in cui tutti possano scambiare i propri diversi saperi e
competenze per una crescita mutua e reciproca degli abitanti con la città. È su
questi temi che come LAC di Roma Tre e DPU di Londra proponiamo all’assemblea
un workshop, in cui per un’intera settimana il Porto ospiterà a mangiare e
dormire studenti da tutto il mondo. [16] Si ragiona insieme agli
abitanti sui progetti del Porto, sui pro
e i contro dell’apertura alla città, su che tipo di spazio debba essere il
cortile, e su come attivare e alimentare questo processo, sul liberare il piano
terra dalle abitazioni per far posto ad attività cittadine (quelle che saranno
poi la cicloficina, la circo-officina con il cabaret, il cinema il laboratorio di
oreficeria, la residenza per artisti); sul realizzare un murales colorato sulla
facciata esterna da sovrapporre alla triste ed austera facciata militare. Con
Maria ed Azzurra del LAC realizziamo un inizio di piazza sotto forma di
Giardino di Barche Volanti. Giocando con la metafora del Porto come luogo di
approdo dei naviganti, dei transfughi, dei viaggiatori, sotto le tettoie del
cortile appendiamo degli scafi di imbarcazioni dismesse: una barca gialla che
vola in cielo sopra chi entra dall’ingresso principale, le spericolate “barcalene”,
ossia due scafi di catamarano appese a
fare da grandi panche a dondolo, una canoa-fioriera su ruote, un pedalò. Lo
spazio si comincia a trasformare con audacia.
Il 2 giugno del 2013 è il compleanno del Porto per i dieci
anni di occupazione, ed è anche la festa delle Forze Armate a cui appartiene la
caserma e sono previsti tre giorni di dibattiti sui temi della crisi,
dell’autorecupero e del riutilizzo del patrimonio militare dismesso. Con il LAC
stiamo terminando di allestire “L’Odissea per la Casa” che ha come spazio
principale la soglia di ingresso : una grande vela di barca sospesa sul
soffitto con i primi versi di Omero scritti in greco antico, arabo, spagnolo,
francese e italiano; un planisfero del mondo in cui gli abitanti passando
mettono un puntino per indicare la loro casa di provenienza; una mappa di Roma
con tutte le occupazioni attivate al momento dai tre principali movimenti di
lotta per l’Abitare. Come dire a chi entra: “presta attenzione, stai entrando
in uno spazio altro, stai attraversando una soglia, un confine non scontato,
sii consapevole che qui abita chi, dopo aver a lungo viaggiato, lotta per migliorare
il mondo, anche il tuo.” In quei giorni con il LAC conosciamo Blu, che da
qualche mese ha cominciato ad abitare al Porto e a dipingere la facciata. Ci
presta vernici e pennelli mentre si aggira con un cappello a falde larghe una
canotta bianca sporca di colori. Arriva al Porto dopo aver concluso altri due bellissimi
dipinti nelle occupazioni del quartiere: la facciata neoclassica del Cinodromo
a Ponte Marconi e la catena di macchine gialle di Alexis sempre su via Ostiense.
In pochi giorni il Porto sembra prendere forma come quella strofa di Roma
Capoccia “E le finestre sò tanti occhi che te sembrano dì… quanto sei bella!”.
Tutte le finestre sono diventati occhi di tante facce colorate, immense facce e
ognuna diversa. Alcune sembrano venire dai supereroi altre da altri dipinti di
Blu: facce di banane, di puzzle, di chiusure a lampo, di tubi, di foglie;
personaggi che guidano cervelli scoperchiati, una specie di arca di Noè con
sopra gli occupanti; per chi guarda dai treni che gli passano accanto ci sono i
simboli del movimento; per chi cammina a livello strada, tra le facce ancora
altri dipinti, con varie scale di lettura: la zona industriale con il
Gazometro, le tazze all’ingresso della sala da Tè. Il portone sembra una
citazione della porta/bocca dei Giardini di Bomarzo e della facciata manierista
della Biblioteca Hertziana di Palazzo Zuccari vicino a Piazza di Spagna.
È questa la facciata che fa da sfondo alle foto di Tano
mentre fotografa il corteo che sfila. Gli racconto che con i bambini passiamo
ogni mattina lì davanti per andare a scuola e che in due anni abbiamo seguito
tutto il lavoro, dalla prima faccia all’ultima, che quando passiamo se lui non
sta lavorando ci saluta, a volte ci fermiamo a chiacchierare quando lo
incontriamo a fare la spesa. Gli racconto che “abbiamo visto comparire prima un
occhio sull’angolo, poi tutte facce bianche, il diavolo rosso, poi le banane gialle,
i vermi, le foglie, i tubi… E lo vedevamo anche dalle finestre di casa, appeso
alle sue funi. I miei figli sono cosi fieri di conoscere Blu, ne capiscono
l’importanza”. E Tano mi dice “ma ti rendi conto di che insegnamento sta dando
Blu ai bambini? A tutti i bambini del quartiere? Che se uno vuole ha la libertà
di prendere i colori e disegnare su tutto un palazzo, su tutta la città, che se
uno non ha casa può andare ad abitare in uno spazio abbandonato e farlo suo,
che insomma siamo liberi (…) E lui dipinge appeso, con gli occhi a pochi
centimetri dal muro, ma con una consapevolezza dell’intera figura gigante che
non può che intuire, è una maestria assoluta.”. Gli Rispondo: “Si, è come
Michelangelo sdraiato sotto la volta della Cappella Sistina. È da tempo che
penso che questo Porto è diventato una Cappella Sistina all’aperto. Quest’opera
di Blu è un vero e proprio monumento, un oggetto urbano enorme, istoriato e
colorato. Per altro l’idea se vuoi è quasi banale, una facciata che parla di
facce, una cosa che nessun architetto avrebbe mei pensato di fare perché sarebbe
troppo facile. E invece è proprio qui la sua bellezza, questo dipinto sa
parlare proprio a tutti, ha un linguaggio volgare nel senso di Dante, Petrarca
e Boccaccio. Ed anche qui è un linguaggio che non deriva direttamente dai
linguaggi del movimento e dei centri sociali. È un palazzo di immagini nuove.”
Non so… in realtà penso che le immagini belle da sole non
bastano, qui c’è qualcosa di più. Questo dipinto non è come egli altri che sono
nati ultimamente nel quartiere, e che spesso sono bellissime immagini di ottimi
artisti. Paragonati al Porto quei dipinti sembrano vuoti, appiccicati alle
facciate, semplicemente dipinti sui muri, ma potrebbero essere su muri di altre
città e nessuno se ne accorgerebbe. Dietro quei muri non c’è nulla, o a volte, (sic!)
c’è qualche galleria d’arte che esibisce i propri artisti per strada, ed
espande lo spazio mercantile delle gallerie anche nella città. Blu invece ha
scelto di dipingere sul Porto. Dietro il muro c’è un’opera costruita dagli
occupanti vivendoci dentro, un monumento del tempo attuale che stiamo tutti
vivendo[17]. Un’architettura che non
solo ci ammonisce a ricordare, ma che ci rappresenta qui ed ora, ci tiene
presente l’epoca di crisi che stiamo attraversando: famiglie intere che per non
finire sotto i ponti si riappropriano del patrimonio pubblico abbandonato, cittadini
che hanno compreso che non è solo la casa il problema, ma il nostro abitare
stesso, il modo con cui si costruiscono oggi le città globali, gli interessi
delle banche e i movimenti finanziari che hanno sostituito l’urbanistica
pubblica, i Grandi Eventi, le Olimpiadi, le Coppe del Mondo, le Esposizioni
Universali.
Non so… in realtà neanche tutti questi contenuti da soli bastano
a spiegarmi la grandezza dell’opera Porto. La politica da sola non basta, ha
bisogno dell’arte. Per comunicare non servono solo i fatti, i dati e neanche le
parole, ma le azioni, le relazioni, la delicata immersione di Gaetano e
Margherita, la leggerezza surreale delle barche volanti, la facciata istoriata
di Blu, la poesia delle immagini di cui mi continua a parlare Tano. È un tema
che cerco di affrontare dall’inizio, da quando Tano mi ha detto che i Rom si
stanno omologando ai nostri linguaggi, rinunciando al loro. E ci sono tornato
con il linguaggio della sala da tè che è accogliente perché chi ci entra non si
sente dentro a uno spazio antagonista ma in uno spazio altro. Non ce l’ho con i
linguaggi del movimento in particolare, ma credo che i linguaggi antagonisti hanno
una gran difficoltà a rinnovarsi, sono ancora quelli degli anni settanta e che
ho conosciuto a scuola negli anni ottanta, ma li vedo ancora nei miei studenti.
E a proposito di scritte e di immagini, mi succede anche di soffrire quando vedo
gli striscioni con le scritte appesi alla facciata di Blu, le parole non
riescono ad aggiungere nulla a quanto il Porto sta già dicendo con la sua
presenza altra nella città. Allora provo
ad affrontare questo direttamente con Tano: “ma tu che ne pensi delle immagini
dei centri sociali e del mondo antagonista in generale?” Mi dice: “Non mi
piacciono, sono brutti. Se vai in giro nei millenni passati, non solo nei
luoghi dove la gente pregava, ma anche dove mangiava, dove camminava, nei
luoghi di passaggio dei pellegrini, ci sono sempre delle belle immagini. Nei
centri sociali non vedo quasi mai delle nuove immagini. E io credo che quando si
mette in discussione il mondo che c’è, la prima cosa a cambiare sono le immagini,
altrimenti come lo figuri che un altro mondo è possibile? Ogni momento di
grande cambiamento della storia è accompagnato da un cambiamento delle
immagini.” Poi riprende il discorso su Blu e le immagini della rivista Art
& Dossier: “La compro perché ci sono delle belle immagini, e ora che il
mondo è così popolato di tante brutte immagini, le belle immagini spiccano, e
quelle di Blu spiccano. Sai io le guardo con gli occhi del miserabile, con gli
occhi di chi ne ha bisogno per vivere. Le immagini sono finestre nell’anima che
mi aiutano a vivere, mi nutrono.”
Quando con il corteo passiamo sotto al ponte della ferrovia,
gli racconto che Blu ha cancellato i dipinti che aveva fatto a Berlino sulla
Cuvrystraße nel 2008, e che lo ha fatto perché ormai la popolazione del
quartiere era cambiata e imborghesita, come si dice in gergo, il quartiere era
stato gentrificato. “Non sono
d’accordo, mi dice Tano, non si cancellano le belle immagini, pensa se avessero
cancellato Michelangelo perché le condizioni storiche erano cambiate. Un
monumento così non si cancella, deve continuare a parlare a tutti. Pensa a
quello che posso imparare a vedere un palazzo così, anche i bambini figli dei nuovi
abitanti borghesi. E pensa anche agli anziani, a chi per tutta la vita ha
lavorato e ha dovuto pensare ad altro ed ora passa di qui, alza gli occhi e
realizza che anche questo è possibile!” Poi ricomincia a fotografare il corteo
che sfila davanti alla facciata di Blu. Io fotografo lui che fotografa Blu e il
Porto. Un monumento, due monumenti, tre monumenti: l’occupazione del porto, i
dipinti “sistini” di Blu e Tano in persona. Cinquant’anni passati in quella
posa a fotografare i movimenti, con tutta la storia delle immagini dietro
quella macchina fotografica. A Tano, a
Blu, al Porto Fluviale, ai bambini.
[1] Tano D’Amico è il fotografo dei movimenti di lotta
italiani dagli anni ‘60 ad oggi. Recentemente sono usciti due libri per i tipi
di Postcart: Di cosa sono fatti i
ricordi. Tempo e luce di un fotografo di strada, (2012) e Anima e Memoria. Il legame imprendibile tra
storia e fotografia (2012) e il documentario di Rai Storia su: https://www.youtube.com/watch?v=L7S_kTSRJQs
[2] Blu è tra i più
importanti pittori indipendenti della Street Art internazionale, da sempre
fuori dal mondo dell’arte e dentro ai movimenti ed ai contesti di lotta.
Vedi: http://www.blublu.org/
e sui suoi video di pittura murale animata e in stop-motion vedi: https://www.youtube.com/watch?v=sMoKcsN8wM8&list=PLED8F5DCB035D8122.
[3] Porto Fluviale è
stato occupato nel 2003 dal Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa http://www.coordinamento.info/.
È la più centrale delle occupazioni abitative di Roma, poco fuori dalle mura
romane, ed è una delle più longeve tra quelle della nuova ondata di occupazioni
che negli ultimi dieci anni è riuscita a liberare a Roma circa 50 stabili, per
un totale di circa 2000 famiglie. Vedi: https://www.facebook.com/frontedelportofluviale?fref=ts.
Sul Porto Fluviale vedi anche il libro inedito di Abdul Hadi El Cadi:
Mi piace questo posto, Roma, 8 giugno
2012. (in distribuzione presso la sala da tè Fronte del Porto).
[4] Sui Rom nella storia delle immagini
Tano continua: “Forse una natura comune lega indissolubilmente zingari e
immagini. Il popolo Rom ci sta accanto quando le parole non bastano, quando non
possono racchiudere, definire, circoscrivere quello che la realtà provoca in
noi. È un popolo da guardare, da ascoltare, molto più che da leggere. La parola
non li ha mai amati, l’immagine e la musica sempre. (…) Fin dal loro arrivo nel
nostro paese il mondo delle immagini ha accolto gli zingari. Le botteghe dei
pittori erano aperte per loro, i palazzi della parola no.” Citazione tratta da: Tano D’Amico, Il giubileo nero degli zingari, Editori
Riuniti, Roma 2000. Su Antonio Solario che si firmava “Pittore Zingaro” riporto
quanto raccontato da Tano in occasione della giornata di studi su
“Rappresentazione e Autorappresentazione del popolo Rom” tenuta alla Facoltà di
Architettura di Roma Tre il 16/06/09.
Vedi anche: Francesco Careri, Rom,
ou de l’impossibilité d’être un figurant, “de(s)générations” n°13,
Saint-Etienne, 2011, pp. 35-42, traduzione italiana su http://articiviche.blogspot.it/2011/01/essere-rom-o-dellimpossibilita-di.html
[5] Si tratta di Art
e Dossier n. 315 “Utopisti Antisistema”, novembre 2014 con allegato il dossier:
Street Art a cura di Duccio Dogheria.
[6] Stalker Osservatorio Nomade è un artista collettivo che
opera a Roma dai primi anni novanta http://www.osservatorionomade.net/.
Negli ultimi anni si è ramificato in una articolata rete di relazioni e
progetti. I nomi propri che seguono nel testo sono tutti più o meno correlati
ai progetti che Stalker stava portando avanti in quel momento sotto diverse
sigle, tra i quali ricordiamo: Primaveraromana, LAC_Laboratorio Arti Civiche,
Museo Relazionale, Stalker Walking School. Sul lavoro al Campo Boario vedi il
libro inedito su https://stalkerpedia.wordpress.com/circles/
[7] Si tratta di Margherita Pisano e Giacomo Zanelli che in
quel momento stavano lavorando con il campo Rom di via della Monachina. L’episodio,
come gli altri di questo paragrafo, è raccontato in Gaetano Crivaro e Margherita Pisano, Il confine è
un punto di Incontro, in: Carlo
Lucarelli, Quasi Roma, editpress, Roma 2012. Il libro contiene il dvd del film
“Good Buy Roma”.
[8] Si tratta di Lorenzo Romito e Giulia Fiocca, che
insieme a Margherita Pisano e Giacomo Zanelli avevano organizzato l’incontro con
il Porto il 21 marzo 2010, nel primo giorno di Primaveraromana 2010. https://primaveraromana.wordpress.com/primavera-romana-2010/citta-ostiense/
[9] Il documentario,
«Good Buy Roma» di Gaetano Crivaro e Margherita Pisano è del 2011, https://goodbuyroma.wordpress.com/
, un estratto del film è su http://vimeo.com/30077767.
[11] Tesi di dottorato di Margherita Pisano, “Creare
relazioni da abitare. Voci, narrazioni in uno scheletro urbano riabitato”.
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Ingegneria Edile
ed Ambientale. Dottorato in Tecnica Urbanistica. Ciclo XXV. Relatore Carlo
Cellamare.
[12] Il LAC_Laboratorio Arti Civiche è un laboratorio del
Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre, che compie azioni di
ricerca sui territori in trasformazione, attraverso atti di trasformazione
artistica dello spazio fisico. http://www.articiviche.net/
Sul LAC al Porto vedi: Azzurra
Muzzonigro, la barca per il porto fluviale http://articiviche.blogspot.it/2012/06/summerlab-roma-workshop-con-lac.html
e Un’Odissea per la casa http://articiviche.blogspot.it/2013/12/odissea-al-porto-fluviale.html
[13] Sessione tematica della Biennale
dello Spazio Pubblico promossa da INU - Istituto Nazionale di Urbanistica e
curata dal LAC, svolta il 14 maggio 2011 al Mattatoio di Testaccio. Intervengono:
per il Porto Fluviale (Coordinamento Cittadino Lotta per la Casa) Elkebira
Adoud, Roberto Suarez, Rider, Giulia Bucalossi, Margherita Pisano; per Tempesta
(Action) Khadija Ouahmi, Sofia Sebastianelli; per metropoliz (Blocchi Precari
Metropolitani e Popica Onlus): Lucica Constantin, Irene Di Noto, Guendalina
Curi, Andrea Valentini; per il gruppo di ricerca Pidgin City: Francesco Careri,
Nick Dines, Adriana Goni Mazzitelli, Enrica Rigo, Maria Rocco, Giorgio Talocci,
Maria Vittoria Tessitore, Ilaria Vasdeki, Piero Vereni. L’intero dibattito è su
http://articiviche.blogspot.it/2011/05/citta-meticcia-alla-biennale-dello.html
[14] Space Metropoliz è un film sull’occupazione dei
Blocchi Precari Metropolitani a Metropoliz, sulla via Prenestina a Roma. Vedi: http://www.spacemetropoliz.com/
Diverse puntate del film sono visibili sul canale https://www.youtube.com/user/SpaceMetropoliz.
Dopo l’esperienza del film Giorgio de Finis ha dato vita al MAAM_Museo
dell’Arte e dell’Altrove di Metropoliz chiamando a lavorare nella ex fabbrica
dismessa molti artisti della Street Art internazionale. Vedi: http://www.museomaam.it/
[15] Roma Skill Share
12-13 maggio 2012, è stato organizzato da una rete aperta di cittadini tra cui Giulia
Fiocca e Margherita Pisano di primaveraromana. La giornata è raccontata da
Adriana Goni Mazzitelli in: L’università
del far sapere su http://comune-info.net/2012/05/al-porto-fluviale-luniversita-popolare-del-saper-fare/
vedi anche: Adriana Goni Mazzitelli, La casa sul Porto su: http://comune-info.net/2012/11/la-casa-sul-porto/
[16] Il workshop è stato organizzato da Camillo Boano e
Giorgio Talocci per il DPU e Francesco Careri, Barbara Dovarch, Maria Rocco e
Azzurra Muzzonigro per il LAC. http://issuu.com/dpu-ucl/docs/rome-occupation-city-dpusummerlab, Vedi: Camillo
Boano, DPU Summerlab as a way to defend architecture,
http://www.academia.edu/7927092/Boano_C._2013_._DPU_summerLab_as_a_way_of_defending_Architecture;
Azzurra Muzzonigro, Porto Fluviale. Narrative of a urban adventure and a new idea of Piazza, http://articiviche.blogspot.it/2013/12/porto-fluviale-narrative-of-urban.html
e Giorgio Talocci Occupying and the new
monuments su: http://blogs.ucl.ac.uk/dpublog/2012/09/24/occupying-and-the-new-monuments-dpu-summerlab-at-porto-fluviale-rome/
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