02/04/12

SABORENGI CHARA'

Talca (Chile), 31 marzo 2012

Oggi sono andato al campamento gitano e mi sono comprato una tenda, di quelle grandi, che in Europa non si vedono più da decenni: 5 metri per 5, alta 3 e con intorno teli a strisce colorate che si alzano e abbassano a seconda del sole, dell’aria e degli sguardi che si vogliono fare entrare. È la tenda in cui fin’ora avevano vissuto Pancho e Reina due gitani molto simpatici e ospitali, che ora che i figli sono andati via di casa, hanno preso una tenda più piccola e più maneggevole. Dopo l’acquisto abbiamo festeggiato nella loro tenda con una pasta al sugo italiana e un cafava gitano fatto con nescafè. Si sono fermati per pranzo anche gli studenti venuti per imparare a montarla, smontarla e impacchettarla, perché la tenda sarà il contenitore della mostra in cui racconteremo la nostra erranza di due giorni intorno a Talca.

Tutto è cominciato circa un mese fa, quando siamo arrivai qui a Talca con Cristina e i bambini. C’erano state prima fugaci apparizioni, una bambina che chiedeva l’elemosina con una gonna lunga, una donna che cercava di vendere una pentola di rame… Poi un giorno ci si avvicina un ragazzo con un foglietto: “jo julio de la colonia gitana pido una ayuda a su persona ya que al campamento de gitano se ha quemado una carpa…”: era bruciata una tenda nel campamento (qui non si usa la parola “campo”, vuol dire “campagna”) era morta una bambina di un mese e chiedeva i soldi per il suo funerale. Gli ho detto che i soldi glieli avrei dati dopo e che intanto mi faceva piacere conversare un po’: qui in Cile voi gitani vivete in tende? E lui: si certo, come tutti i gitani, siamo nomadi. E come sono fatte le vostre tende? Sono grandi, ci entra tutta la famiglia, ci sono anche le stanze. E da dove viene la tua famiglia? Siamo Cileni! Si ma prima, dall’Europa? Siamo Ungari. Ah Ungari! E parlate Romanè? Certo, abbiamo la nostra lingua. Provo a dire qualche parola che conosco e lui capisce, mi chiede dove ho imparato e gli dico a Roma. Credo che capisca Romania o comunque un paese in Europa dove ci sono tanti Rom. Vorrei continuare ma ha fretta di fare ancora un po’ di soldi. Gli dico che magari andrò a trovarlo al campamento, gli do qualche moneta e lui fila via. Ho fatto bene a darteli dopo, senno non ti fermavi neanche un secondo a chiacchierare! Si gira e mi fa un sorriso. Il foglietto me lo sono messo in tasca.

Per organizzare la deriva intorno a Talca ho chiesto agli studenti di dividersi in gruppi per esplorare diverse zone del margine urbano, parlare con gli abitanti e trovare posti interessanti in cui intervenire con azioni di arte civica. Inevitabilmente un gruppo si è imbattuto nei gitani. Si sono fermati a parlare un paio di ore, prima con dei ragazzini e poi con un Re o un Principe gitano, insomma uno che si è presentato come rappresentante: molti hanno case a Santiago e viaggiano d’estate in tenda, come lavoro aggiustano auto usate e le rivendono, per la luce si attaccano ai pali elettrici e per l’acqua la prendono dalle fontane dei pompieri, non hanno problemi con i vicini. Anche i vicini non sembrano infastiditi dalla oro presenza, dicono che in principio venivano in pochi e ora sono un po’ di più, che cambiano continuamente e quando chiedono qualcosa da mangiare gli viene dato. Prima tenevano sporco, ma adesso che il comune va a raccogliere l’immondizia è tutto più pulito, insomma non sono causa di un conflitto. Nessuno se ne lamenta.

Il mio primo ingrasso al campo invece è un non ingresso. Durante la camminata dovevamo trovare un posto dove dormire per la notte con gli studenti ed esce fuori l’idea di andare dai gitani. Mentre gli studenti pranzano in riva al fiume, vado in macchina con German, il professore che mi ha invitato e con cui stiamo facendo la camminata. L’accampamento è in un classico luogo dell’urbanistica gitana: un angolo tra la grande strada Panamericana e il fiume Piduco, uno sterrato in riva al fiume di fronte a una fila di casette con ingresso auto, classe media direi. Non ero per niente preparato a un accampamento di tende, non lo avevo mai visto. German mi chiede: ti vuoi fermare? No, dico, continua. Non mi sento pronto, voglio vedere di più. Dal finestrino scorrono immagini che riesco ad associare solo al circo. Come tante tende da circo ma molto più piccole, aperte davanti ed alcune anche sui lati, un sacco di tiranti di corda e dentro vuote. Uno spazio interamente vuoto e aperto alla vista, con tappeti per terra, un grande televisore plasma e materassi, cuscini e teli impilati sulla parete di fondo. Saranno quindici-venti tende e lì intorno non mi sembra ci sia uno spazio per le nostre tende. E soprattutto non c’è stato il tempo per costruire una relazione e preparare il nostro arrivo e il pernotto. Non me la sento di portare là sessanta studenti senza una reciproca preparazione, non mi sembra proprio che sia il modo giusto. Dico a German: andiamo avanti, troviamo un altro posto, casomai passiamo domani con gli studenti e se è il caso ci fermiamo a chiacchierare, ma ora non c’è tempo, dobbiamo trovare un altro posto per dormire.

Per il campo notturno troviamo una bella postazione: un angolo tra un fiume e un grande terreno incolto in attesa di casette. I vicini di fronte si dicono d’accordo ma gli studenti quando arriviamo sono dubbiosi: è illegale, verranno i carabinieri e in Cile non si può bere per strada, noi abbiamo comprato oltre alla carne un bel po’ di vino e di birra, tra noi ci sono studenti che faranno casino, i vicini usciranno, ci saranno sicuramente problemi… insomma uno spazio pubblico nonva, vorrebbero un terreno privato in cui il padrone è d’accordo e si può fare tutto quello che si vuole. Ma non lo troviamo e alla fine ci accampiamo là, con l’assenso dei vicini che dicono che si uniranno al banchetto. I carabinieri arrivano alle due di notte ma chiedono solo di smettere di fare rumore e di andare a dormire nelle nostre tende, l’alcool per altro è finito da un pezzo e quindi da quel punto di vista nessun problema. Il margine tra legale e illegale è stato percorso. Siamo nella pura informalità. E questo per i ragazzi cileni, educati all’ordine e alla disciplina, è un grande traguardo.

Il giorno dopo passiamo camminando davanti alle tende ed in un attimo siamo chiamati dentro da alcune donne per leggerci la mano e chiedere qualche spicciolo. Dentro la tenda è bellissimo, la luce che filtra dai teli colora tutto, le nostre facce diventano verdi, gialle, rosse e tutto intorno ci sono teli dorati, tutto brilla come in una fiaba. Gli raccontiamo con la mappa della camminata che stiamo facendo, ma non riscuote gran successo. Accenno qualche parola in Romanè e subito l’attenzione si sposta verso di me, l’italiano che lavora con i gitani. Come stanno i Rom in Europa? È vero che c’è discriminazione? Abbiamo saputo della Francia. Che li cacciano via. Qui è tranquillo, non ci sono mai stati problemi. Si magari c’è reciproca diffidenza e questo è normale e poi ci sono problemi individuali, e chi non li ha? Si, anche con la polizia, certo chi ruba va in prigione, ma non c’è discriminazione. Racconto dei campi romani, con recinzioni e orari di ingresso. Perchè non dici ai tuoi amici rom italiani di venire qua? Arriva il Re e l’attenzione si sposta verso di lui, propone di organizzare una festa, con musica e che insegna alle ragazze a ballare danze gitane. Fantastico, sarebbe bellissimo ma è ancora mattina, e noi dobbiamo concludere il giro, sappiamo che per la sera saremo sfiniti. Gli dico che torniamo e vediamo come organizzare.

Il giorno dopo torno con Carlos. Una bellissima gitana, Carola, ci chiama per leggerci la mano. No grazie, non ci credo, cominciamo a parlare e arriva una donna con quattro ragazzini tutti sporchi. Aiutatemi, non ho nulla da dargli da mangiare, non ho neanche i soldi per comprarmi una tenda. E quanto costa una tenda? Cento, duecento anche trecento mila pesos! E chi le fa queste tende? A Santiago, c’è un Rom che fabbrica tende per tutti, le fa tutte lui! Ma perché vorresti comprarti una tenda? No, è per sapere. È lì mi si illumina tutto quanto. Perché qui c’è qualcuno che si vende una tenda? Si, una signora, là in fondo, ma ora non c’è ne lei né suo marito. Vieni domani.
Andiamo a fare un giro a bere qualcosa e quando ripassiamo troviamo il Re che parla con un signore. Ci mettiamo a parlare di tende, come si fanno, quanti tipi ci sono. Il Re dice tornate domani con un o di tela e facciamo un modello, cosi vi dico che teli prendere, come tagliarli, quanti pali, di che tipo… l’altro signore mi dice: ma non la vorresti comprare una tenda? Dico: forse, quanto costa? Una nuova costa anche cinquecentomila, ma questa è usata, te la do per duecento-duecentocinquanta. No grazie, io pensavo piuttosto sui cento. Insomma arriviamo a centocinquanta e senza averla vista. Duecentotrenta euro per una tenda usata. Ci penso su, dico.

Tornati a casa con Carlos cominciamo a fantasticare. Nella tenda si potrebbe fare la mostra per raccontare il giro, i teli interni potrebbero essere le mappe, tutto cucito a mano dagli studenti, nel plasma mettiamo il video, anche i cuscini potrebbero essere cuciti con le storie che abbiamo incontrato… la montiamo all’università e poi in centro città… insomma in un attimo tutto si ricompone in un grande progetto gitano. Passo una notte insonne. Immagino di portare tutta la mostra con la tenda a Montevideo, poi di andarci a dormire a Bahia, e poi di montarla all’università a Roma, di farla diventare in nostro Laboratorio di Arti Civiche, di portarla agli accampamenti degli indignados di Lorenzo e poi nei campi dei nostri amici rom romani, che magari i vecchi se ne ricordano, e poi... insomma non sto nella pelle. Sono soldi spesi bene, questa cosa s’ha da fà. La mattina chiamo Cristina, la cosa le piace un sacco, incita all’aquisto. Vado all’università e tutti appoggiano il progetto, gli studenti, i professori, ognuno aggiunge un pezzo. Daje daje!

Stamattina mi sono presentato al campamento con il vestito nero a righe, ancora non me lo ero mai messo. Siamo stati tutto il giorno là a montare, abitare, smontare, capire, conoscere... c’è stata anche una piccola scossa di terremoto, la solita, si è scherzato sulle tende antisismiche… Sono tornato a casa con una tenda bellissima. Ancora non so come portarla a Roma, ma ci arriverà.

PS: lo sapete come si dice in romanes cileno la tenda di tutti? Saborengi Chara. Vi dice qualcosa?
Ma perchè ci siamo fissati che i rom devono avere le case?
e se tornassero ad essere nomadi?










1 commento: