02/01/12

Una città a Parte. L'apartheid dei Rom in Italia

Una città a Parte. L'apartheid dei Rom in Italia
di Francesco Careri
(introduzione all'inserto speciale L'abitare dei Rom e dei Sinti, de “Urbanistica Informazioni” n° 238, 2011, pp. 23-25)


In Italia esiste un apartheid strisciante (1), una città a parte che si prepara per quei 35.000 Rom e Sinti che da decenni vivono nei campi - gli altri 90.000 per fortuna vivono in case – con densità da tendopoli d’emergenza, lontani dai servizi primari, controllati da guardiania armata e telecamere a circuito chiuso, con orari di ingresso e di uscita, tesserino con foto e codice a barre, reti di recinzione tutto intorno. Sono un frammento di quell’universo dei campi e delle riserve, che con numeri ancora più esorbitanti abitano il nostro pianeta e su cui è stata prodotta una notevole letteratura: zone definitivamente temporanee dove abita l’umanità in eccesso (2), che si aprono quando lo stato di eccezione diventa regola (3), zone di sospensione (4) in una sorta di transitorietà congelata (5), e che producono sindromi di dipendenza e vite sotto trasfusione (6) città appoggiate per terra (7), città nude (8) abitate da cittadini senza diritti di cittadinanza e quindi senza città, o meglio con una città a parte, separata, tutta per loro, solo per loro.

In Italia nascono come campi nomadi - ufficialmente “campi sosta” - e sono istituzioni regolate, in assenza di un quadro legislativo nazionale, da leggi regionali varate negli anni novanta, una sorta di parcheggi attrezzati immaginati per comunità girovaghe quali erano i Rom e Sinti Italiani ancora negli anni ottanta. Appena finiti di costruire si sono trasformati in insediamenti perennemente temporanei per i Rom in fuga dalle guerre dei Balcani e poi dalle zone depresse della Romania. Si sono evoluti da slums di baracche e roulotte a campi di container agli attuali villaggi, con un crescendo di sorveglianza e di dipendenza dalle istituzioni e una conseguente perdita di autonomia decisionale sulla propria vita.
Anche la storia dell’abitare rom in Italia ha una lunga letteratura, è la storia dell’urbanistica del disprezzo (9) che da secoli li ha cacciati dalle nostre città rendendoli nomadi per forza (10) , stranieri ovunque (11), popoli delle discariche (12), figli del ghetto (13). Ma quello a cui si sta assistendo a partire dal 2008 con il commissariamento della ”questione rom” (14), è un ulteriore passaggio dalla vecchia politica di emarginazione nelle baraccopoli a quella di istituzionalizzazione di ghetti per i Rom e di veri e propri luoghi di concentramento etnico (16). Il punto da cui partire non può che essere l’attuale scenario di apartheid, e l’obiettivo prioritario è aprire nuove strade per abitare con i Rom (17), guardare insieme a loro oltre i campi (18), superare il dispositivo “campo nomadi”, inviso ai Rom e incapace di costruire città e cittadinanza.

Il fine che ci siamo posti con la presente raccolta di articoli è quello di stimolare gli urbanisti italiani ad affrontare il tema dell’abitare dei Rom e dei Sinti con maggiore consapevolezza quando lo incontrano nei loro lavori professionali. I campi nomadi infatti, che siano baraccopoli informali o campi istituzionali, si trovano sempre in zone instabili, in margini urbani dove a un certo punto non possono più stare perché sono in programma nuove trasformazioni. La prassi allora è far arrivare le ruspe, spostare i Rom, creare un nuovo campo più lontano, con l’alibi che sono nomadi e una casa non gli serve. Tutto ciò viene vissuto da chi pianifica la città con un misto di naturalezza e distacco, come una questione con complesse implicazioni antropologiche sociali e politiche. Se come cittadini non riusciamo a riconoscere i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza in materia, come urbanisti non ci sentiamo all’altezza di affrontare un problema così intricato e, incapaci di assumere una propria posizione, accettiamo i consigli degli esperti, dei servizi sociali, quando non dei politici guidati da convenienze elettorali e pressioni di “comitati di cittadini”. Non è un caso che quello dell’abitare dei Rom e dei Sinti sia un aspetto della città sempre demandato, quando non direttamente alle prefetture, all’assessorato ai servizi sociali e mai all’assessorato all’urbanistica. Del resto quel campo da cancellare non figura neanche nelle carte e il nuovo campo continuerà a non figurarvi, sarà spostato dove ha deciso il sindaco di turno, il più lontano possibile dalla vista dei suoi elettori, magari andando ad ingrandire un campo esistente per non perdere voti in altri quartieri. È cosi che si creano i megacampi che daranno megaproblemi in futuro, sia ai Rom che a tutti i cittadini. E tutto ciò spesso avviene senza interloquire con chi pianifica il territorio e potrebbe proporre altre soluzioni.
Si è voluto qui raccogliere diversi tipi di materiali: sulla creazione e progettazione dei campi, sulla storia degli sgomberi in relazione con la speculazione edilizia, su numeri e costi riguardanti i campi attrezzati, sul rispetto delle legislazioni regionali. Ma soprattutto abbiamo creduto importante far conoscere le politiche utili a far uscire i Rom dai campi, perché siano proposte nel ventaglio a disposizione degli amministratori: percorsi di inserimento nell’Edilizia Residenziale Pubblica (19), di sostegno all’affitto privato 20), di legalizzazione e recupero dei campi informali (21), di microaree per gruppi familiari allargati (22), esperienze di autorecupero e di autocostruzione assistita (23) su terreni edificabili, casali abbandonati, fabbriche dismesse, immobili sequestrati alla criminalità organizzata.

Gli articoli che proponiamo disegnano infatti un quadro italiano desolante, ma con alcune lodevoli eccezioni. Claudia Mascia racconta di una Europa caratterizzata in larga parte da alloggi in case popolari, e approfondisce due casi: la Francia con 17.365 posti caravan in 729 aree per le Gens du Voyage , ma anche con i nuovi Villages d’Insertion che sembrano prendere a modello i tristi Villaggi della Solidarietà di Roma. E il Portogallo dove il Parque de Nómadas di Coimbra ospita i ciganos, in vista del re-insediamento in alloggi del comune a prezzo agevolato. Alexander Valentino ricorda come “il nomadismo sia un fenomeno quasi estinto in Italia ed che si debba parlare di mobilità di persone, o gruppi, all’interno della Comunità Europea”, denuncia il ruolo complice delle associazioni umanitarie, e ci racconta di come nell’area napoletana diverse comunità italiane un tempo integrate come i cilentani, i Sinti vesuviani, i napulengre e i rom giuglianesi oggi si trovino in gravi difficoltà perché i loro mestieri non vanno più al passo con la globalizzazione. Ma ci fa ragionare anche su come le cronache romana hanno avuto attraverso i media effetti nefasti a chilometri di distanza. Un esempio è il Campo della Favorita di Palermo descritto da Simone Tulumello dove “le condizioni sono precipitate negli ultimi anni caratterizzati da un totale disinteresse istituzionale e da una cresciuta attenzione politica”, nel totale vuoto normativo siciliano in cui i campi non esistono seppure insediati da oltre vent’anni. Anche il campo di Cagliari è uno di questi, si chiama “campo SS 554”, il nome della statale. Barbara Cadeddu racconta le sue vicende e propone l’arte come mezzo per scardinare il pregiudizio e per offrire alla città la possibilità di mostrarsi in tutte le sue contraddizioni, come in due documentari che raccontano storie di vita di bambini di periferia, Rom e Gagè, tutti figli dell’indifferenza e del silenzio.

Ma dall’Italia arrivano anche buone notizie. Stefano Petrolini porta l’esempio di Trento dove i kosovari arrivati negli anni novanta hanno trovato posto nell’Edilizia Residenziale Pubblica e dove una nuova legge provinciale introduce per la prima volta in Italia le “Microaree” o “Aree Residenziali di Comunità”, destinate a piccoli nuclei di famiglie allargate. Francesco Piantoni racconta dei percorsi di superamento dei campi del piano di Bologna, volti a “stabilizzare le condizioni abitative dei nuclei con sufficiente reddito, assegnando loro alloggi reperiti sul mercato privato tramite un contratto di sublocazione e un affitto agevolato”. E ci descrive dall’interno l’appassionante esperienza della Piccola Carovana che lavora all’interno dei campi per preparare i nuclei familiari all’uscita, e segue l’ingresso in case non più reperite dal Comune sul mercato privato e “calate dall’alto”, ma “accompagnando le famiglie nella ricerca della loro futura abitazione in maniera autonoma, di modo che possano prendere coscienza fin da subito dei costi, delle spese, delle zone”. Da Torino Massimiliano Curto e Cristian Anastasio dell’Associazione Terra del Fuoco, con un articolo ricco di dettagli e di dati, descrivono l’esperienza del Dado, una delle più interessanti pratiche di autorecupero in un condominio misto di Rom, rifugiati politici e giovani volontari, realizzato a costi assolutamente contenuti (238 €/mq) con un risparmio del 30% rispetto a un cantiere tradizionale.

C’è infine il caso Roma, dove il nuovo sistema di apartheid è in piena sperimentazione, e l’unica risposta positiva sembrano essere le occupazioni a scopo abitativo. Gli articoli raccolti costruiscono una critica al Piano Nomadi che ha fissato un numero massimo di 6000 Rom sul territorio comunale e si è concentrato nello smantellamento dei campi abusivi, nella riduzione del numero di presenze e nel concentramento degli sfollati in villaggi dove le condizioni di vita sono spesso al di sotto degli standard abitativi stabiliti dalla legge, e addirittura di quelli utilizzati della Protezione Civile per disastri come inondazioni e terremoti. Giacomo Zanelli analizza le relazioni tra la speculazione edilizia e la localizzazione dei campi approfondendo i casi di Via di Villa Troili, via dei Gordiani e Camping Roman River, mentre Cecilia Sgolacchia fa un attenta analisi dei fondi investiti per costruire e gestire i campi e conclude che se fossero stati investiti in edilizia pubblica, oggi più di 8000 Rom potrebbero vivere nelle case popolari.

Ma anche a Roma alcune buone pratiche hanno cominciato a manifestarsi. L’esperienza di Savorengo Ker raccontata da Azzurra Muzzonigro fa comprendere come i Rom del Casilino 900 sono stati in grado di produrre una loro risposta per il loro abitare, attraverso un processo di autocostruzione creativa inventato insieme a Stalker/Osservatorio Nomade e l’Università di Roma Tre, che ha dato vita a una casa in regola con le normative edilizie e che costa un terzo di un container. Mentre Francesca Broccia e Adriana Goni Mazzitelli raccontano dell’esperienza del Metropoliz, una ex fabbrica occupata da migranti provenienti dall’Africa, dal Sudamerica e dall’Europa dell’Est , che ha accolto diverse famiglie di Rom Rumeni che con grande consapevolezza politica hanno deciso di sottrarsi ai campi. Il Metropoliz, come il Dado di Torino, ci sembrano indicare una nuova strada capace di superare non solo il campo ma anche la logica monoculturale dell’abitare Rom fino ad oggi data per immutabile. Dalle queste esperienze, seppur molto diverse tra loro, si può desumere infatti un modello di “Condominio Interculturale” aperto ai Rom, ai migranti e a chi si trova in condizioni abitative precarie, ma anche a studenti fuorisede e giovani volontari in grado di accompagnare e sviluppare virtuosi processi di autocostruzione edilizia e autogestione sociale, per costruire insieme non più ghetti ma nuovi pezzi di città.

note:
1) La parola “apartheid” in africaans significa “separazione”, comincia ad esistere di fatto quando nel 1909 il Regno Unito promulga il South African Act escludendo la popolazione nera dal processo decisionale di creazione dell’Unione Sudafricana ed entra in vigore come sistema di segregazione etnica nel 1948, quando il National Party vince le elezioni. Di “creeping apartheid” scrive Oren Yiftachel, Theoretical Notes on 'Gray Cities': The Coming of Urban Apartheid?, “Planning Theory” 2009, vol. 8, n. 1, pp. 88-100.

2) Federico Rahola, Zone definitivamente temporanee. I luoghi dell’umanità in eccesso, ombre corte, Verona 2003.

3) Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 188.

4) Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano 2007. Petti a pag 24 cita Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag, Mondadori, Milano 1974. “ Arcipelago si incunea in un altro paese e lo screzia, vi è incluso, investe le sue città, è sospeso sopra le sue strade, eppure alcuni non se ne sono accorti affatto, moltissimi ne hanno sentito parlare vagamente, solo coloro che vi sono stati sapevano tutto.”

5) Di frozen transiente scrive Zigmut Bauman, In the Lowly Nowervilles of Liquid Modernity, “Ethnography” vol. 3, N. 3, 2002, pp. 343-349; “una transitorietà congelata, un perpetuo, duraturo stato di temporalità, una durata fatta di tanti momenti rappezzati tra loro” in Zigmut Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Bari 2003, p117.

6) Michel Agier, Au bord du monde, les refugiés, Flammarion, Paris 2002, p.85.

7) Olivier Razac, Storia politica del filo spinato. La prateria, la trincea, il campo di concentramento, ombre corte, Verona, 2001, pp. 42-43: “I campi non sono costruiti per durare. In ogni caso non si tratta di edificare o fondare. Un campo, anche se immenso, non deve penetrare la memoria di un luogo, è lì senza esservi realmente, la sua furtività è dovuta al fatto che è solo appoggiato sulla terra, come una tenda che da un giorno all’altro può essere tolta.”

8) Camillo Boano e Fabrizio Floris, Città nude. Iconografia dei campi profughi, Franco Angeli, Milano 2005, p.

9) Piero Brunello (a cura di), L'urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana, Manifestolibri, Roma 1996

10) Krzysztof Wiernicki, Nomadi per forza. Storia degli zingari, Rusconi, Milano 1997.

11) Andrea Brazzoduro e Gino Candreva (a cura di): Stranieri Ovunque. Kalè, Manouches, Rom, Romanichals, Sinti… «Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale» n° 19, 2009.

12) Leonardo Piasere, I Popoli delle discariche, Cisu, Roma 1991.

13) Nando Sigona, Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l'invenzione degli zingari, nonluoghi libere edizioni, Divezzano 2002.

14) Nel 2008 il Governo Italiano presieduto da Romano Prodi ha dichiarato lo “stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle Regioni Campania, Lazio e Lombardia” (prorogato ed esteso attualmente anche alle regioni Veneto e Piemonte) e i Prefetti di Napoli, Roma e Milano sono stati nominati dal Ministro degli Interni Giuliano Amato “Commissari Delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza”.

15) Nicola Valentino (a cura di), I ghetti per i Rom. Roma Via di Salone 323. Socioanalisi narrativa di un campo rom, sensibili alle foglie, Roma 2011.

16) Associazione 21 Luglio, La casa di carta. Il Centro di Raccolta Rom di via Salaria 971. Roma, rapporto presentato alla Facoltà di Architettura di Roma Tre il 30 maggio 2011. Tra i report presentati recentemente ricordiamo: Ass. 21 luglio: Esclusi e ammassati. Il Piano Nomadi di Roma: un muro che divide i bambini dai loro diritti; Ass. 21 luglio, Report Casilino 900. Parole e immagini di una diaspora senza diritti; Amnesty International, Lasciati Fuori. Violazioni dei diritti dei Rom in Europa; Amnesty International, La risposta sbagliata. Italia: il “piano nomadi” viola il diritto all’alloggio dei Rom a Roma.

17) Tommaso Vitale (a cura di), Politiche possibili. Abitare le città con i rom e i sinti, Studi Economici e Sociali, Carocci, Roma 2009. Nel campo delle politiche vedi anche: Tosi A., Cambini S., Sidoti S., Esperienze innovative per l'abitare di Rom e Sinti, in Atlante dell'alloggio sociale in Toscana, Fondazione Michelucci e Arci Toscana, Firenze 2006; Tosi A., Rom e Sinti: un'integrazione possibile, in Giovanna Zincone a cura di, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati. Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna 2000.

18) Lorenzo Romito, Oltre i campi. Note per una politica integrata di emancipazione abitativa, civile, culturale, economica e sociale dei Rom in Italia, a partire dal superamento dei campi nomadi, “Roma Time” n° 5, 2009, http://dl.dropbox.com/u/4394790/compl.pdf. Sul lavoro di Stalker /ON con i Rom vedi Francesco Careri e Lorenzo Romito, Roma, una città senza case, un popolo senza terra, in Aldo Bonomi (a cura di), La Vita Nuda, Triennale Electa, Milano 2008, pp.105-115;

19) Si ricorda che la legge n.179 del 17 febbraio 1992, “Norme per l'Edilizia Residenziale Pubblica” nell’ Art. 4. sotto il titolo "Quota di riserva per particolari categorie sociali" asserisce che le Regioni, nell'ambito delle disponibilità loro attribuite, possono riservare una quota non superiore al 15 % dei fondi per la realizzazione di interventi da destinare alla soluzione di problemi abitativi di particolari categorie sociali individuale, di volta in volta, dalle regioni stesse. La Regione Lazio con la Legge 788 del 20 febbraio 1996, nell' Art. 4.3 sotto il titolo: “Programmi per categorie speciali”, menziona esplicitamente i Rom tra tali categorie a cui assegna una quota di ERP pari all' 11%. (Delibera 1105 del 1995).

20) Sono diverse le organizzazioni di volontariato e le associazioni che attualmente stanno abbandonando la gestione dei campi e della scolarizzazione per concentrarsi sul lavoro di accompagnamento fuori dai campi. Tra gli articoli presentiamo il caso della Piccola Carovana di Bologna, ma è utile ricordare anche il programma Le città sottili condotto dalla Fondazione Giovanni Michelucci nel 2007 per il Comune di Pisa.

21) In campo internazionale un quadro di riferimento di eccellenza si trova nelle linee guida attraverso cui l'OSCE - ODIHR e UN-Habitat recuperano gli insediamenti informali Rom nel sud-est europeo: 1 - Perimetrazione e legalizzazione degli insediamenti spontanei; 2 - Legalizzazione di parcelle e case singole, attraverso una mappatura qualitativa dello stato di fatto; 3 - Miglioramento e implementazione degli insediamenti esistenti con opere di urbanizzazione; 4 - Nuove costruzioni per affrontare i problemi abitativi non legalizzabili; 5 - Istituzione di processi partecipativi per sviluppare gli insediamenti nuovi ed esistenti. Vedi: Vladimir Macura, Housing, urban planning and poverty: problems faced by Roma/Gypsies communities with particular references to central and eastern Europe, CDMG, Consiglio d'Europa, Strasbourg 1999; Vladimir Macura, Inclusion of Roma population through housing and settlements improvement, in : A.A., Four strategic themes for housing policy in Serbia, UN Habitat, SIRP, Belgrade 2006, pp.26-45.

22) Esempi validi sono quelli della microarea per i Sinti di Bressanone (Bolzano) e i villaggi di Guarlone (Firenze) e di Coltano (Pisa) progettati dalla Fondazione Giovanni Michelucci. Vedi: Corrado Marcetti., Tiziana Mori., Nicola Solimano (a cura di), Zingari in Toscana. Storia e cultura del popolo Rom. Zingari e comunità locali. I campi nomadi e l'urbanistica del disprezzo. Orientamenti per soluzioni abitative diversificate, Pontecorboli, Firenze 1994; Città di Bolzano, Fondazione Giovanni Michelucci, La città accogliente. Studio per un programma di superamento dei campi nomadi e delle situazioni di precarietà abitativa tra le popolazioni di Rom e Sinti a Bolzano, Bolzano 2005.

23) Oltre a quella del Dado di Torino e di Savorengo Ker a Roma, che qui riportiamo, si ricorda il Progetto Sperimentale di Autocostruzione “Il villaggio della speranza” del Comune di Padova, finanziato con fondi europei e coofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel 2010.

Nessun commento:

Posta un commento